La storia dello sport è piena zeppa di baby-prodigi che esplodono in età scolare per poi mantenere o disattendere le promesse per un futuro luminoso.
Fa certamente parte della categoria, anzi, forse ne è il paradigma più significativo, Jennifer Capriati, considerata, all’epoca del suo precoce passaggio dal tennis giovanile a quello professionistico, la risposta americana al dominio europeo di giocatrici come Steffi Graf.
Jennifer Capriati, the “Infinite Jest”
Se vi piace la letteratura sportiva, o comunque i libri che trattano in profondità argomenti sportivi, anche legati a doppio filo con problemi “altri” della società moderna, “Infinite Jest” di David Foster Wallace, potrebbe fare al caso vostro.
Sono in tanti a dire che se si riesce a scalare una montagna come quella della lettura completa di un libro come questo, qualsiasi altra sfida letteraria diventerà di irrisoria facilità.
È vero, assolutamente vero. Per trovare un minimo ristoro durante l’immersione completa nei criptici e talvolta apparentemente impossibili codici cifrati delle parole di DFW, occorre abbandonarsi ai pochi spiragli che lo scrittore concede, la maggior parte dei quali facenti riferimento ai racconti romanzati di ciò che succede all’interno di una scuola di tennis per adolescenti, in attesa dell’esordio nello “show”.
Lo “show” altro non è che la carriera professionistica dei tennisti, accessibile a pochi, pochissimi eletti.
Le luci dello show si accesero sulla cameretta di Jennifer Capriati presto, fin troppo presto, addirittura quando nemmeno sarebbe stato lecito.
L’esordio al Boca Raton
Era il marzo del 1990 e la satunitense di origini italianissime, papà Stefano era di Brindisi, avrebbe compiuto 14 anni a fine mese, il 29 per l’esattezza, e arrivava da una stagione precedente durante la quale aveva battuto tutti i record di precocità, bevendosi letteralmente i tornei Juniores del Roland Garros, dello US Open, del Hard Court e del Clay Court, richiamando così l’attenzione di tutta la stampa internazionale che ne parlava già come della futura numero 1 del mondo, senza che il tempo ci facesse attendere tanto.
L’attesa per vederla sui palcoscenici internazionali più in vista, fu letteralmente bruciata insieme alla regola che, per esordire in un torneo aperto ai professionisti, era necessario aver compiuto il 14° anno di età.
Gli organizzatori del “Boca Raton”, che i più ricorderanno, forse, con il nome di “Virginia Slim“, decisi a prendersi oneri e, soprattutto, onori originati dall’esordio della giovane Jenny nel favoloso mondo degli adulti, riuscirono a convincere il circuito tennistico professionistico con la richiesta di una deroga alla regola.
La deroga verteva sul fatto che, pur non avendo compiuto il 14° anno di età, la Capriati avrebbe potuto partecipare al torneo, in quanto alla fine dello stesso mese, l’evento sarebbe comunque accaduto.
Non furono tante le resistenze di pubblico, stampa e semplici osservatori di un’America nel pieno della sua espansione economica, accecata dalla necessità di creare l’ennesimo personaggio offerto sull’altare della presunta onnipotenza a stelle e strisce che doveva prevalere su tutto.
Il 5 marzo partì il torneo con Baby-Jenny presente e sorteggiata contro Mary Lou Daniels, un primo turno che venne preceduto da una specie di rito iniziatico di natura social-culturale che fece letteralmente uscire di testa gli americani.
Delirio collettivo
Racconti e leggende più o meno veritiere, infestarono i talk show sportivi con il tentativo, peraltro perfettamente riuscito, di preparare il percorso della ragazzina che avrebbe messo le cose a posto a favore degli USA che non potevano continuare ad essere presi a pallate dall’antipatica tedesca (alludiamo ovviamente a sua maestà Steffi Graf), peraltro accasatasi successivamente con uno dei campioni sportivi americani più amati di sempre, Andrè Agassi ( e qui chiudiamo anche il cerchio che riguarda il capitolo sui libri più letti in ambito sportivo ).
