Che per il tecnico francese sarebbe stata una stagione difficile, lo si sapeva fin dal principio. Ma probabilmente nessuno si sarebbe mai immaginato che il Napoli delle meraviglie di Spalletti, si trasformasse in così breve tempo in un’armata Brancaleone incapace di qualsiasi gloria. La sconfitta rimediata in casa contro l’Empoli di Andreazzoli (quarto successo consecutivo contro i partenopei) è solo la ciliegina sulla torta di un avvio disastroso, con De Laurentis che dopo le malcelate insofferenze ha finalmente deciso il ribaltone tecnico. Adieu a Garcia e pronto il nuovo tecnico per rilanciare gli azzurri in campionato e in Champions.
Il confronto impietoso
C’era una volta una squadra che illuminava ogni partita con il suo gioco e i suoi risultati, tanto da volare in classifica senza nessuna sconfitta e con un bilancio di dieci vittorie e due pareggi, con il migliore attacco del campionato (30 reti) e una difesa granitica (9 reti subite).
Erano questi i numeri di Spalletti dopo la dodicesima giornata della scorsa stagione, con il suo primo posto in solitaria che ha poi dato il via alla lunga cavalcata verso lo scudetto (conquistato già con mesi di anticipo), con tanto di record di undici vittorie consecutive proprio da settembre a gennaio.
Al netto dell’infortunio di Osimhen e della partenza di Kim, quel Napoli è rimasto lo stesso nei nomi, ma non nei risultati. Undici punti in meno, sei reti fatte in meno, quattro subite in più, tre sconfitte in più, quattro vittorie in meno. Ma soprattutto un gioco che sembra latitare, una condizione fisica e mentale dei giocatori decisamente insufficiente e un mister che non è mai riuscito ad avere l’autorità e la fiducia dello spogliatoio (e della Presidenza).
Quando non è solo un problema tecnico
L’enorme disparità di risultati con uomini quasi sempre molto simili a quelli dell’anno scorso, non è però forse da ricercare soltanto in una chiave puramente tecnica. Basta guardare i numeri delle statistiche per farsene un’idea.
Anche in queste prime dodici giornate, infatti, il Napoli è comunque largamente in vetta a quelli che sono i principali parametri di gioco. Nessuna squadra di Serie A, per esempio, ha concluso tanto quanto i partenopei: 216 tiri per il Napoli (di cui 70 nello specchio), là dove anche l’Inter, seconda, si è fermata a 198 e la Juventus, terza, a 174.
Altrettanto gli azzurri sono al momento primi per azioni da tiro create (391, sempre davanti all’Inter che è a quota 355) così come nessuno ha tenuto il possesso palla più del Napoli in stagione: 58.8% con quasi 6000 passaggi totali completati (primi anche in questo caso, davanti alla Lazio di Sarri con 5600). Del resto, anche i 24 gol realizzati, pur meno dello scorso anno, valgono comunque il secondo attacco del campionato.
Tutta colpa della difesa, quindi? Ni. Certamente i 13 gol incassati sono sopra la media delle prime cinque (Milan a parte che ne ha presi 14), ma anche in questo caso da un punto di vista puramente statistico, il Napoli non è messo poi così male: 9.6 tiri concessi a partita (primi insieme all’Inter), primi anche per numero di contrasti (17.8 di media) e tra i primi anche per minor numero di palle perse (terzi dietro Inter e Roma).
Insomma, stando ai numeri c’è da chiedersi come mai il Napoli non sia lì a giocarsi il primo posto. La risposta, probabilmente, almeno questa volta non è da trovarsi nelle statistiche, quanto nelle motivazioni. Ripetersi dopo una stagione trionfale come quella passata, sarebbe già stato molto complicato, ma è diventato quasi impossibile quando già dopo le prime uscite si è visto che qualcosa mancava nel rapporto tra tecnico e giocatori.
Non solo in termini di motivazione tattica, appunto, ma anche di guida mentale capace di tirare fuori il meglio riuscendo a essere un punto fermo di fiducia e motivazione. E a giudicare dai molti comportamenti di alcuni “big” dello spogliatoio (vedi Kvara e Osi), la missione è fallita in partenza. Garcia, certamente, ci ha messo del suo con alcune scelte di formazione e di cambio non sempre comprensibili. Ma è facile immaginare come, senza le giuste premesse, la situazione fosse già piuttosto complicata da gestire.
