Chi c’era, chi era sceso persino in piazza, ricorda il caldo asfissiante di quei giorni spesi in città. Il Napoli non c’era più, Napoli ribolliva. Soprattutto di rabbia. Le speranze, che pure dovrebbero essere le ultime a morire, erano improvvisamente finite tra carte bollate e curatori fallimentari. Era una sciagura enorme, l’ennesima mazzata a una città che ora doveva imparare a fare a meno del suo sfogo domenicale.
Da giugno a settembre, anno 2004: l’incertezza ha regnato su ogni aspetto del calcio Napoli. Fino all’arrivo di Aurelio De Laurentiis, all’epoca “solo” noto produttore cinematografico romano, che fondò una squadra ‘parallela’, il Napoli Soccer. Pronto a prenderne le redini, ripartendo però dalla Serie C. Anzi, spieghiamo: ripartendo dalla C a campionato quasi in corso, senza un calciomercato normale, con la possibilità di acquistare solo giocatori svincolati o attaccati al progetto.
Il prossimo anno ricorreranno i 20 anni di gestione di ADL, nel 2023 la sua squadra si è confermata ai vertici dal calcio italiano. Ma da dov’è partita l’impresa sportiva vista oggi? Da una rinascita. Una rinascita chiamata “Napoli Soccer“.
Aurelio De Laurentiis salva il Napoli
Domanda necessaria: perché il Napoli arrivò addirittura a fallire? Una grave crisi finanziaria costrinse Ferlaino – già dopo il secondo scudetto, nel 1990 – a ridimensionare interamente il progetto. Nel 1998 non ci fu più scampo: squadra retrocessa in Serie B dopo 33 anni consecutivi in Serie A. Nel 2000, il ritorno nella massima serie, poi persa nella stagione successiva. La società provò a correre ai ripari: entrarono Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi, ma la strada era in discesa e non si vedevano risalite all’orizzonte.
Oltre ai soldi, ecco, iniziarono a venir meno anche i risultati: nel 2004 fu dichiarato fallimento, con conseguente perdita del titolo sportivo. Dopo settimane a chiedersi del futuro del Napoli, De Laurentiis rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli, iscrivendo la nuova squadra con la denominazione di Napoli Soccer. Dovette partire dalla Serie C, provando ad allestire la squadra, con l’aiuto di Pierpaolo Marino, in poco tempo.
Il Napoli Soccer
La squadra del 2004 fu affidata a Gian Piero Ventura. E l’inizio fu traumatico. La leggenda, confermata da più fonti e versioni, è che al centro sportivo, durante gli allenamenti, la squadra non avesse neanche i palloni. Senza preparazione e con una rosa scarna, con un mercato verso la chiusura, Ventura mise in piedi un gruppo comunque importante: l’obiettivo della presidenza era ambire ai primi posti, ma nei primi match la squadra andò incontro a grandissime difficoltà. La lungimiranza fu quella di cambiare guida tecnica: da Ventura si passò a Reja, a stagione in corso. E Reja portò quel Napoli al terzo posto, in campo spesso con un San Paolo delle grandi occasioni.
Sì, perché quella squadra è rimasta ancora oggi nell’immaginario collettivo: arrivarono calciatori che fecero subito la differenza. Su tutti Calaiò, ma anche Fontana, Ignacio Pià, l’indimenticato Capparella. Con Reja, il sogno di risalire subito in Serie B divenne quasi realtà. Anzi: divenne un match dai brividi fortissimi, con i 63mila del Maradona presenti sugli spalti nella finale playoff con l’Avellino. L’andata, a Napoli, terminò 0-0. Il ritorno finì 2-1 per i biancoverdi.
Per tutta l’estate, gli azzurri sperarono di ritrovare ugualmente l’accesso in Serie B grazie al ripescaggio. E quasi ci riuscirono: il Messina fu bocciato dal Consiglio Federale, poi salvato dal Tar; ad agosto, il Pescara sembrava in bilico, lo stesso anche il Torino. Nulla da fare: toccava riprendersi la Serie B in campo.
Nel 2005-2006
Con una stagione importante alle spalle e – soprattutto – un calciomercato di livello, il Napoli Soccer si ripresenta ai nastri della Serie C1 da protagonista assoluta, da squadra da battere. E infatti parte forte, già in sede di compravendite. Arrivano, al San Paolo, il portiere Iezzo, Ruben Maldonado e un talentino niente male chiamato Mariano Bogliacino. Dopo una prima corsa sulla Sangiovannese, a metà novembre il Napoli chiude i conti anche coi toscani. Viaggia con velocità di crociera in serie cadetta, togliendosi un po’ di soddisfazioni in particolare in Coppa Italia, dove supera Pescara, Reggina e Piacenza, tutte di categorie superiore.
La Coppa finirà a gennaio, nel doppio confronto con la Roma, poco prima gli azzurri supereranno anche il Frosinone, con il quale si giocavano di fatto il primo posto. Reja sancisce la promzione il 16 aprile, contro il Perugia, davanti a 42681 persone. E rende grazie in particolare a Calaiò, autore di 19 reti stagionali.
Dal 2006 in poi, il Napoli torna a chiamarsi SSC Napoli, come la vecchia denominazione. A svelarlo fu il direttore generale degli azzurri, Pierpaolo Marino, intervenuto in una radio della città.