Le inchieste sui bilanci della Juventus hanno portato nuovamente alla ribalta il tema delle plusvalenze nel mondo del calcio, ma spesso non è ben spiegato cosa sono e in che modo vengono utilizzate per sanare i bilanci delle società in difficoltà economica.
Cerchiamo quindi di spiegare cosa sono le plusvalenze, in che maniera possono essere utilizzate per “gonfiare” il bilancio di un club e quali sono stati gli esempi più clamorosi in questo senso.
Cosa sono le plusvalenze e come figurano nei bilanci dei club
Per capire cosa sono le plusvalenze bisogna pensare a come è strutturato il bilancio di una società di calcio: oltre alle proprietà fisiche che vengono messe a bilancio per il loro valore (come centri di allenamento, mezzi societari, attrezzature, etc.), una grossa parte del patrimonio è composta dai cartellini dei giocatori. Un club paga una determinata cifra per acquisire il diritto alle prestazioni sportive di un calciatore per un determinato numero di anni, e quel valore viene iscritto a bilancio.
Ovviamente vi è un ammortamento, ovvero una perdita di valore legata al passare del tempo, e nel caso dei cartellini questo ammortamento è legato alla durata del contratto. Il valore decresce a seconda degli anni di contratto rimasti con il calciatore: un giocatore appena acquistato viene iscritto a bilancio per la cifra versata per il suo cartellino, alla scadenza del contratto il suo valore sarà pari a zero. La questione è poi “complicata” dall’ingaggio che percepisce che va ad influire sull’ammortamento, ma per il discorso che vogliamo fare sulle plusvalenze è un dettaglio ininfluente, quantomeno per capire il meccanismo.
Ovviamente, il rendimento di un calciatore può fare aumentare la sua valutazione, e per una società questo vuol dire che è possibile vendere il cartellino per una cifra superiore a quella iscritta a bilancio, facendo registrare così un importante guadagno per la società, ovvero una plusvalenza. Per esempio, se una società ha comprato un giocatore per una determinata cifra (diciamo 1000) facendogli firmare un contratto di 5 anni, dopo 2 anni il suo valore a bilancio sarebbe di 600, dato che ogni anno il suo valore decresce di 200. Ma se a questo punto vendesse il suo cartellino per 2000, nel bilancio della società ci sarebbero la perdita di 600 e il ricavo di 2000: in questo caso la società iscrive un +1400 a bilancio.
Questo per quanto riguarda i giocatori che vengono acquistati da altre società, ma come ci si comporta con i giocatori che provengono dalle giovanili? Un giocatore proveniente dal vivaio è iscritto a bilancio per somme quasi nulle rispetto a quelle che girano normalmente nel calciomercato. Di conseguenza, quando una società vende un calciatore cresciuto nel proprio settore giovanile, incassa una cifra considerevole a fronte di una perdita patrimoniale che è praticamente pari a zero. Di conseguenza, anche incassando cifre più basse, con i giocatori delle giovanili le società vanno quasi sempre a guadagnarci.
Come si è arrivati ad abusare delle plusvalenze
Di per sé quindi il meccanismo delle plusvalenze è normale e anzi, è alla base della sopravvivenza di numerose società di calcio, soprattutto di quelle che puntano molto sui propri settori giovanili.
Il problema nasce dal fatto che la valutazione di un giocatore non è fatta su criteri oggettivi, che possano essere certificati e controllati da un organismo terzo. Se due società si accordano per una quotazione gonfiata dei propri giocatori con uno scambio, possono iscrivere a bilancio un guadagno virtuale senza che vi sia un vero scambio di denaro.
Se due società si scambiano due giocatori delle giovanili, che sono iscritti a bilancio per una cifra vicina allo zero, valutandoli entrambi 2000, il semplice scambio di cartellini porterà ad un nominale guadagno di +2000 per il patrimonio di entrambe.
Le regole attuali permettono di iscrivere a bilancio il guadagno immediatamente, mentre la spesa effettuata può essere spalmata sui bilanci per tutta la durata del contratto firmato con il giocatore.
Abusando di questi meccanismi i conti di un club restituiscono quindi una situazione patrimoniale che in realtà non ha una corrispondenza reale con la situazione economica, dal momento che per molti giocatori il valore iscritto a bilancio resta un valore virtuale, senza riscontro nel mercato reale, ovvero nessuna società pagherebbe realmente mai quella cifra per il cartellino del giocatore.
Alcuni esempi clamorosi di plusvalenze degli ultimi anni.
La Juventus ha effettuato numerose operazioni negli ultimi anni che hanno suscitato numerose perplessità, anche perché essendo società quotata in borsa deve sottostare a standard e controlli più rigidi.
Ad esempio i bianconeri nel 2019 hanno ceduto Leonardo Spinazzola alla Roma per 29,5 milioni (il giocatore era iscritto a bilancio per circa 3,5 milioni) e contestualmente hanno prelevato dai giallorossi Luca Pellegrini per 22 milioni, con un contratto di 5 anni. L’operazione ha quindi visto la Juventus ricevere effettivamente 7,5 milioni dalla Roma, ma nel bilancio è stato iscritto un guadagno di circa 26 milioni derivante dalla cessione di Spinazzola e una spesa di poco meno di 6 milioni per il primo anno di Pellegrini, ovvero la un quindi della cifra pagata.
Ci sono numerosi casi che riguardano scambi tra giocatori noti (Bonucci e Caldara con il Milan, scambiati per 35 milioni) e meno noti (Pablo Moreno e Felix Correia con il Manchester City, scambiati per 10 milioni, oppure Tongya e Aké con il Marsiglia, scambiati con un valore nominale di 8 milioni). Spesso poi tanti giovani iscritti a bilancio per cifre considerevoli sono finiti in giri di prestiti senza una vera e propria logica, come il giovane Zanimacchia finito al Real Saragozza dopo essere stato acquistato per un valore nominale di 4 milioni dal Genoa.
Ma non si tratta dell’unico caso: l’Inter ha spesso piazzato i suoi giovani per cifre considerevoli nell’ambito di operazioni con altre squadre. In alcuni casi si è trattato di investimenti giustificati dal successivo rendimento dei giocatori, come Zaniolo valutato 4,5 milioni nell’ambito dell’acquisto di Nainggolan, altre volte decisamente no, come Federico Valietti ceduto per 6 milioni al Genoa.
Il Napoli è finito al centro dei riflettori quando, nell’ambito dell’acquisto di Osimhen dal Lille per 75 milioni ha ceduto una serie di giocatori alla squadra francese per un totale di oltre 15 milioni: il trentacinquenne portiere Karnezis, prossimo alla scadenza e valutato più di 5 milioni, Luigi Liguori, ventiduenne valutato 4 milioni che rimase in prestito alla Fermana e mai mise piede in Francia, svincolato dopo un ulteriore prestito al Lecco per firmare con l’Afragolese, e i primavera Ciro Palmieri e Claudio Manzi, rispettivamente per 7 e 4 milioni: anche loro non vestirono mai la maglia della squadra francese, andando in prestito alla Fermana per poi svincolarsi e continuare la carriera nelle categorie inferiori.
I casi più clamorosi però sono stati quelli che sono costati a Chievo e Cesena multe e penalizzazioni che hanno segnato poi il tracollo anche sportivo delle due società. Le due società tra il 2013 e il 2015 si scambiarono decine di giocatori mettendo a bilancio milioni ogni stagione, ma tra tutti questi qualcuno in carriera al massimo ha fatto qualche apparizione in Serie C o nei campionati di Malta e Gibilterra, tutti gli altri hanno calcato campi di Promozione ed Eccellenza.