Il Milan vanta nella sua leggendaria storia 3 Coppe Intercontinentali e un Mondiale per Club, da quando la finale è diventata un torneo planetario gestito dalla FIFA.
Ma il primo trionfo non possono certo scordarlo i milanisti: non tanto nel mero aspetto sportivo, ma per tutta la follia argentina che oscurò la gara dal primo all’ultimo minuto e anche dopo il triple fischio. Botte, sangue, arresti a rendere grottesca la vittoria del Milan nella finale di Coppa Intercontinentale nel 1969.
Il primo alloro mondiale macchiato dalle prodezze non certo sportive dei giocatori e dei tifosi dell’Estudiantes. Una caccia all’uomo, un gioco al massacro che segnerà il futuro della stessa competizione: negli anni’70 infatti molte squadre campioni d’Europa eviteranno la finale, per paura di subire lo stesso trattamento toccato al Milan.
Solo negli anni ’80 e grazie all’intuizione dei giapponesi, la coppa Intercontinentale tornerà a brillare. Ma la finale del 1969 resta una sorta di Arancia Meccanica, con i giocatori del Milan che sembrano usciti dall’inferno, ma con il titolo mondiale in mano. Questa è Estudiantes – Milan e questa è la storia di una notte di follia.
Milan e un titolo ipotecato
Il Milan nel maggio del 1969 si è laureato campione d’Europa per la seconda volta, a distanza di 6 anni dal primo titolo continentale. Prati, Rivera, Sormani e via dicendo sommergono 4-1 l’Ajax nella finalissima di Coppa dei Campioni al Bernabeu di Madrid. Di conseguenza il Diavolo conquista l’accesso alla doppia finale di Coppa Intercontinentale contro i campioni del Sud America.
Un titolo mondiale che in realtà non è ancora riconosciuto dalla FIFA, ma sia l’UEFA e sia gli alti piani del calcio sudamericano spingono per queste gare. Dunque bisogna giocare a tutti costi. Il Milan di Rocco è una macchina perfetta che in un decennio o poco più vince tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe delle Coppe. Insomma, la prima dimostrazione del feeling tra i meneghini e le competizioni internazionali.
In Sud America c’è l’Estudiantes che sorprende tutti. Formazione Argentina di Mar della Plata che comanda in Patria e vince anche la Coppa Libertadores, ovvero l’omologo sudamericano della Coppa dei Campioni.
In campo spiccano i nomi di Carlos Bilardo futuro CT campione del mondo con l’Albiceleste e Ramon Veron, padre di Sebastian Veron. Classica squadra di quelle latitudini dell’epoca: cuore, corsa, garra, qualche numero e tante randellate al nemico. Palla o piede non deve passare nessuno.
Sta di fatto che nel match di andata a San Siro, per la finale di Coppa Intercontinentale, non c’è storia. Il Milan ipoteca il titolo con un secco 3-0, grazie alla doppietta di Sormani e alla rete di Combin. E il nome di quest’ultimo tenetelo a mente, perché sarà uno dei capisaldi della vendetta argentina al ritorno.
Rocco è conscio che la sua squadra è nettamente superiori ai rivali, ma per sicurezza porta tutta la rosa al ritorno, memore di quanto successo 6 anni prima contro il Santos di Pelé nella finale del 1963. Milan che batte i brasiliani 4-2, per poi cadere con lo stesso risultato a Rio. All’epoca non conta la differenza reti sui 180 minuti, ma in caso di un successo per parte si gioca la bella.
Stranamente il terzo e decisivo match va in scena sempre in Brasile e con una terna brasiliana. Cesare Maldini espulso senza motivo, l’arbitro assegna un rigore inesistente ai padroni di casa e infine il Santos vince 1-0 soffiando la Coppa ad un Diavolo inviperito.
Da queste situazioni grottesche, si capisce poi il motivo che spinse negli anni settanta le formazioni europee a boicottare la finale. Ma il bello, anzi il brutto, deve ancora arrivare in questa storia.
La Bombonera come un girone Dantesco
Due settimane dopo il successo per 3-0 a San Siro, il Milan raggiunge Buenos Aires per l’atto conclusivo della doppia sfida.
L’Estudiantes ha uno stadio troppo piccolo per questo tipo di gare e dunque deve ripiegare sulla capitale. In un primo momento la federazione argentina vorrebbe far giocare la partita al Monumental, la casa del River Plate, ma i dirigenti dell’Estudiantes ritengono l’impianto troppo dispersivo, a causa della presenza della pista d’Atletica.
