Tra il 2009 e il 2015, i migliori talenti italiani del poker portano il tricolore in numerose pokeroom estere. Sono una quindicina giocatori che si sono fatti le ossa competendo nel tornei del Belpaese e, sulla scia di alcuni antesignani (Minieri, Pagano, Pescatori), decidono di misurarsi con il field internazionale nelle grandi competizioni europee e anche in quelle d’oltreoceano.
Tra i nomi di questa “meglio gioventù” italiana del poker c’è quello di Andrea Dato. Rispetto ai colleghi-amici, Dato è però un giocatore sui generis. Un po’ per carattere, un po’ perché il professionismo non necessariamente combacia con la ricerca dei riflettori, il giocatore romano adotta il cosiddetto “profilo basso”: poche chiacchiere, ancora meno show, tanta concretezza.
Un approccio, questo, che forse gli deriva dagli studi universitari (laurea in ingegneria), trasformati poi per alcuni anni nella sua professione. Ma la scoperta del poker, favorita anche dalle esperienze competitive fatte con gli scacchi e con Magic: The Gathering, cambia la sua vita.
I numeri parlano da soli. Dal 2009 al 2015 Andrea Dato realizza nei tornei dal vivo 56 dei 70 in the money registrati su Thehendonmob.com a suo nome. La lunga lista comprende 3 final table IPT (quinto nel 2011, nel 2012 e nel 2014), altri 3 sono targati WPT Venezia e tra questi c’è la splendida vittoria ottenuta nel 2014, un terzo posto alle WSOP 2011 (nel $1.500 NLH Triple Chance) e il quarto ottenuto all’EPT di Barcellona nell’annata 2014, la più ricca di ITM (ben 19!). Senza dimenticare la grande cavalcata del player romano nel Main Event WSOP 2013, conclusa con un 60° posto da 123.597 dollari di payout.
Dalla fine del 2015, però, Dato è sempre meno presente negli eventi live di poker. Ottiene tre ITM nel 2016, uno nel 2018 e due nel 2019. Pochissimi per un pro come lui, al punto che è lecito chiedersi: che fine ha fatto Andrea Dato?
Chi quest’anno ha seguito le tappe dell’European Poker Tour, conosce già una parte della risposta. “Datino” – questo il soprannome che gli è stato affibbiato dalla community italiana – è tornato ed è più che mai alive and kicking nell’ambito dei tornei. Ad agosto, il 44enne romano è andato a premio due volte a Barcellona: una nel Main Event Estrellas e l’altra, decisamente più importante, nel Main Event EPT (60° posto).
Poi è arrivata la tappa di Cipro. Altro itm “national” (Eureka Cup) e poi la consacrazione del suo ritorno: il fantastico 2° posto nel Main Event, fermato solo da Gilles Simon a un passo dalla quarta picca italiana.
Ma se il ritorno in grande stile di Andrea Dato è sotto gli occhi di tutti, ci è rimasta la curiosità di scoprire che cosa è cambiato alla fine del 2015, di capire perché ha ridotto l’attività proprio quando si trovava all’apice della carriera da torneista.
Ciao Andrea e grazie per il tuo tempo. E’ un piacere rivederti esultante con le braccia alzate al cielo durante un torneo di poker. Non possiamo quindi fare a meno di chiederti un commento, anche se ormai “a freddo”, sul risultato di Cipro…
E’ un piacere anche per me! Sono felice come se fossi arrivato primo soprattutto perché sono molto soddisfatto della mia performance, la migliore da quando gioco a poker.
Da veterano che ritorna, che idea ti sei fatto dei tornei EPT post pandemia?
Devo dire che il field mi è sembrato leggermente più soft di quanto mi aspettassi. Il giocatore più ostico che ho incontrato a Cipro è stato il vincitore, Gilles Simon. In merito alla giocabilità del torneo, ci sono poche strutture così valide in giro. Basti pensare che l’average è rimasta sopra i 35 bui fino a 6 left.
Tutto questo ci conferma che l’Andrea Dato “cacciatore di tornei” è di nuovo in pista.
Sì, ho di nuovo voglia di poker da torneo, tanto che mi sono addirittura rimesso a studiare. Sto facendo un corso con Enrico Camosci: è un vero fuoriclasse, da lui posso solo imparare. Raramente ho conosciuto un giocatore così preparato e dedito allo studio come lui.
