Miguel Indurain è stato uno dei più grandi ciclisti della storia. Il corridore spagnolo ha segnato un’epoca, quasi un decennio, in cui ha conquistato tra le altre cose cinque volte consecutive il Tour de France e due il Giro d’Italia: nel 1992 e nel 1993 entrambe le prestigiose corse a tappe, ultimo a riuscirci per due anni consecutivi prima del fenomenale 1998 di Marco Pantani.
Indurain comunque è stato un grande perché per lunghi tratti ha quasi annullato i propri rivali, costringendoli sempre ad adattarsi alle sue caratteristiche di formidabile cronoman ed eccellente scalatore. Una combinazione del genere non si era quasi mai vista in precedenza nel ciclismo e prima che “Miguelòn” abdicasse ci è voluto parecchio tempo.
Indurain, un contesto favorevole
Miguel Indurain nasce nel 1964 a Villava, oggi una specie di sobborgo di Pamplona, mentre all’epoca era una zona abbastanza isolata nonostante la capitale della Navarra sia a pochi chilometri. La Navarra, già, quell’enorme regione che occupa parte del nord-est della Spagna e che come soprannome di Miguel, “Il Navarro”, tornerà spesso.
La famiglia Indurain non nuota nell’oro ma non è nemmeno così messa male, anzi. Per gli standard dell’epoca grazie agli investimenti nei terreni circostanti del nonno di Miguel (e di suo fratello Prudencio, che lo accompagnerà come ciclista professionista a lungo) in casa si starà sempre piuttosto bene. All’epoca la Spagna vive ancora l’era del franchismo, quindi il tenore di vita non è certo alto. E soprattutto gli Indurain sono molto cattolici: insomma, un quadro abbastanza stereotipato di quello che poteva essere l’andazzo in alcune zone periferiche della penisola iberica.
Sono comunque aspetti della personalità di Miguel che ritroveremo: il grande attaccamento al lavoro e uno stile da atleta assolutamente rispettato, senza troppi grilli per la testa. Da piccolo comunque la bicicletta, imprescindibile in quelle zone, gli serve per girare e ogni tanto spostarsi di qua e di là. Cresce alto e robusto e ha un’altra grande fortuna: lì vicino a Villava, a Irurtzun, esiste una multinazionale che lavora alluminio che si chiama Reynolds, che all’inizio degli anni Ottanta è lo sponsor di una squadra di ciclismo non ricchissima, ma a cui viene garantita la partecipazione al Tour de France, per esempio.
No, non si nuota nell’oro alla Reynolds; lo stipendio più alto arriva a quelli che oggi sarebbero 600 euro al mese, però le pesetas valevano realmente poco. Tuttavia in Spagna di squadre se ne contano davvero sulle dita di una mano. L’epoca pure non è molto fertile per i ciclisti locali visto che i grandissimi si sono ritirati da tempo, come Federico Martìn Bahamontes, o stanno per farlo come Luis Ocaña.
Negli anni Settanta tra Tour de France e Giro d’Italia gli spagnoli sul podio sono quattro: a parte Ocaña che trionfa nel 1973 alla Grande Boucle in un’edizione priva di Merckx, per il resto troviamo José Manuel Fuente (strepitoso scalatore), Paco Galdos e Vicente Lopez Carril. Questo esclusa la Vuelta, che però in calendario viene piazzata poco prima del Giro e che quindi attrae prevalentemente spagnoli. E anche nella corsa di casa, appena un big si presenta sulle strade iberiche finisce per vincere quasi in carrozza: Gimondi, Merckx, Hinault e Zoetemelk, per fare qualche nome.
Quando però Indurain viene tesserato per la Reynolds e rimane quattro giorni in vetta alla generale della Vuelta nel 1985 ma soprattutto quando vince il Tour giovanile, nel 1987, si capisce che qualcosa sta cambiando. C’è però un problema ed è paradossalmente all’interno della squadra, dove Miguel è ancora uno dei gregari e i capitani sono altri, tra cui Pedro “Perico” Delgado, che vince il Tour de France nel 1988 anche grazie all’aiuto del suo giovane compagno.
Quello di Indurain però è un crescendo spettacolare e colpisce il fatto che riesca a concludere la Grande Boucle anche se è molto giovane, in un periodo in cui la corsa a tappe francese è davvero durissima. Nel 1990 comunque chiude al decimo posto della generale quando la Reynolds ha già cambiato nome, o meglio ha trovato un altro sponsor che possa aiutarla: è la banca Banesto, il cui presidente si è innamorato del ciclismo e ha deciso di investire, sicuro di poter avere un ritorno economico.
Un fisico perfetto
Miguel Indurain è un ragazzone di quasi un metro e 90 per circa 90 chili, arriva a toccare i 92 prima che la Reynolds si renda conto che con un po’ di zavorra in meno quel motore così potente sarebbe in grado di andare ancora più forte. Per farlo lo porta anche dal discusso dottor Francesco Conconi, che gli impone di scendere sotto gli 80 chili.
Il fisico è fuori scala, nessun ciclista dell’epoca è sia alto che potente. Nemmeno Merckx, il più vincente della storia, era arrivato a tanto; per non parlare di un altro fuoriclasse come Hinault, ciclista con due gambe fortissime, dallo straordinario senso tattico e impareggiabile nelle strategie, ma pur sempre rifornito di un corpo quasi normale. Non a caso il francese era soprannominato “Le blaireau”, “Il tasso”, per come si nascondeva nella pancia della corsa, di qualsiasi corsa anche di un giorno, prima di sferrare i suoi attacchi supportato sempre da una grande squadra.
