La maglia numero 7 del Manchester United sembra avere qualcosa di speciale, in certi casi di magico.
Da Best a Ronaldo, passando per Cantona e Beckham.
Prima regola, per indossarla, bisogna essere fuori dal comune rispetto agli altri giocatori. In certe annate ci hanno provato players non proprio adatti a quella maglia e i risultati sono stati assai deludenti.
Ma poi, ci sono quei favolosi quattro numero sette: capaci di attraversare altrettanti decenni nella storia dello United e lasciare il segno ad Old Trafford. Non giocatori comuni, quindi, ma autentici fuoriclasse. Ognuno diverso dall’altro, ma tutti accomunati dalla stessa cosa: il numero 7.
Vediamo allora chi sono i magnifici 4 che hanno scritto pagine indelebili nella storia dei diavoli rossi, con quella mitica maglia sulle loro spalle.
George Best, dove nasce il mito della 7 United
In principio fu George Best.
Il nord irlandese arriva giovanissimo nelle giovanili dello United, per merito di Bob Bishop: il talent scout lo vide giocare nei sobborghi di Belfast e telegrafò immediatamente al tecnico dei diavoli rossi, Matt Busby: “Ho scovato un genio che farà le nostre fortune”.
Non c’è miglior frase di quella utilizzata da Bob nel telegramma, visto che pochi mesi dopo l’approdo di George Best nell’Accademy dello United, lo stesso ragazzino venne promosso in prima squadra. Troppo forte per giocare con i pari età e uno spreco enorme non gettarlo nella mischia del calcio dei grandi.
Il 1963 è l’anno che segna lo spartiacque della carriera di Best e che al tempo stesso fa nascere la leggenda della maglia numero 7 all’ombra di Old Trafford. La eredita da Denis Law che era arrivato poco prima: Denis virerà su altri numeri, perché quel ragazzino di nome George merita di giocare con il numero che ha sempre portato sulle spalle.
Due titoli inglesi, una Coppa di Inghilterra e una Coppa dei Campioni con George Best sulla fascia destra ad arare metri, erba e avversari.
Fino al 1974, quando ormai sono tutti stufi dei suoi eccessi e delle sue bravate fuori dal campo: il nord irlandese lascerà il Manchester United con 181 gol fatti in 473 partite giocate, oltre ad un imprecisato e mastodontico numero di assist.
Le sue gesta sono ancora leggendarie nella mente di chi lo ha visto giocare.
Eric Cantona, dove cresce il mito della maglia n°7
The King.
Per 17 lunghissimi anni il Manchester United resta a secco di trofei. Tante stagioni incolore, pochi guizzi e molto anonimato, mentre i rivali del Liverpool fanno man bassa di trofei: in Patria e in Europa.
L’avvento di Sir Alex Ferguson da il via ad un nuovo e lungimirante progetto, anche sé i tifosi dello United dovranno attendere il 1990 per vedere il primo trofeo dell’era Fergie. Il primo di una serie infinita.
17 anni per un trofeo e ben 18 per un nuovo fenomeno con la maglia numero 7. Ecco a voi Eric Cantona. Più ribelle e testa matta del francese, il calcio, ne ha visti pochi: cacciato dal Marsiglia e dalla nazionale francese, Eric trova la sua rinascita ad Elland Road, lo stadio del Leeds.
Nella stagione 1991-92 il transalpino conduce proprio il Leeds alla vittoria di uno storico titolo: l’ultimo per il momento della loro storia e l’ultimo per la vecchia First Division che nell’estate del 1992 si trasforma nella mitica Premier League. Proprio in quella torrida estate Ferguson decide di fare allin sul francese e dopo diverse settimane di trattative il Leeds cede il giocatore.
Inizia la fortuna dei tifosi del Manchester che vedono un giocatore agire più da punta che da ala, ma con risultati mirabolanti. Certo, ogni tanto la testa matta di Eric torna a farsi viva, perché il lupo può perdere il pelo, ma non il vizio.
Così fra qualche cartellino rosso di troppo, un paio di risse e la squalifica di un anno per aver preso calci un tifoso del Crystal Palace, Cantona contribuisce a tantissime vittorie.
Ben quattro delle prime 5 edizioni della Premier League: l’unica sfuggita a favore del Blackburn, guarda caso subito dopo la squalifica dell’ex Leeds.
Insieme al poker di campionati, Cantona lascia il segno anche sulle due FA Cup vinte durante il suo regno con la maglia numero 7 sulle spalle. Unica pecca, squalifica a parte, il mancato successo a livello europeo.
Quel trionfo che arriverà due anni dopo il suo addio al calcio, nel 1999 contro il Bayern Monaco, in quella finale pazzesca e vinta nel recupero.
In tutto, Eric Cantona in cinque stagione ad Old Trafford, colleziona 182 gettoni e 82 reti all’attivo.
David Beckham, esplode la mania della maglia n°7
Lo Spice Boy.
Nemmeno il tempo per riprendersi dall’addio inaspettato di Cantona che i tifosi dello United hanno già in casa il nuovo fenomenale numero 7. Signore e signori ecco David Beckham. Un biondino che fa impazzire le donne per la sua bellezza, attento alla moda e al glamour, ma capace di giocare a calcio come pochi.
Arriva dal vivaio dei diavoli rossi e fa parte di quella fantastica nidiata di giovani promesse, meglio nota come la “Classe del 1992” che include oltre a David, anche Ryan Giggs, Paul Scholes e i fratelli Neville. Già aggregato alla prima squadra a 20 anni, nel 1995, Beckham non solo studia alle spalle dei grandi di quel Manchester United, ma occasione dopo occasione entra nel cuore dei tifosi.
