Se è vero come è vero, che lo status di “oriundo” non è esattamente un passaggio finale di cui si sente parlare tanto negli ultimi anni, è altrettanto incontestabile che qualche decennio fa il termine aveva una concezione ben più importante.
Chi sono gli oriundi?
La definizione perfetta di oriundo, ce le regala Treccani.it, che ne parla analizzando il termine sotto un punto di vista generale ed uno, quello che interessa maggiormente a chi ci legge, sportivo e, in particolare, calcistico.
Per oriundo si intende un giocatore di una nazionalità straniera, ma di origine italiana, per questo motivo facente capo a quella schiera di cittadini italiani per i quali la normativa sportiva viene predisposta e perciò ammessi a fare parte della nostra nazionale di calcio.
In un mondo come quello che viviamo in questi ultimi decenni, in cui lo stravolgimento demografico e le normative di riconoscimento dello status di origine, hanno portato ad una più larga visione della materia a cui stiamo facendo riferimento, il termine “oriundo”, ha perso di efficacia.
Il discorso degli oriundi che entravano a fare parte della nazionale italiana, appassionava tifosi e addetti ai lavori qualche decennio fa, oggi si sente sempre meno il bisogno di ricorrere a questo termine.
Ma se vogliamo dedicarci all’attrezzo, dovremo imparare a conoscere i protagonisti di una delle nazioni che maggiormente è legata a filo doppio con il nostro Paese, l’Argentina.
Julio Libonatti che dilapidò una fortuna
Fu una sorta di precursore, il buon Julio Libonatti, primo oriundo in assoluto a indossare la maglia della nostra nazionale, nell’ormai lontanissimo 18 ottobre 1926, peraltro dopo aver giocato con la nazionale argentina 5 anni prima, quando giocò anche la Coppa America.
Nato in Argentina, a Rosario nel 1901 e morto 80 anni più tardi, sempre nella città più popolosa di Santa Fe, Libonatti giocò con la l’Albiceleste dal 1919 al 1922, per poi passare dal Newell’s Old Boys al Torino nel 1925, acquisendo così la possibilità di giocare con la nazionale azzurra.
Fu un grandissimo realizzatore, tanto che in 15 partite con l’Argentina, segnò ben 8 reti, ma il capolavoro lo fece con l’Italia, con la quale giocò 17 partite realizzando un clamoroso bottino di 15 reti!
Amante della bella vita e delle belle donne, chiuse la sua felice avventura nel nostro Paese facendosi prestare il denaro sufficiente per prendere la nave e tornare in Argentina…
Cesarini e la sua “Zona”
Alzi la mano, invece, chi non ha mai sentito parlare della “Zona Cesarini“, quella che caratterizza una rete segnata nei momenti conclusivi della partita. Tale combinazione di parole, deriva da uno dei giocatori oriundi, nato in Italia, ma cresciuto in Sud America, in Argentina in particolare.
Fu un ottimo giocatore della Juventus e negli anni passati con la maglia bianconera, mette nel suo palmares 11 presenze e 3 gol con l’Italia. Uno di questi, in una partita di Coppa Internazionale, fu segnato a pochi secondi dal triplice fischio, episodio che dette origine alla “Zona Cesarini”.
Omar Sivori e Antonio Angelillo
Qualche anno più tardi, più o meno un decennio, fu il momento della consacrazione degli oriundi argentini in Italia. Uno di quelli che lasciarono un’impronta più significativa rispetto ad altri, fu Sivori.
Pallone d’oro nel 1961, quando militava con la Juventus, è considerato da molti uno dei migliori giocatori della storia del calcio e proprio con la maglia bianconera passò il suo periodo più florido da calciatore, dal 1957 al 1965, giocando 215 partite e segnando 135 reti.
Visto anche a Napoli sul finire della sua carriera e con minori risultati rispetto a quanto fatto vedere a Torino, Sivori si buttò nella carriera di allenatore, senza però mai sedersi su una panchina italiana.
Giocò con la nostra nazionale in virtù del fatto che il regolamento della Federazione argentina vietava ai propri giocatori di indossare la maglia Albiceleste nel caso in cui militassero in una squadra di club che non fosse argentina.