La ciliegina sulla torta
Vincere, come sappiamo, aiuta a smussare i problemi e rilanciare i morale. Soprattutto davanti ai propri tifosi, che potrebbero forse perdonare alcuni errori se aiutati da prestazioni all’altezza almeno tra le mura amiche.
A Garcia invece, non è andata bene nemmeno sotto questo profilo. Proprio al Maradona, la squadra ha mostrato il peggio di sè in questa stagione. Prima l’allarme della sconfitta contro la Lazio (che, va detto, ha fatto contro il Napoli forse la sua miglior partita di stagione), poi la doppia sconfitta contro il Real Madrid in Champions e contro la Fiorentina in campionato. Oltre alle due esterne non convincenti contro Genoa e Bologna che hanno portato appena due punti.
Rendimento lontano per una squadra che vuole lottare per il titolo, ma anche per chi ambisce a un piazzamento Champions. Il pareggio interno contro il Milan ha lasciato più dubbi che certezze, così come quello contro un Union Berlino allo sbando ma capace di pareggiare al Maradona.
E infine, ancora lui, Mister Andreazzoli, capace per la quarta volta consecutiva di battere il Napoli, questa volta con un gol al novantesimo dopo aver resistito agli assalti azzurri per tutta la partita. Corollario perfetto delle difficoltà partenopee di quest’annata maldestra.
Una sconfitta casalinga (la terza in cinque partite, tante quante nelle precedenti 25) che ha portato De Laurentis a chiudere definitivamente il capitolo Garcia, in un libro forse veramente aperto e certamente mai gradito. Dimenticando forse che se la difesa ha traballato per tutta la stagione, un pizzico di colpe le deve avere anche chi non ha saputo sostituire degnamente un pilastro come Kim, che pure da tempo aveva chiara la sua destinazione, così come al non aver chiarito fino in fonde le posizioni di contratto di alcuni “top player” (vedi Osimhen).
Comincia un’altra storia: come giocherebbe il Napoli di Tudor?
Sia come sia, con le colpe che andrebbero forse divise tra più parti (mister, giocatori e dirigenza), in queste occasioni la scelta può essere soltanto una. Resettare tutto con l’arrivo di una nuova guida tecnica in panchina.
Cosa peraltro che, nemmeno troppo sotto traccia, De Laurentis aveva già provato a fare qualche settimana fa, trovando però molte porte chiuse alla chiamata (vedi quella di Antonio Conte). Il “casting” quindi questa volta si fa decisamente più ristretto, con solo un paio di nomi realmente papabili (Tudor, Cannavaro, Mazzarri).
Il numero uno sulla lista è Igor Tudor, al momento senza panchina dopo le vicissitudini di Marsiglia (a cui era approdato dopo le esperienze italiane con Udinese e Verona). Il croato ha sempre mostrato un gioco molto avvincente e particolarmente offensivo, anche se desta qualche perplessità la possibilità di stravolgere il modulo.
Tudor ci ha infatti abituato a giocare quasi sempre con la difesa a tre, con due possibili variazioni basate sul 3-4-2-1 o il più classico 3-5-2. Considerati i difensori presenti in rosa, la linea a tre non sarebbe così facile da mettere in campo, mentre certamente un Di Lorenzo o un Mario Rui, potrebbero persino trarre vantaggio dall’agire sulle fasce come quinti di centrocampo.
Altra incognita tattica potrebbe poi essere quella di Kvaratskhelia, da vedere in azione come possibile quinto (sprecato) o sulla trequarti, ma in generale non molto in linea con le sue caratteristiche di esterno puro. Raspadori e Simeone invece, avrebbero sicuramente una migliore collocazione, così come Lindstrom, acquisto da trenta milioni ma fin qua praticamente assente.
Ma nulla vieta, in caso di un suo arrivo, di pensare che Tudor possa adattarsi agli uomini in rosa e mantenere l’assetto del 4-3-3, in attesa magari di qualche aggiustamento a gennaio