Lautaro Martinez ha deciso il derby di Milano con il suo 7° gol contro il Milan in 12 incontri. Il Toro, vero e proprio mattatore dell’incontro, si è visto anche annullare una seconda rete per un fuorigioco a dir poco millimetrico e più in generale è stato una costante spina nel fianco della difesa rossonera.
Fin troppo scontato pensare al 10 nerazzurro come all’uomo decisivo del match, ma è un’investitura che trova le sue motivazioni anche al di là del nome iscritto nel tabellino.
Una partita dominata, ma decisa solo dal guizzo di Lautaro
Partiamo dal gol che ha deciso il match, la precisa incornata su corner di Calhanoglu: non è certo la prima volta che Lautaro Martinez, a dispetto dei suoi 174 cm di altezza, di dimostra letale con i colpi di testa su calcio d’angolo: tempismo, rapidità di pensiero e anche la generosa concessione di spazio da parte della difesa rossonera hanno offerto al Toro l’opportunità perfetta per sbloccare la gara al 34°.
La partita è stata chiaramente dominata dall’Inter sotto tutti i punti di vista, ma il Milan, che negli ultimi periodi ha subito tremende imbarcate dal punto di vista difensivo, era sceso in campo con il primo obiettivo di limitare l’attacco nerazzurro. Nonostante le difficoltà incontrate, i difensori rossoneri hanno limitato al massimo i danni e, se non fosse stato per il guizzo di Lautaro, la partita sarebbe rimasta in parità a lungo e aperta a qualsiasi risultato.
Il lavoro di Lautaro al di là del gol
Come possiamo vedere dalla heatmap, l’attaccante argentino è stato un fattore a tutto campo per la squadra nerazzurra. Se il suo partner d’attacco, Edin Dzeko, ha lavorato maggiormente sulla verticale e dalla trequarti in avanti (fungendo come al solito da riferimento offensivo e rifinitore), Lautaro ha svariato lungo tutto il fronte d’attacco
Possiamo vedere come abbia insistito principalmente sul settore più debole dello schieramento milanista, ovvero il centrosinistra della difesa dove Gabbia ha avuto i problemi maggiori nel contenerlo, anche per la scarsa assistenza ricevuta da un Theo Hernandez che nel ruolo di esterno a tutta fascia non è apparso per nulla a proprio agio. Il terzino francese infatti non ha avuto spazio a sufficienza per esprimersi con le sue consuete cavalcate offensive, e in fase difensiva ha troppo spesso lasciato da solo Gabbia, ripiegando in ritardo.
Il peso offensivo di Lautaro si è sentito: il gol decisivo e un bilancio finale di 3 tiri nello specchio e 2 fuori, oltre al gol annullato per fuorigioco (grazie alle nuovissime tecnologie introdotte solo nel girone di ritorno: due settimane fa sarebbe stato convalidato).
Ma i numeri che ha fatto registrare in supporto alla squadra sono ugualmente importanti: 29 passaggi effettuati con una precisione del 62,1%, 8 duelli vinti, 3 intercetti, 2 falli subiti e 4 fatti: se il Milan è stato completamente incapace di costruire la manovra nel primo tempo è stato anche grazie alla continua pressione di Lautaro che, in concerto con Barella, ha completamente tagliato la comunicazione sull’asse Gabbia-Tonali.
Nel secondo tempo, sia per il riassetto tattico del Milan che per un calo fisico e mentale generalizzato nell’Inter, i rossoneri hanno avuto maggiori possibilità di giocare la palla lunga, pur non riuscendo mai ad arrivere alla conclusione verso la porta di Onana.
La crescita del Toro anche dal punto di vista mentale
Più in generale, al di là degli ottimi numeri, quello che colpisce del Lautaro Martinez tornato dal Qatar in veste di Campione del Mondo (seppur praticamente da comprimario) è la fame e l’intensità che continua a mettere in ogni match, a differenza di altri giocatori che idealmente dovrebbero aver maggior voglia di riscatto (come i francesi Hernandez e Giroud, ad esempio).
La fascia di capitano ereditata da Skriniar (in attesa del rientro in pianta stabile di Brozovic) sembrerebbe forse averlo anche responsabilizzato dal punto di vista comportamentale: in tante occasioni abbiamo visto il Toro accendersi sia con gli avversari che con gli arbitri, in particolare in partite tese e importanti. In un derby rimasto in bilico fino all’ultimo invece Lautaro ha contenuto al minimo le discussioni in campo e gli interventi più rischiosi.