Sono poche le presenze di Sivori in nazionale, 9 con 8 gol all’attivo, comunque superiori a quelle di Antonio Angelillo, che giocò con l’Argentina 11 partite segnando altrettanti gol, ma solo 2 con l’Italia, con la quale fu uno il gol realizzato. Angelillo militò nelle fila dell’Inter.
Sivori, Angelillo e Maschio, anche lui con sole due presenze all’attivo, ma nessun gol per la nazionale italiana, formarono il celeberrimo “tiro dalla faccia sporca”.
Camonaresi e la nidiata moderna degli oriundi
Tra i giocatori che più ci hanno fatto sognare come tifosi della nazionale, ci sono quelli della nidiata di inizio millennio. Chi tra di loro merita una menzione particolare anche in virtù del mondiale vinto in Germania nel 2006, è certamente Mauro German Camonaresi.
Rispetto ai giocatori citati fin qui, il nativo di Tandil, è approdato alla maglia azzurra poiché ignorato dallo staff tecnico della “Seleccion” che non lo ha praticamente mai preso in considerazione. Il mondiale vinto dall’Italia sotto la guida di Marcello Lippi, è stato una specie di rivincita perfetta per il centrocampista tutto fare di Verona prima e Juventus poi.
In nazionale ha giocato quindi solo con l’Italia, in virtù della cittadinanza tricolore acquisita alla luce delle sue parentele italiane e della sua discendenza da un bisnonno paterno Luigi, originario di Porto Potenza Picena, giocando la bellezza di 55 partite e segnando 4 reti. Camoranesi ha disputato con la maglia azzurra due europei, due mondiali e tutte le qualificazioni a questi eventi.
Tra gli oriundi è il giocatore che detiene il record di presenze, unico nel dopo guerra ad aver vinto un Campionato del Mondo.
Tra gli oriundi che avevano partecipato alle vittoriose spedizioni dei mondiali del 1934 e del 1938, vanno ricordati Attilio Demaria e Raimundo Orsi.
Tra coloro che hanno sposato la causa azzurra tra gli oriundi di terza generazione, figurano anche Pablo Osvaldo, Gabriel Paletta, Christian Ledesma ed Ezequiel Schelotto, che, tra giovanili, olimpiche e nazionale maggiore, non hanno lasciato un marchio indimenticabile nelle nostre nazionali.
Chi non ha completato il passaggio decisivo
Tra quelli che invece ci sono andati solo vicini, ci sono nomi davvero importanti, a cominciare da Alejandro Gomez.
Il “Papu” non è mai approdato alla maglia azzurra, per via di un cavillo regolamentare della FIFA, che prevede, nel caso in cui si giochi una partita con le giovanili nazionali, di detenere in quel momento, il doppio passaporto. Prima dell’arrivo in Italia, Gomez giocò i mondiali con la Under 20 albiceleste, ma nel 2007 non aveva ancora la doppia cittadinanza, evento che gli avrebbe poi impedito di entrare nei ranghi azzurri, nonostante il forte interessamento degli staff tecnici che si sono avvicendati negli anni. Successivamente è entrato nel giro della nazionale maggiore.
Anche Federico Fazio, negli anni di maggior produzione calcistica, era entrato nel giro dei rumors per fare parte della nazionale azzurra, avendo i nonni italiani. Nel giro di qualche tempo, però, è arrivata la chiamata dalla Seleccion e non se n’è fatto più niente.
Discorso simile per Paulo Dybala che ha fatto praticamente tutta la trafila delle nazionali giovanili argentine e, nonostante l’invito di Antonio Conte, allora Commissario Tecnico dell’Italia, l’argentino, che ha giocato le sue ultime sette stagioni alla Juventus, ha sempre preferito attendere la chiamata della nazionale del suo Paese di nascita, per coronare il suo sogno di giocare con Leo Messi.
Anche per Mauro Icardi si può fare un discorso simile, visto che l’attuale centravanti del PSG, ha sempre dichiarato, ben prima del suo esordio con l’Albiceleste nel 2013, di voler giocare con la maglia dell’Argentina.