The Witcher 3: Wild Hunt è stato pubblicato per la prima volta nel 2015 (Microsoft Windows, Playstation 4 e Xbox One) e poi su Nintendo Switch nel 2019. Nel dicembre 2022 è uscita l’edizione per PlayStation 5 e Xbox Seriex X/S, rieditata con alcune (necessarie) migliorie.
Ma cosa ci spinge a giocare, ad apprezzare e a parlare ancora di un titolo pubblicato la bellezza di otto anni fa? Lasciateci passare il termine romantico e quasi fuori luogo nel mondo dei videogame, ma probabilmente l’amore con cui è stato confezionato, che si traduce in cura e quindi in qualità.
LA NASCITA DELLO STRIGO
La lore della saga videoludica The Witcher e i suoi personaggi non sono frutto della creatività degli sviluppatori di CD Project Red. La saga, infatti, si ispira ai racconti e ai romanzi di Andrzej Sapkowski, scrittore polacco che miscela elementi classici del fantasy al folklore locale.
La Saga di Gerart inizia infatti nel 1985 quando Sapkowski partecipa ad un concorso letterario organizzato dalla rivista Fantastyka con il racconto Wiedźmin (Lo strigo). Il racconto ottiene inaspettatamente l’attenzione del pubblico. L’autore, spinto dalle richieste dei lettori, decide di continuare a scrivere fino ad abbandonare la carriera di economista per dedicarsi completamente a quella di autore.
Le opere di Sapkowski, alcune delle quali vincitrici di numerosi premi, letterariamente parlando hanno alcuni problemi. O almeno li hanno nelle traduzioni italiane, dove il linguaggio tende a scaraventare il lettore fuori dalla finzione letteraria. Al tempo stesso hanno però l’innegabile pregio di creare, passo dopo passo, un mondo che per quanto sia popolato da mostri e creature fantastiche risulta incredibilmente reale. Se nel fantasy classico generalmente c’è una forte contrapposizione fra bene e male, fra bianco e nero, nel mondo creato da Sapkowski è tutto grigio.
Quello in cui si muove Gerart di Rivia, lo strigo (cacciatore di mostri che poi nei videogiochi verrà rinominato “witcher”) è un mondo brutale, in cui il protagonista si troverà spesso davanti ad una scelta, ad un bivio, e ognuna delle sue decisioni farà del male a qualcuno.
LO STRIGO DIVENTA THE WITCHER
CD Project, fondata nel 1994, inizia il suo percorso con la traduzione in lingua polacca dei principali videogiochi occidentali. Ma è solo nel 2000 che l’azienda crea uno studio dedicato allo sviluppo di videogame. Si chiama CD Project RED e debutta sul mercato proprio con The Witcher, il primo capitolo di una serie basata sulle opere di Sapkowski. Il titolo, pubblicato nel 2007, è accolto in modo estremamente positivo sia dalla critica che dal pubblico. Due anni dopo, lo sviluppatore annuncia un sequel: The Witcher 2: Assassins of King, pubblicato poi nel 2011.
È così che arriviamo finalmente a quella che può considerarsi tutt’ora l’opera magna degli sviluppatori polacchi: The Witcher 3: Wild Hunt.
L’opera esce con un comparto grafico non all’altezza di quello mostrato nei trailer. Per esempio, l’interazione fra l’acqua e gli incantesimi è ridotta al minimo, alcune texture non sono al passo coi tempi e gli interni sono molto meno suggestivi degli ambienti esterni. Tutto questo non passa inosservato ai più pignoli, i quali fanno un po’ di rumore. Nonostante ciò, il gioco è un successo clamoroso e si aggiudica 259 premi tra i quali il GOTY (Game of the Year).
Seguono infatti due espansioni, The Witcher 3: Wild Hunt – Hearts of Stone (2015) e Witcher 3: Wild Hunt – Blood and Wine (2016). A queste si aggiungono due riedizioni del gioco: The Witcher 3 Game of the Year Edition (2016) e The Witcher 3: Complete Edition che è la versione completa di migliorie, uscita l’anno scorso per console di ultima generazione.
LE RAGIONI DEL SUCCESSO
Ma cosa rende tutt’oggi The Witcher 3 un’opera così curata? Se l’ambientazione e la maggior parte dei personaggi sono mutuati dalle opere letterarie, i due enormi meriti di CDPR sono stati sicuramente l’open world e la scrittura.
L’open world di The Witcher 3 ha una densità perfetta. Non è sterminato, ma non è nemmeno diluito. Non è troppo grande, ma è ricco di eventi e punti di interesse che spingono il giocatore a viverlo ed esplorarlo nella sua interezza, talvolta rinunciando anche alla comodità dei viaggi rapidi. Una calibratura così accurata in un’open world è tutt’oggi cosa rara, forse la si trova solo in Red Dead Redemption 2 (Rockstar Games, 2018).
L’altro punto di forza di questo gioco è la scrittura, anch’essa intrecciata alla natura di open world. La trama di The Witcher 3 è appassionante, ben scritta e, grazie ad un inizio quasi “in medias res”, permette di empatizzare da subito con i personaggi. Questa di per sé non è una caratteristica così rara nel mondo del videogioco. Lo è però la cura con cui sono state scritte le side quest. Le missioni secondarie sono spesso inserite negli open world come riempitivi o come metodi di farming. In The Witcher 3, invece, ognuna di queste missioni racconta una piccola storia che il giocatore intraprenderà, non solo per ottenere le ricompense finali (esperienza o equipaggiamenti) ma soprattutto perché è appassionante viverle.
Soltanto questi due elementi diventano motivi sufficienti per vivere, o rivivere, l’ultimo capitolo della saga di Gerart di Rivia. Perfino quella su nuova generazione, nonostante i limiti che può avere un videogioco che compie ormai 8 anni.
L’EREDITA’ DI THE WITCHER
A seguito del successo dei videogiochi, Netflix ha prodotto la serie TV “The Witcher” (2019) seguita da due prequel: The Witcher: Nightmare of the Wolf (2021, film di animazione) e The Witcher Blood Origin (2022, miniserie).
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Si ringrazia Nicola Benetton per la consulenza