Ma allora perché dalla fine del 2015 sei scomparso dalla scena competitiva?
In realtà non ho mai smesso di competere, di giocare per professione. Al contrario, dal 2016 in poi ho giocato molto, anche se non nei torni live. Il poker è un gioco abbastanza ripetitivo e così è la professione del giocatore. Questo è uno dei motivi per cui tanti giocatori, cresciuti durante il boom, sono passati ad altre attività negli ultimi anni. A lungo andare, un po’ ci si satura e allora bisogna sapersi rinnovare e passare da una modalità di gioco all’altra. Che si giochi su internet o dal vivo, torneo o cash game, serve comunque varietà.
A cosa ti sei dedicato?
Al mio main game. I tornei sono stati una parentesi, perché io sono nato come giocatore di cash game e a quello mi sono dedicato dal 2016. E’ stata una scelta dettata da vari motivi. Oltre al bisogno di varietà di cui ho detto, ho deciso di viaggiare di meno e di ridurre un po’ lo stress. Le trasferte ai tornei live richiedono un mordente notevole che non può essere soltanto quello economico. Devi inseguire il successo, il riconoscimento globale, avere un atteggiamento molto competitivo. Alla fine del 2015, ho deciso che il poker sarebbe rimasto una professione, accompagnandolo però ad una vita più… decompressa. Il cash game offre questa soluzione, anche perché cattura meno l’attenzione mediatica. I giocatori di cash game rimangono sempre nell’ombra, tengono un profilo basso e in questo modo evitano la pressione legata alla notorietà.
Tutto chiaro adesso. Ma non hai nostalgia per il periodo precedente al 2016, quello che ti ha consacrato tra i top players italiani?
Ho nostalgia per quella che è stata la novità iniziale del poker. Allora c’erano persone nuove da incontrare, posti nuovi, un gioco da imparare. Nessuno sapeva granché sul poker. Ad esempio, nei primi anni post boom del poker, in Italia nessuno era esperto di final table perché nessuno ne aveva giocati tanti. Adesso c’è meno da scoprire, anche tecnicamente. Ormai è difficile emergere facendo belle giocate. E’ raro trovare un’azione capace di stupire. Sì, mi manca il sapore della novità.
Hai qualche rimpianto per le due picche solo sfiorate?
No, nessun rimpianto. Il giocatore di poker deve imparare a dimenticare, deve lasciarsi alle spalle le giocate sfortunate o sbagliate, deve sempre guardare avanti.
Parliamo allora di futuro. Come vedi quello del poker player?
Per un giocatore non ci sono garanzie future. Devi essere attento, previdente perché non sai mai cosa può succedere in questo settore. Io però so che continuerò a giocare anche se il mio profitto dovesse scendere molto. Il gioco mi cattura, amo l’arena del poker, mi piace l’aspetto matematico e soprattutto il confronto tra persone e skills mentali. Il giocatore che si siede al tavolo è “nudo”, nel senso che si confronta ad armi pari con gli altri.
Passato, presente e futuro ce li hai raccontati, adesso è tempo di tirare le somme: che si tratti solo di bene o anche di male, il poker come ha cambiato la tua vita?
Nel bene mi ha regalato tanta libertà. Il giocatore di poker non ha un capo, non ha orari, sei un freelance di te stesso. E poi è qualcosa che ti dà fiducia perché, se raggiungi l’obiettivo, probabilmente lo hai fatto dopo che tanti ti hanno detto “non ne vale la pena, non provarci”. Tagliare quel traguardo è qualcosa che dà forza, caratterialmente e a livello di motivazioni. Chiunque raggiunge un sogno ha qualcosa di motivante da insegnare.
Poi però ci sono anche i lati negativi, tanti e spesso sottovalutati. C’è stress, molto più di quanto si pensi. I periodi negativi possono essere lunghi, soprattutto per chi gioca tornei live. Si può cadere in loop negativi pericolosi. La stampa racconta sempre i successi, è raro che si legga di chi perde e delle conseguenze negative che ne derivano. Sembra tutto bello, in realtà c’è un sommerso di persone che non ce l’hanno fatta. Per uno che trova le luci della ribalta, ce ne sono tanti altri di pari livello che restano al buio. Con questo voglio dare valore a tutti quelli che ci provano, ma anche un consiglio: non fatevi abbagliare dall’idea del successo, non giocate a poker per il riconoscimento mediatico, fatelo per altri motivi.