Sempre stato divisivo, ma sarebbe ingiusto non attribuirgli grandi meriti nel cambio del calcio italiano. Gigi Maifredi è stato uno dei massimi teorici (e pratici) del nuovo calcio che confluì nell’era sacchiana. Spieghiamo: è stato uno dei fautori del cambiamento del calcio italiano, alle prese con un’evoluzione senza precedenti.
Dopo appena due stagioni da calciatore, già a 30 anni inizia la sua carriera da allenatore. Parte da vice a Crotone, poi Lumezzane, Orceana e Ospitaletto. I risultati sono buoni, soprattutto il suo calcio ruba l’occhio. Nel 1987 arriva la telefonata del Bologna, in Serie B. E cambia tutto, ogni cosa, cambia un po’ anche Gigi.
Un altro Sacchi?
Il Milan di Arrigo Sacchi ha cambiato il calcio alla fine degli anni ’80, in quella che oggi è considerata un’evoluzione tattica radicale. Sacchi ha rinunciato alla solita marcatura a uomo e alla figura del libero per fare della cosiddetta zona integrale il suo sistema di marcatura. Variando e perfezionando molti concetti di quell’Arancia Meccanica di cui ammetteva di essere un fedele seguace, il tecnico spostava la linea di fondo delle sue squadre in avanti, fin quasi al centrocampo, riuniva le sue tre linee e, con la trappola del fuorigioco ancora poco sfruttata come elemento centrale, spingeva in blocco gli avversari in avanti fino a soffocarli dentro una gabbia sotto forma di 4-4-2.
Prima che Silvio Berlusconi assumesse lo sconosciuto Arrigo nel 1987, aveva allenato solo a livello giovanile. È stato proprio il modo in cui ha giocato nelle partite di coppa con il suo Parma e il Milan che riuscì a entusiasmare il presidente milanista. Dopo aver portato il Parma in B, Sacchi arrivò in Seria A all’età di 41 anni e vinse lo scudetto all’arrivo dopo aver superato il Napoli di Maradona nel tratto finale della stagione.
Maifredi seguiva quella scia lì. All’età di 40 anni aveva portato il Bologna in Seria A nella stessa stagione in cui il nativo di Fusignano firmò per il Milan. Nei suoi primi passi da allenatore, nei primi anni ’80, Maifredi aveva lavorato per la casa di champagne francese Veuve Cliquot. Per inciso, il gioco frizzante ed effervescente che sviluppò a Bologna fu battezzato esattamente “calcio champagne“, un’etichetta associata in quegli anni alla grande squadra francese guidata dalla stella della Juventus, Platini.
Quel Bologna
Dopo sei anni di assenza dalla Serie A, il Bologna torna nel campionato più importante nell’estate del 1988: il campionato è vinto, dominato, 51 punti e quindi davanti a Lecce, Lazio e Atalanta.
Gino Corioni, presidente, aveva vinto la sua scommessa: con Maifredi aveva avuto tutto, una squadra in grado di giocare con intensità e soprattutto vittorie pesanti.
Così, la zona e il 4-3-3 diventano marchio di fabbrica anche nella massima serie. Fino al 1989 c’è un momento in cui è tutto ancora in bilico, in cui tutto è ancora da capire. È il classico campionato intermedio: ha buone tappe, ma è utile solo per salvarsi (e per una finale di Mitropa Cup), con un quattordicesimo posto che aveva stuzzicato le ambizioni di Corioni.
Cosa fare per cambiare la propria sorte? Mercato. Risposta facile, per certi versi scontata in quel calcio italiano così ricco e così ricco di sorprese. E allora, ecco Iliev, difensore bulgaro, ma soprattutto Geovani, il regista del 4-3-3 di Maifredi. In avanti arriva Waas, Hagi a un passo ma non firma. In particolare, il colpo è Cabrini nel ruolo di terzino, in arrivo dalla Juventus. Alla fine del girone d’andata, il Bologna va al massimo: 18 punti accumulati.
Il pareggio a Torino contro la Juve, quello in casa con l’Inter, la prima vittoria con il Bari e nessuna sconfitta nelle prime 8 giornate. Addirittura sfiora i tre punti con la Roma nell’ultima giornata di andata, ma Rizzitelli pareggia al 90′ e cambia la sorte di tutti. Comunque, anche nella seconda parte di stagione, arrivano 16 punti, anche senza vittorie nelle ultime quattro partite. Il campionato è storia del Napoli di Maradona, ma con Maifredi il Bologna arriva ottavo, trascinato da Bruno Giordano, arrivato in estate dall’Ascoli. 9 reti, tutte fondamentali. E Bologna che sogna. Fino almeno alla telefonata di Boniperti e alla famosa risposta della signora Maifredi: “E io sono Grace Kelly”. Maifredi, che aveva già rifiutato due anni prima i bianconeri, accettò la proposta del presidentissimo. Il resto è storia.
La rosa del Bologna 1989/1990
Ed è storia anche la formazione di quel Bologna lì. Con Cusin in porta – ex Lazio, Brescia, Pescara e Como – e una difesa invidiabile a coprirlo: da una parte Luppi (che seguì poi Maifredi alla Juve), dall’altra Cabrini, appena preso dai bianconeri. In mezzo, senza copertura di libero, la tigna di Renato Villa e il talento di De Marchi (altro futuro bianconero).
Il fulcro del gioco però era sempre Geovani Silva, brasiliano, la grande promessa del calcio carioca insieme a Romario. Nato centrocampista offensivo, Maifredi gli dà le chiavi di tutto, il compito di far girare al massimo il Bologna. Anche perché a proteggerlo sarebbe stato un mastino come Bonini, insieme a Stringara: due che non le mandavano a dire. Anzi: erano lì proprio per quello, per liberare Geovani stile quarterback. Però tutto questo restò principalmente sulla carta: il brasiliano non si integrerà mai completamente nelle trame di gioco di quel Bologna, tanto che Maifredi coniò una sorta di antesignano “albero di natale” con Giordano e Poli, uomini di qualità, ad inventare gioco offensivo.
In avanti, quindi, era spazio alla fantasia. Bonetti, che avrebbe fatto poi la storia con la Sampdoria (altro ex Juve), rubava palloni e s’inseriva con costanza; Waas, una Coppa Uefa con il Leverkusen, arrivò poi a metà stagione e aggiunse reti ed eleganza. Ma il nove, quello vero, quello che seppe trascinare un gruppo giovanissimo e temibilissimo, era Bruno Giordano.
Aveva già vinto con il Napoli, aveva fatto persino la differenza all’Ascoli, quindi l’anno con il Bologna. Segnando ancora una volta la storia.