Ai fiumi d’inchiostro versati a ritrarre Giampiero Boniperti manca ancora un’altra pagina.
E non solo perché il calcio è uno di quei fenomeni per i quali l’interpretazione dell’evento fa l’evento stesso; ma anche perché, da nani seduti sulle spalle dei giganti, possiamo sempre arricchire un patrimonio già importante. Come?
Il nostro tentativo è quello di leggere la storia di Giampiero Boniperti in relazione alla figura dell’Avvocato, Gianni Agnelli. E non per una qualche retorica già usata e abusata, per la quale Agnelli vorrebbe dire Juventus – cosa peraltro vera.
Ma ancor prima per il rispetto che dobbiamo, in qualità di narratori, alle stesse parole dei protagonisti, senza che una sola virgola venga modificata. Ed ecco allora che Boniperti, Gianni Agnelli, lo descrive così:
La quintessenza dell’intelligenza.
Considerazione di riflesso: Giampiero Boniperti è un uomo di un acume raro. La sua duttilità – prima da giocatore, vedremo come, poi da dirigente e da presidente della Juventus – è un valore che, senza l’umiltà di chi è cresciuto con poco, si ridurrebbe a pura fuffa.
Campione in campo
Chiamato “Marisa”, con quello scherno tipico dell’ambiente paesano – di cui va giustamente orgoglioso –, Boniperti si vede dipinto come il belloccio dai lineamenti sottili e lineari, quasi geometrici, che, installati in un volto adornato dai biondi capelli ondulati, danno un’impressione sbagliata sì ai compaesani ma, prima di tutto, agli avversari.
Ci si aspetterebbe un ragazzo tutto sommato fragile, bonario. Certo, la tecnica non si discute. Il fiuto in zona gol neanche. Ma il calcio da quando è uno sport per angeli? Basti vedere a quale simbolo si richiamino le due formazioni di Milano per rendersi conto della violenta natura di questo meraviglioso sport – non a caso, a proposito, inventato dagli inglesi.
Boniperti si nasconde il bagaglio contadino sotto la suola delle scarpe. Lui, figlio di agricoltori, getta ogni santa domenica il seme del proprio talento, fino a quando una Vecchia Signora non s’innamora di lui. 60.000 lire che si spartiscono – fifty-fifty – Barenga e Momo, le due società proprietarie, a diverso titolo, del ragazzo. La madre continua a pregare per lui; quando gioca, Camilla trova quiete nella Chiesa vicino casa; sgrana il rosario e spera che il figlio non si faccia male.
Giampiero è fortissimo. Al suo primo anno da centravanti della Juventus chiude come capocannoniere davanti a un certo Valentino Mazzola, che giudica, insieme a Parola, i due giocatori più forti con(tro) cui abbia mai giocato. È elegante, Giampiero, palla al piede. È brevilineo, realizzatore efficacissimo. I suoi gol non sono mai banali e, cosa più importante, sono davvero tanti. Ne segnerà 178 in 444 partite; per uno come prima di iniziare si era augurato di giocare «anche solo una partita nella Juventus», non è male come risultato.
Con la Vecchia Signora vincerà cinque Scudetti e due Coppe Italia, senza mai raggiungere il traguardo delle coppe internazionali. Con l’Italia è ingiustamente poco ricordato. Anche qui la carestia di successi ne macchia il ricordo, ma con gli Azzurri sigla comunque 8 reti in 38 presenze. Rispetto alle attese di micidiale esecutore d’area di rigore, le cifre sono quantomeno bassine. Ma c’è un motivo: Boniperti viene scalato a centrocampo quando lì davanti, alla Juventus, si ritrova Sivori e Charles a scrivere pagine storiche della Juventus. Ecco donde, dunque, la sua duttilità. D’altra parte,
«Fare due gol agli inglesi è una cosa indescrivibile, per chi gioca al calcio».
Perché in effetti Giampiero di gol ne segna due, all’Inghilterra, ma non con la maglia della Nazionale, bensì con quella del Resto del Mondo – si sa; gli inglesi non hanno grandi manie di protagonismo, nevvero? La partita finisce 4-4 e Wembley viene letteralmente stregata da quel ragazzo dai riccioli d’oro.