Il 1997 è l’anno della consacrazione: via Cantona e titolare inamovibile con la maglia numero 7, il futuro Spice Boy. Destro magico, vellutato e potente allo stesso tempo, segna su calcio piazzato con la stessa facilità con cui disegna assist al bacio. A proposito di baci: il più importante lo darà in mondo visione nel 1999, quando sposerà Victoria Adams delle Spice Girls. La coppia più glamour al mondo.
La maglia numero 7 poggia con merito sulle sue spalle e in 394 presenze con la maglia dei diavoli rossi, David Beckham troverà in 85 occasioni la via del gol.
Fino al 2003 con la truppa di Old Trafford vincerà 6 Premier League, due Fa Cup e la Champions League del 1999. Poi nella primavera del 2003, la lite con Ferguson per lo scarpino volato sulla preziosa faccia dello Spice Boy che porterà nel luglio dello stesso anno, alla sua cessione al Real Madrid.
Cristiano Ronaldo, la sublimazione della n°7 tra passato e presente
Andata e Ritorno.
Cristiano Ronaldo va a sostituire David Beckham poche settime dopo la sua partenza. Stampa e tifosi sono convinti che il lusitano non sia un titolare vista la giovane età e che dunque abbia bisogno di tempo per calarsi nella parte. Invece, come aveva dimostrato anche allo Sporting Lisbona, può prendersi tutti i rischi del caso, grazie al talento e alla personalità.
L’unico conscio di tutto questo è Sir Alex Ferguson che getta subito nella mischia il nuovo numero 7 dello United e da quel numero nasce anche il Brand: CR7. Molto più di un semplice giocatore. Old Trafford ribolle ad ogni sua giocata e più passa il tempo e più le potenzialità di Cristiano Ronaldo crescono.
Nel 2009 saluta la compagnia per esaudire il sogno di giocare nel Real Madrid. Lascia lo United dopo 6 anni, 292 presenze e 118 reti. Vince tre Premier League, due League Cup, una FA Cup, una Champions League (dove porta inizialmente in vantaggio lo United) e un Mondiale per Club.
Ma quando in un luogo ci sei stato bene, sai in cuor tuo che prima o poi ci tornerai. Estate 2021, Cristiano Ronaldo chiede la cessione alla Juventus: lo United ha bisogno di lui e lui al cuore non sa comandare.
Pur con una squadra che alterna risultati positivi a diversi mediocri, CR7 al momento ha già segnato 14 gol in 18 presenze fra le varie competizioni. La maglia numero 7 è tornata sulle sue spalle e il poker di campioni resta intanto nella leggenda dei diavoli rossi.
Una maglia poco fortunata
La maglia numero 7 del Manchester United è una sorta di istituzione. Lo abbiamo detto qualche riga sopra: non è per molti. Anzi, lo è per pochi. Lo dimostrano anche quei casi in cui la numero 7 è capitata nelle mani di chi non doveva capitare.
Il primo della lista, in epoca recente, a fallire con quella reliquia è stato Michael Owen. Il Golden Boy di Liverpool che dopo mille problemi approda ad Old Trafford e si sente sicuro di essere all’altezza di quella maglia. Ma Owen probabilmente dimentica di non essere più da un pezzo il Golden Boy che faceva sognare Anfield e all’Old Trafford saranno poche le gare da incorniciare per un talento che si è perso rapidamente: 51 presenze in tre anni e 17 gol.
Il secondo che ci ha provato è stato Antonio Valencia. A dire il vero è stata una parentesi brevissima la sua, visto che indossa la numero 7 per qualche mese: poi come una sorta di maledizione si frattura tibia e perone in Champions contro i Rangers chiudendo anzi tempo la stagione. Al rientro nella new season, opta per il cambio con la numero 25. Una scelta saggia e contribuisce alla sua longevità ad Old Trafford fino al 2019.
Angel Di Maria è uno che ci è nato con il numero 7 sulle spalle. In Argentina nelle giovanili del Rosario, poi con l’Albiceleste, passando da Lisbona, fino ad arrivare a Madrid prima e Parigi adesso. Solo che c’è una sorta di buco nero, nella sua carriera e nel rapporto di amore con la maglia numero 7. Proprio con il Manchester United, dove alterna buone prestazioni ad altre poco edificanti, nell’unica stagione con i diavoli rossi. 3 reti in sole 27 gare, danno la dimensione di un amore mai sbocciato da parte del “Fideo” con la truppa inglese.
Infine, l’ultimo in ordine cronologico è stato Edinson Cavani. “El Matador” nella prima stagione con i diavoli rossi ha scelto la 7 e non è stato un bel vedere: tra infortuni, prestazioni non sempre all’altezza e poche presenze, Cavani non impressionato oltre modo con la gloriosa maglia in questione. In realtà, a fronte di 40 presenze segna 17 volte, un buon numero, ma vive di fiammate.
Basta l’estate del 2021 fa cambiare tutto: Ronaldo arriva e chiede la sette. L’uruguagio non ci pensa due volte e la cede al portoghese. Vira sulla 21 che indossa anche in Nazionale e come di incanto sembra essere tornato il giocatore di un tempo, nonostante l’età e qualche acciacco.
Potere della maglia numero 7: che dona ai fenomeni e crea problemi a chi fenomeno non lo è.