Quelli di Mar della Plata vogliono un ambiente caldissimo, stile inferno dantesco e allora, miglior girone di alighierana memoria non può essere che la Bombonera, nel quartiere La Boca della capitale e casa del Boca Juniors, un club fondato da italiani emigrati in terra argentina agli inizi del novecento.
Che il match si annunci molto caldo, i giocatori lo capiscono nel momento in cui escono dal tunnel per salire sul terreno da gioco e stranamente senza scorta: dalle balaustre che campeggiano sopra l’uscita del mitico tunnel, tazze di caffè bollente vengono rovesciate dai tifosi sui giocatori rossoneri.
Se il Buongiorno si vede dal mattino, il peggio deve ancora arrivare. I giocatori del Milan si schierano al centro del campo in attesa dei rivali e mentre parlano delle tazze di caffè, ecco che quelli dell’Estudiantes entrano sul terreno di gioco con un pallone a testa e lo calciano con veemenza verso la truppa di Rocco. Dal caffè alle pallonate, come antipasto.
La terna cilena ovviamente non vede niente di tutto questo e non vedrà nemmeno quello che succede durante la gara. Caccia all’uomo e soprattutto nei confronti di Combin. Quest’ultimo è nato in Argentina, ma è naturalizzato francese e questo agli argentini non va giù. Aggiungiamoci che ha rifiutato di fare il servizio militare e per tutti è diventato il disertore. Infine, la rete segnata all’andata è la goccia che fa traboccare il vaso.
Nemmeno 20 minuti di gioco e Combin si ritrova con il naso fatturato. È una maschera di sangue il francese che a tradimento è stato colpito al volto dal portiere dell’Estudiantes, tale Poletti: non tanto abile fra i pali, ma sul ring avrebbe fatto la sua porca figura. Passano altri 10 minuti e anche Prati viene colpito da un pugno alla testa, ovviamente mentre è girato di spalle. Pierino la peste è come un Pugile andato al tappeto per KO e Rocco deve toglierlo.
Insomma un vero massacro che con il calcio ha poco a che fare: ogni tackle dei padroni di casa può essere quello decisivo per spezzare una gamba o qualcos’altro. In tutto questo Gianni Rivera non si scompone oltre modo, ma soprattutto spiega perché Pelé lo ritenga il giocatore più forte al mondo: a suo rischio e pericolo dribbla la difesa avversaria, mette a sedere il pugile Poletti e segna la rete che spegne ogni speranza di rimonta dei rivali.
Da quel momento in poi, la gara è una corrida. Quelli del Milan cercano di limitare i danni e gli argenti picchiano come se non ci fosse un domani. Ovviamente l’arbitro cileno vede solo i falli dei rossoneri. Sta di fatto che l’Estudiantes vince 2-1, ma la Coppa Intercontinentale è nelle mani del Milan.
Finita qui? Nemmeno per idea…
L’arresto lampo di Combin
Il Milan torna con la coppa negli spogliatoi, ma c’è poca voglia di gioire. Il sangue è sulla faccia di un po’ tutti i giocatori e i segni resteranno a lungo. Come canterà Ligabue qualche anno dopo in una sua magnifica hit: “Ho messo via un pò di legnate. I segni quelli non si può. Che non è il male e nè la botta. Ma purtroppo il livido“.
E il livido più grosso deve ancora arrivare per i ragazzi di Rocco.
Mentre El Paron si avvia verso il pullman che deve riportare la squadra all’aeroporto, ecco che quattro poliziotti prelevano il povero Combin e lo portano in caserma. Fermo, o meglio arresto, per non aver risposto alla chiamata del militare da parte dell’esercito argentino. Una cosa invereconda e che lascia tutti perplessi.
La squadra intanto raggiunge l’aeroporto, ma tutti hanno le idee chiare; senza Combin non si decolla alla volta dell’Italia. L’aereo del Milan resta in attesa sulla pista quasi 10 ore, poi alle prime luci dell’alba e grazie anche alla mediazione del console italiano in Argentina, il buon Combin arriva in aeroporto con una macchina della polizia. E con altri lividi sul corpo: anche i poliziotti lo hanno menato.
A quel punto l’odissea rossonera è al suo epilogo, con la squadra che sale compatta sull’aereo e decolla alla volta del Bel Paese. Il girone infernale è alle spalle, la coppa è in mano e finalmente i rossoneri possono salutare l’Argentina con un tipico gesto italiano: quello dell’ombrello.
Missione compiuta, per dirla alla Nereo Rocco.