Spesso si dice che il cervello è un muscolo e come tale ha bisogno di esercizio.
Il 50% di questa affermazione non è corretta, perché il cervello non è muscolo. L’altra metà, però, dice una cosa vera, nel senso che anche questo organo fondamentale deve essere tenuto in esercizio per evitare decadimento e atrofie.
Esistono tante “palestre” per il cervello. La lettura, lo studio, l’arte, l’abitudine a ragionare e a conversare.
Anche il gioco in generale è un ottimo allenamento per la materia grigia, perché giocare stimola il ragionamento su più livelli e in modi diversi. Senza contare che la passione ludica è un modo per rimanere giovani.
Ma quando giochiamo alleniamo solo il cervello? Per quanto possa sembrare strano ci sono alcuni giochi da tavolo che coinvolgono la muscolatura vera e propria…
Spostare una pedina su una scacchiera o una miniatura sulla plancia di un boardgame ci sembra un esercizio un po’ troppo blando. Abbiamo in mente qualcosa di più energico, anche se il muscolo coinvolto è il medesimo, cioè quello delle dita.
Esistono almeno due giochi da tavolo/tavoliere dove il protagonista è un dito: principalmente (ma non esclusivamente) l’indice, destro e sinistro che sia.
Volete sapere quali sono questi giochi “in punti di dito”?
Il primo è il Carrom. Un gioco antichissimo, nato (sembra) in India ma diffuso anche in Yemen, Etiopia, Paesi del Nord Africa e Regno Unito.
Un po’ alla volta il Carrom si è diffuso anche nel nostro continente. Si dice addirittura che Wolfgang Amadeus Mozart sia stato un grande appassionato, un vero e proprio campione di Carrom!
Dall’inizio degli anni ’90 si gioca ufficialmente anche nel nostro Paese dove è presente la Federazione Italiana Carrom, affiliata a quella Internazionale (ICF). Degna di menzione è la vittoria nel doppia ottenuta dagli azzurri Gianluca Cristiani e Shriyantha Weerasinghe al campionato europeo del 2010.
Il Carrom è in sostanza una specie di biliardo giocato con le dita. L’origine della parola sembra sottolineare questa parentela ludica. Si pensa infatti che la parola carrom derivi dal nome di una pianta nativa dell’Indonesia e dell’India chiamata Karambal che i Portoghesi adattarono in caramboliera, chiamando il suo frutto rosso carambola. Potrebbe essere nata così la carambola, parente stretta del carrom. (fonte carromitaly.com)
Le regole del gioco sono abbastanza semplici. Lo scopo è mandare le proprie pedine (9 in tutto) nelle 4 buche posizionate agli angoli del tavolo. Le pedine vanno colpite lo striker, cioè la pedina neutra (potremmo definirla il “boccino”) che invece non va imbucata. C’è inoltre una pedina rossa, la Regina, che può essere mandata in buca più volte nella partita. E’ necessario però imbucare una delle proprie pedine prima e dopo la Regina.
La partita viene vinta dal giocatore che insacca per primo tutte le proprie pedine: in questo modo riceve un punto per ogni pedina avversaria rimanente più tre punti nel caso il vincitore abbia imbucato anche la regina. (fonte wikipedia)
Come detto, il Carrom è molto simile al biliardo, un mix tra quello all’americana e il britannico snooker. La differenza principale, però, è chiara: al posto della stecca si usa un dito!
L’indice (o il medio) è protagonista anche nel Subbuteo.
Qualcuno forse ricorderà di aver giocato da bambino con i tappi delle bottiglie, usandoli a mo’ di calciatori per colpire una pallina di carta e fare gol. Bene, il Subbuteo è proprio questo: una simulazione di calcio soltanto un po’ più evoluta di quella dei tappi, grazie a miniature in plastica da muovere a colpi di dito su un panno verde.
A prima vista, si tende a penare che sia un gioco abbastanza recente, ma in realtà il Subbuteo ha quasi cento anni. E’ stato inventato più o meno negli anni Trenta in Gran Bretagna e poi codificato nel 1947 da Peter Wells, un ornitologo del Kent appassionato di calcio.