Tra le leggende più spassose ed esilaranti, c’è quella che narra che la Capriati guardasse prima di ogni suo incontro il film “La donna bionica“, chiusa tra le dorate mura delle suit a 5 stelle extralusso della sua ormai altrettanto dorata vita da star.
L’esordio tra i grandi ebbe il medesimo clamore delle giornate precedenti: una vittoria netta della ragazzina di New York per 7-6/6-1 e tutti in visibilio.
Tutti volevano un pezzo della Capriati. Giornalisti, tifosi, gente che pensava che il tennis si giocasse con una palla ovale e gigante, tutti.
Era il prodotto del consumismo perfetto. L’americano medio, ma sarebbe giusto concedere parte di questo disastroso privilegio anche ai viandanti del Vecchio Continente, assolutamente rapito dalla nuova favola di inizio anni ’90.
Analizzandolo dal mero lato sportivo, i presupposti per l’esplosione della Capriati c’erano tutti fin dalla prima uscita.
Dopo la Daniels, la giovanissima Jennifer eliminò Claudia Porwik, Nathalie Tauziat, Helena Sukova e Laura Gildemeister, tutte Top 30 della classifica WTA, per poi perdere in finale contro Gabriela Sabatini.
Il delirio fu collettivo, ma di breve durata.
Dopo tutta una serie di risultati altalenanti, ma comunque positivi, la Capriati abbandonò la retta via ben presto e solo tre anni più tardi si cominciò a parlare di lei più per le sue peripezie al di fuori del rettangolo diviso dalla rete, che per i colpi con la racchetta atti a mandare la palla dall’altra parte della stessa.
Tra un torneo e l’altro passavano lunghissime settimane, che poi divennero mesi, fino all’episodio più conosciuto della parte meno nobile della vita della Capriati.
Gli episodi bui
Nel 1995 fu arrestata per aver rubato degli articoli di bigiotteria e per possesso di sostanze stupefacenti leggere, a causa di non ben precisati incontri poco raccomandabili sulla via di quella che doveva essere una inarrestabile ascesa verso l’olimpo del tennis.
La verità è che ad originare questi episodi fu il rapporto incrinato col padre che, a detta di molti, fu visto agli occhi della figlia come una sorta di dispotico fruitore dell’immagine e, soprattutto, dei soldi prodotti dalla carriera di Genny. Ma sono tutti concordi nel puntare il dito contro la precocità del salto nel circuito professionistico che non le diede la possibilità di assaporare quella parte di vita che la maggior parte di noi ricorda come la più bella e spensierata.
Con estrema difficoltà la Capriati riuscì a tornare a fare quello che meglio faceva in quel tempo e il 2001 fu il suo anno migliore, con la vittoria di ben due Slam, Australian Open (il primo oltre a quello messo in cascina l’anno successivo) e Parigi e la conquista del vertice assoluto della classifica femminile.
Seguirono anni difficili, segnati da infortuni e ulteriori episodi spiacevoli extra-tennis, la depressione e più o meno palesati tentativi di suicidio compresi, oltre che una tormentata storia d’amore con il golfista Ivan Brannan, accusato a più riprese di averla picchiata al termine di una lite tra le mura domestiche, a seguito di una denuncia che portò ad un nulla di fatto.
I vertici del WTA decisero di dare una stretta decisa rispetto all’ingresso tra i protagonisti delle giocatrici più giovani, ponendo dei limiti di carattere numerico rispetto ai tornei da disputarsi nell’arco di una stagione da parte delle campionesse in erba.
Lo si è toccato recentemente con mano con Coco Gauff, l’ultima in ordine di tempo a ricoprire il ruolo di baby prodigio, la cui carriera sembra molto più ovattata e protetta da papà Corey, in più di una occasione portato a chiedere alla figlia di “divertirsi”.
Se questo porterà benefici nella carriera di Coco lo vedremo negli anni a venire, ma che qualcosa sia cambiata dopo ciò che capitò alla Capriati, è certamente scritto sui testi sacri non scritti della storia del tennis femminile.