Il quinto turno di campionato, il primo che anticipa la Champions League, ha visto un sabato farcito di sfide di primissimo piano (Fiorentina-Juventus, Milan-Inter e Lazio-Napoli), che oltre allo spettacolo hanno portato con loro anche una buona dose di discussioni e polemiche.
Inter e Juve: le partite si giocano per 90 minuti
Ok, è una stagione particolare, con il campionato al via in pieno agosto e la Champions League già dietro l’angolo, ma i problemi fatti vedere da Inter e Juventus vanno al di là della tenuta fisica e delle difficoltà dovute al clima estivo.
La squadra di Allegri contro la Fiorentina è scesa in campo in maniera discreta, ma dopo aver trovato il gol dopo nemmeno 10 minuti con Milik, si è improvvisamente spenta.
Ma oltre alla pessima qualità del gioco espresso e all’atteggiamento decisamente troppo remissivo, sconcertano le dichiarazioni di Allegri del post-partita.
Una squadra del calibro della Juventus non può bearsi dei cinque risultati utili consecutivi quando tre di questi sono pareggi e il numero di azioni offensive e conclusioni in porta è a livello di squadra che lotta per la salvezza.
La Juventus di Allegri ha trionfato in passato in Italia grazie a questo atteggiamento conservativo e alla filosofia del “corto muso”, ma il livello medio del campionato sembra essersi alzato in questi ultimi anni, e la rosa juventina non è più così nettamente superiore alle avversarie.
Oggi diventa molto più difficile vincere le partite solo grazie alla superiorità tecnica dei propri giocatori se non si mette in campo intensità, corsa e atteggiamento propositivo per tutti i 90 minuti. Il pacchetto difensivo bianconero non è più quello dei tempi d’oro e il peso offensivo di tutte le avversarie è aumentato: facendo le barricate per 80 minuti è impensabile portare a casa le vittorie.
Ancor peggiore l’atteggiamento dell’Inter nel derby: dopo un buon inizio ed essere andati in vantaggio con una splendida combinazione tra Correa, Lautaro e Brozovic, gli interisti sono stati raggiunti dal gol di Leao sul brutto errore di Calhanaoglu.
Da quel momento in poi la squadra nerazzurra si è completamente disunita, incapace di evadere la pressione di un ottimo Milan a centrocampo e mostrando ancora una volta un’evidente fragilità nervosa, probabilmente esacerbata dal clima della stracittadina, con i giocatori che ad ogni errore si perdevano in discussioni e recriminazioni con i compagni.
L’Inter è praticamente scomparsa dal campo di San Siro per circa 40 minuti, senza che nemmeno l’intervallo portasse a maggiore calma e razionalità tra i nerazzurri. Solo l’innesto di due giocatori d’esperienza come Dzeko e Mkhitaryan hanno riportato un po’ di fosforo nella manovra interista, al punto che negli ultimi 20 minuti, dopo il gol del bosniaco che ha accorciato le distanze, la reazione è stata veemente e la squadra ha anche rischiato di acciuffare il pareggio, schiacciando gli avversari nella loro metà campo. Ma questa è solo un’aggravante.
Se da un lato infatti la reazione è stata sicuramente ammirevole, dall’altro sottolinea come gli sconcertanti 40 minuti precedenti non fossero dovuti a problemi di carattere fisico o tattico, bensì all’atteggiamento mentale dei giocatori. Una cosa che è più difficile correggere in allenamento.
Il VAR funziona, gli arbitri meno
L’introduzione del VAR è stata una rivoluzione epocale che si sta affinando anno dopo anno, risultando in protocolli di applicazione un po’ schizofrenici e a una certa confusione riguardo alle situazioni in cui viene invocato.
Una cosa che deve essere sempre chiara però è che la “A” della sigla sta per “Assistant”: si tratta di un assistente il cui ruolo è quello di aiutare l’arbitro, non di sostituircisi.
Ci sono stati alcuni episodi decisamente controversi in questo turno di campionato, come il rigore reclamato dalla Lazio contro il Napoli per un braccio in faccia di Mario Rui a Lazzari, oppure la spinta in area di Rodrigo Becao a Celik in Udinese-Roma o la mancata seconda ammonizione di Theo Hernandez nel derby quando ferma Dumfries durante una pericolosa azione d’attacco.
In tutti questi casi, e in molti altri, si è alzato un coro di “Ma il VAR a cosa serve?”, ma si è sempre trattato di situazioni in cui la visuale dell’arbitro era più che chiara e non c’erano margini per cui una ripresa televisiva potesse aggiungere elementi alla sua valutazione.
Si è trattato di decisioni giuste? Tendenzialmente no, ma si tratta comunque di decisioni sbagliate dell’arbitro, per cui si dovrebbe tornare alle care, vecchie lamentele contro il direttore di gara che rimane comunque il primo responsabile della direzione della gara, e che non può essere scavalcato dal suo assistente.
Mihajlovic: nonostante tutto, il Bologna non funziona
Sui social si sono letti commenti e insulti raccapriccianti riguardo Sinisa Mihajlovic e la sua malattia, ma le difficoltà del Bologna sono evidenti.
Ad essere onesti, la qualità del gioco espresso dai felsinei sotto la guida dell’allenatore serbo non è mai stata eccelsa, ma il carattere e la determinazione trasmesse dal mister hanno sempre portato il Bologna ad una tranquilla posizione di classifica in tempi brevi. Forse non è un caso però che dopo aver guadagnato la salvezza con buon anticipo, ogni anno il Bologna si “sgonfiasse”, come se senza un “pungolo mentale” i giocatori non riuscissero ad esprimersi al massimo.
Se è vero che il lavoro di Mihajlovic è prima di tutto mentale, riguardo alle motivazioni e all’atteggiamento dei suoi giocatori, sembra che non stia funzionando, con una squadra che non ha ancora vinto una partita, viene sistematicamente rimontata dagli avversari e non riesce a concretizzare le occasioni al di là del solo Arnautovic.
È legittimo quindi per la proprietà del Bologna interrogarsi sull’eventualità della sostituzione dell’allenatore, a prescindere dalle sue condizioni di salute. Non è il caso di tirare in ballo la malattia e la sfera personale dell’allenatore serbo, ma il Bologna ha un chiaro problema di atteggiamento che può essere ricondotto alla guida tecnica.