La storia delle strepitose vittorie di Marco Pantani è purtroppo indissolubilmente legata alle ombre sulla sua tragica fine, e se c’è un momento della sua carriera dove il declino emotivo ha avuto inizio, forse è proprio in quel maledetto 5 Giugno del 1999, ovvero quando da assoluto padrone dell’ottantaduesima edizione del Giro d’Italia, venne squalificato a due tappe dal termine dando inizio al declino che ne decretò la fine (e non solo della carriera purtroppo).
Pantani piglia tutto
Prima di entrare nel dettaglio di quel giro maledetto, c’è da fare un piccolo passo indietro per cogliere la grandezza del mito che si stava creando intorno a Marco Pantani.
Il ciclista che si era presentato al via di quell’edizione infatti, aveva già scritto un pezzo di storia della disciplina, vincendo l’anno prima l’accoppiata Giro+Tour come era riuscito in passato solo ai grandi nomi della storia: da Coppi a Merckx, passando per Indurain e Hinault, sono stati solo sette a compiere l’impresa (a completare c’erano riusciti anche Roche e Anquetil).
Non è un caso se proprio dal 1998, dopo Marco, nessuno è più riuscito a raccogliere la doppia vittoria nelle due competizioni a tappa più importanti.
Il Giro d’Italia del 1999: una vittoria (quasi) scontata
Ecco perchè alla vigilia di quel Giro d’Italia del 1999, il favorito d’obbligo non poteva che essere proprio il campione romagnolo del team della Mercatone Uno-Bianchi.
La pattuglia rosa prende il via da Agrigento, lasciando come solito le prime tappe ai velocisti, prima di salire di quota verso il Gran Sasso. E non appena la strada si mette in salita ecco subito Marco Pantani uscire alla ribalta conquistando tappa e maglia rosa. Solo un assaggio, perchè poi nella cronometro seguente Laurent Jalabert fa il vuoto conquistando la prima posizione che terrà fino al primo giorno di riposo.
Da quel momento in poi le luci sono tutte per Pantani. A Borgo San Dalmazzo la vittoria va a Paolo Savoldelli, ma è proprio Marco a indossare nuovamente la maglia del leader del Giro, con un vantaggio che andrà a incrementare poi il giorno successivo nella salita fino al Santuario di Oropa, dove compie un’autentica impresa recuperando tutto e tutti dopo un salto di catena che lo aveva costretto a fermarsi attardandosi sul resto del gruppo.
Da assoluto protagonista, conquista le due tappe di montagna consecutive a inizio giugno in quel dell’Alpe di Pampeago e soprattutto nell’arrivo a Madonna di Campiglio del 4 Giugno, dove il suo distacco dal secondo (lo stesso Savoldelli) era di oltre cinque minuti e mezzo. A due tappe dalla fine insomma, la storia sembra scritta e Pantani non pare avere altri ostacoli per la meritata conquista del suo secondo Giro consecutivo. E invece…
5 Giugno 1999: Pantani squalificato dal Giro
Dal possibile trionfo annunciato, per Marco Pantani si apre invece il baratro dell’oblio più terribile, quello della squalifica. Proprio la mattina del 5 Giugno infatti, alla vigilia della tappa di 190 chilometri che doveva portare il gruppo da Madonna di Campiglio ad Aprica, una notizia sconvolge tutti: dopo i controlli a campione del mattino, Pantani risulta avere valori di ematocrito troppo alti e pertanto verrà sospeso per quindici giorni.
Il valore rilevato risulta infatti intorno al 51.8%, al di sopra della soglia di regolamento fissata al 50% (più l’1% di margine). Un dramma sportivo che coinvolge tutta la sua squadra, che decide di ritirarsi, insieme al proprio capitano, dal Giro.
La decisione dell’UCI (Unione ciclistica internazionale) però è irrevocabile, malgrado lo stesso Pantani per primo lamenta qualcosa di strano e si professa totalmente innocente dall’accusa di doping.
Il suo volto tirato quando si presenta ai giornalisti quella mattina (con tanto di mano fasciata, si racconta, dopo aver distrutto uno specchio nella sua camera d’albergo appena saputo la notizia), è preambolo e presagio di quanto succederà poi in futuro.
L’inizio della fine
Il valore alto di ematocrito rilevato negli esami di controllo, causò quindi l’immediata sospensione per due settimane del corridore, come da regolamento (introdotto proprio da poco). Persistono però diversi dubbi su quell’esito, visto che lo stesso Pantani effettuò altri due test in quello stesso lasso di ventiquattro ore, con risultati però decisamente differenti.
Sia quello fatto in autonomia la sera precedente, sia quello svolto il giorno della squalifica in un centro specialistico di Imola, restituivano infatti valori attorno al 48%, alti ma ancora entro la soglia del regolamento.
Ancora oggi resta quindi qualche dubbio sulla validità di quel controllo, tanto che negli anni a venire persino il procuratore di Forlì, Sottani, ammette la possibilità che qualcuno possa aver truccato quelle provette proprio per togliere di mezzo un Pantani ormai lanciato verso la vittoria (movente forse sufficiente per la malavita delle scommesse clandestine).
Di fatto il “Pirata” non fu mai effettivamente condannato per “frode sportiva” (quindi per doping), ma questa come si suole dire è un’altra (oscura e mai svelata) storia.
Quello che resta è che gli esami bastarono per far scattare la sospensione di due settimane e dare una svolta alle ultime due tappe di quel Giro del 1999. Di fatto, l’ultima occasione dove abbiamo avuto la possibilità di vedere il “vero” Marco Pantani, prima del declino sportivo e purtroppo anche umano che lo porterà alla scomparsa prematura (anch’essa avvolta nei dubbi e nel mistero).
La chiusura del Giro d’Italia
Non bastarono le proteste accese dei sostenitori di Pantani, nè il ritiro della sua squadra per protesta, nè la rinuncia di Savoldelli ad indossare la maglia rosa (essendo secondo in classifica alla vigilia della 21° tappa in partenza da Madonna di Campiglio).
Ad Aprica in quel 5 giugno arrivò un gruppetto di testa guidato dallo spagnolo Roberto Heras che si aggiudicò la tappa, con Ivan Gotti secondo e nuova maglia rosa del Giro (lasciando Savoldelli a oltre tre secondi e mezzo).
La parata verso Milano del giorno dopo non cambia una virgola nella classifica finale, con Gotti a portarsi a casa il suo secondo Giro d’Italia, ma lascia tutti con l’amaro in bocca per quello che è stato e soprattutto per quello che sarebbe potuto essere.