Da lì il gioco si è diffuso molto rapidamente in Europa. In Italia – e non poteva essere altrimenti – il Subbuteo ha riscosso un grande successo, soprattutto dalla metà degli anni ’70 alla fine del XX secolo.
Nonostante il buon numero di appassionati, nel 2000 l’editore Hasbro (che negli anni ’90 aveva rilevato la Waddingtons Games, proprietaria del brevetto) ha deciso di interrompere la distruzione del gioco, ritenendolo obsoleto rispetto ai videogame calcistici.
Questo ha avuto un impatto negativo sulla diffusione del Subbuteo, almeno per alcuni di anni. Poi, nel 2003, la produzione del gioco è ricominciata: precisamente in Italia, grazie all’editore Edilio Parodi il quale, su licenza Hasbro, ha sviluppato Zëugo (“gioco” in genovese).
L’operazione Zëugo ha risvegliato anche l’interesse di Hasbro che nel 2009 ha riproposto in Italia il “vecchio” Subbuteo attraverso una collana edita dalla Fabbri Editori e distribuita nelle edicole. Tre anni dopo Hasbro ha tentato di sostituire le miniature dei calciatori in plastica con sagome in cartoncino, ma l’operazione si è rivelata fallimentare. Il colosso americano dei giochi è così tornato alla produzione in plastica.
Nel nostro Paese esiste una Federazione Italiana Sportiva Calcio da Tavolo che promuove l’utilizzo delle miniature pre-Zëugo e la Lega Nazionale Subbuteo che si impegna nella diffusione del gioco nel suo insieme.
Come anticipato, il Subbuteo è un gioco di calcio dove le miniature vengono mosse sul campo a colpi di dito. Lo scopo è ovviamente quello di colpire la palla con un miniatura e mandarla in rete (o pararla con il portiere dotato di asticella di movimento).
Ci sono una serie di regole da rispettare, molte delle quali simulano quelle del calcio reale (il fallo, il fuorigioco, il calcio d’angolo, la rimessa), altre sono specifiche del gioco (i movimenti senza palla, la linea per il tiro a rete etc). Il regolamento completo è reperibile facilmente su Internet, anche a partire dalla pagina dedicata su Wikipedia.
Ma il vero colpo di genio del Subbuteo sono le miniature. Realizzate in ottima plastica antiurto (eppure ogni tanto si “infortunano” anche loro…), dipinte con i colori dei club più famosi e delle nazionali di calcio di tutto il mondo, sono installate su una base semisferica. Questo consente di fare giocate molto particolari, tutto dipende dall’abilità del dito e magari dalla conoscenza di qualche “trucco”.
Le miniature possono colpire la palla a distanza, se si riesce a farle scorrere in modo lineare: per questo un po’ di detergente per mobili distribuito sulla base della miniatura può essere d’aiuto! Oppure si può fare in modo che una miniatura ne aggiri un’altra che sta proteggendo la palla. E’ il famigerato colpo ad “effetto” che si ottiene sfruttando il piccolo peso in metallo nascosto all’interno della base.
Le miniature, infatti, se vengono colpite senza imprimere troppa forza hanno un andamento ondeggiante che consente giocate spettacolari.
Ma il vero spettacolo è la passione dei giocatori, non solo quando si tratta di competizioni. Alcuni dipingono le miniature, altri applicano adesivi con i numeri sulle magliette. Altri ancora acquistano terne arbitrali, cartelloni pubblicitari, fari per l’illuminazione e spalti per creare un vero e proprio stadio di calcio.
Senza contare l’aspetto collezionistico che dopo decenni è più vivo che mai. Alcune squadre “in miniatura” degli anni ’70 oggi possono costare svariate centinaia di euro. Non ci credete? Provate a dare un occhio su eBay.
Ultima curiosità. Negli anni ’90 è stata realizzata anche la versione Rugby del Subbuteo. Oggi è quasi introvabile e, se la trovate, preparatevi a sborsare circa 200 euro.
Solo per amanti della palla ovale!
Immagine di testa credits www.calciotavolo.net