Finito da capocannoniere davanti a Mazzola padre, incontrerà, ironia di una sorte tutt’altro che ironica, Mazzola figlio, Sandrino, in un celebre Juventus-Inter 9-1 di fine campionato, in cui Mazzola segnerà tra l’altro l’unico gol nerazzurro, dal dischetto, in una giornata che viene ricordata per motivi che esulano dal calcio giocato. Quella sarà anche l’ultima partita per Boniperti, che appende gli scarpini al chiodo nel 1961, ad appena 33 anni.
Campione dietro la scrivania
Come può pensare, però, Boniperti, di vivere senza la Juventus? Come può credere, la Juventus, di vivere senza Boniperti? Non si può.
E infatti il 5 novembre del 1969 Boniperti diventa amministratore delegato della Juventus. Risparmieremo qui il cursus honorum che lo vedrà prima dirigente, poi presidente, anzi presidentissimo, della Vecchia Signora. Concentriamoci invece sull’uomo Boniperti, e del suo rapporto speciale con Gianni Agnelli.
Alla guida della Juventus Boniperti e l’Avvocato vinceranno ben nove scudetti. Arriverà anche l’ambito traguardo internazionale, in finale di Coppa Uefa contro l’Athletic Bilbao. È il 1977 e siamo in piena epoca d’oro Trapattoni. La Juventus vince la partita di andata per 1-0 grazie ad un gol di Tardelli, ma andare a giocare al San Mamès è come entrare nella bocca di Lucifero e sperare di uscirne indenni.
Era da un po’ che Boniperti aveva assunto una strana abitudine. Al già particolare gesto di incrociare le dita nello scoccare un tiro, da calciatore, aveva adesso, da dirigente, sostituito quella “scaramanzia” con una addirittura più particolare: a fine primo tempo, Boniperti lasciava lo stadio, entrava in macchina del proprio autista e ascoltava il resto della partita sulle frequenze di Tutto il calcio minuto per minuto. Peccato che quella volta si giocasse in campo europeo, le frequenze fossero lontane da Bilbao e l’autista fosse rimasto a Torino.
Boniperti, sull’1-1, decide di uscire dal tempio basco. Si dirige al bar più vicino in compagnia di un amico e ordina due Carlos Primeros, bevanda locale.
In quel momento, dalla tv, si sente la voce del telecronista spagnolo annunciare la rete di Carlos. Il Bilbao si trova ora sul 2-1 e crede giustamente al miracolo – gli basta un gol per vincere la Coppa. Boniperti impazzisce e, come prima e ultima cosa, comanda all’amico di uscire dal bar in fretta e in furia. La Juventus vincerà quella Coppa per la regola dei gol in trasferta.
Per Boniperti, al netto di una carriera appassionante, e da giocatore e da dirigente, rimane il grande cruccio di non aver portato alla Juventus Maradona – nel viaggio s’era portato con lui Omar Sivori, ma qualche intoppo burocratico aveva frenato la trattativa – e Pelé, per il quale era pronto a sborsare 100 milioni.
Rimane, nella folgorante esperienza umana e sportiva di Boniperti, l’amore per la famiglia e per la moglie Rosy: «Due cose sono state fondamentali nella mia carriera di calciatore: il talento e mia moglie, Rosy».
Ci sono qualità che non invecchiano mai.
Boniperti ha sfiorato i 93 anni, è morto la notte del 18 Giugno del 2021 dopo una vita piena di carisma, piena di calcio, piena di Juventus.
Ma l’iconicità della sua figura è rimasta immutata nell’anima del tifo bianconero anche negli ultimi anni in cui si era ritirato a vita privata. Il suo amore per quei colori sono gli stessi di quel ragazzo che aveva in sogno di giocare con la Juventus almeno una volta.
Riassunta mirabilmente in quella che è la sua massima più celebre, divenuta motto per un popolo intero:
Vincere non è importante. È l’unica cosa che conta.
C’era una volta, e ci sarà sempre, Giampiero Boniperti, lo juventino del secolo.