Insomma, Indurain è fuori scala e soprattutto ha una grande qualità che invece può essere un handicap per molti ciclisti: non cade mai. E anche se rimane coinvolto in qualche incidente riesce sempre a uscirne illeso. Si è ritirato due volte alla Vuelta per delle bronchiti mal curata, frutto anche di una sinusite cronica dovuta a una malformazione del setto nasale, ma per il resto ha già dimostrato che in montagna ma soprattutto a cronometro può tenere testa a chiunque.
E per questo bisogna andare al Giro e al Tour, scavallando la Vuelta, che non ha lo stesso appeal delle altre due corse a tappe. Questo fa arrabbiare non poco gli addetti ai lavori spagnoli che se la prendono non solo con lui, ma pure con la Reynolds/Banesto arrivando nelle radiocronache a chiamare il team “la squadra navarra”, senza mai citarla.
Indurain, un quinquennio impareggiabile
Una volta che la Banesto sceglie Indurain come capitano, per gli altri è veramente notte fonda. Dopo aver fatto ancora il gregario di lusso a Delgado nel 1990, mentre era chiaro che il più in forma era lui, Miguel al Tour del 1991 trionfa nelle due prove a cronometro (lunghissime, un totale di 135 chilometri) mettendosi un bel cuscinetto di margine dal nostro Claudio Chiappucci, eccellente in montagna ma pessimo contro il tempo. L’unico vero avversario del navarro rimane Gianni Bugno, che resiste come può, trionfa all’Alpe d’Huez, però con Miguelòn a ruota, quindi senza mai staccarlo. LeMond, campione in carica e dato per favorito alla vigilia, crolla e non si riprenderà più.
Contro Indurain si capisce presto che c’è ben poco da fare anche perchè, come abbiamo detto, una volta queste corse a tappe avevano parecchi chilometri a cronometro, la specialità principe del navarro. Nel 1992 si presenta al Giro e già alla quarta tappa è in maglia rosa dopo aver dominato la crono di San Sepolcro: non la cederà più nonostante gli attacchi furiosi di Chiappucci. Stessa storia al Tour dove lo spagnolo rifila al “Diablo”, secondo, oltre quattro minuti e Bugno chiude terzo a 10′, roba d’altri tempi. Doppietta Giro-Tour nello stesso anno riuscita fin lì solo a Coppi, Anquetil, Merckx e Hinault.
Non contento, l’anno dopo bissa: Giro vinto soffrendo non poco contro il lettone Ugrumov, che gli mette pressione, mentre al Tour chi ci prova è lo svizzero Rominger, che paga a cronometro soprattutto mentre ormai quando prova a fare la differenza in montagna si ritrova Miguelòn a ruota che lo contiene.
Cambia il panorama nel 1994 al Giro, quando un giovane russo residente vicino a Pavia fa vedere di essere meglio dello spagnolo persino a cronometro, e parliamo di Berzin, mentre uno scalatore romagnolo un po’ stempiato mette in grossa difficoltà il navarro in montagna: è Marco Pantani. Indurain è addirittura terzo in quel Giro, mentre al Tour torna a dominare già alla nona tappa, piallando i rivali a cronometro con Rominger secondo a due minuti. Di fatto la Grande Boucle finisce lì, a metà percorso il vantaggio di Miguel sullo svizzero è di 8′ anche se sul podio saliranno Ugrumov e Pantani, di nuovo.
Miguel è il padrone del ciclismo mondiale, ha battuto nel 1994 anche il record dell’ora ed è in condizioni eccellente. Non avverte affatto la pressione di andare a caccia del quinto trionfo consecutivo in maglia gialla: prima settimana in sordina poi quando la corsa scollina in Belgio prende la fuga buona con Bruyneel e si avvicina alla vetta della generale, salvo poi issarsi in testa con l’ennesima cronometro vinta. Ne vincerà una seconda, mentre vede i rivali infilzarsi a vicenda, compreso un Pantani che trionfa all’Alpe d’Huez ma non può reggere nelle prove contro il tempo. Come il gatto col topo Indurain completa il quinto trionfo consecutivo a Parigi, record ogni epoca.
Nel 1996 è tutto o quasi apparecchiato per il sesto successo, il Tour di quell’anno prevede addirittura una tappa, la quint’ultima, con arrivo a Pamplona dopo aver passato il durissimo porto di Larrau: ma è proprio qua che Indurain si scioglie, a pochi chilometri da casa, si prende una “pajara”, come si dice in spagnolo la crisi, che lo porta alla deriva.
Miguel finisce addirittura fuori dai primi 10 della generale nell’edizione vinta dal danese Bjarne Riis, un tipo che sembra la fotocopia fisicamente del navarro, alto e robusto, forte in montagna ma soprattutto a cronometro. Più ancora di Riis il suo giovane gregario tedesco, Jan Ullrich, destinato a dominare in lungo e in largo e che invece si rivelerà quasi una meteora. Quest’ultimo stravince il Tour del 1997, ma nel frattempo Indurain si è già ritirato, non prima di essersi laureato campione olimpico a cronometro ad Atlanta, nel 1996: è ancora abbastanza giovane, ha 33 anni, ma sente di aver dato tutto. Del resto ha vinto praticamente tutto, indicando una via per competere nelle corse a tappe, una completezza e un dominio che hanno fatto epoca. Sempre con quell’atteggiamento freddo e risoluto, la testa prima ancora delle già portentose gambe, che i rivali non avevano mai avuto.