Non per tutti il Natale è sinonimo di festa, serenità e buoni sentimenti, in particolare nel calcio, dove l’espressione “arrivare a mangiare il panettone” è utilizzata per indicare la situazione delicata di un allenatore la cui panchina è in bilico. Il periodo delle feste natalizie è infatti quello in cui si tirano le somme e dove si pensa al mercato di riparazione per raddrizzare stagioni iniziate con il piede sbagliato.
Ma le festività invernali ricorrono nel gergo calcistico anche in un’altro ambito, ovvero per quanto riguarda il cosiddetto Albero di Natale. Non si tratta del tradizionale abete addobbato sotto cui riporre i regali, bensì un particolare schieramento tattico che ha conosciuto particolare fama nei primi anni del 2000.
Cos’è il 4-3-2-1 e perché si dice Albero di Natale
Il 4-3-2-1 è una disposizione tattica di una squadra che prevede una sola punta, alle cui spalle giocano due centrocampisti in posizione avanzata di trequartisti, mentre altri tre stazionano sulla linea mediana a protezione della difesa a quattro. Questa disposizione ha preso il nome di Albero di Natale, in quanto il portiere rappresenterebbe il “tronco” mentre il resto dei giocatori disposti con il 4-3-2-1 ricordano la forma triangolare dell’abete.
Si tratta di un modulo che nasce come una sorta di transizione offensiva di una disposizione prettamente difensiva, ovvero il 4-5-1, da cui poi si è evoluto anche il 4-2-3-1 che, per quanto possa apparire simile, è decisamente all’opposto dell’Albero di Natale.
Particolarità del 4-3-2-1 è infatti quella di convogliare il gioco offensivo per vie centrali, nonostante la presenza di una sola punta centrale. Il gioco sulle fasce è delegato esclusivamente ai terzini fluidificanti, mentre l’operato del centravanti è orientato, oltre che alla finalizzazione, alla creazione di spazi per l’inserimento dei centrocampisti dalla trequarti.
Da dove nasce l’Albero di Natale
La prima squadra la cui disposizione è stata definita ad Albero di Natale è stata il Crystal Palace di Bert Head che nel 1969 conquistò la promozione in First Division.
Squadra copertissima e tutta schiacciata in difesa, era inizialmente disposta con un 4-5-1, ma soprattutto nel corso della stagione 1969-1970 due mediani avevano preso a giocare più alti, alle spalle della prima punta Gerry Queen, classico centravanti fisico “all’inglese”. Mentre Queen impegnava fisicamente i quattro difensori, i due mediani piazzati sulla trequarti erano pronti a salire e a raccogliere la palla sulle sponde per concludere a rete.
Se la squadra di Head fu la prima a disporsi in campo in maniera tale da ricordare l’Albero di Natale, la prima applicazione tattica veramente strutturata la troviamo quasi un ventennio più tardi, nell’ADO Den Haag di Co Adriaanse che dalla seconda divisione olandese trova la promozione in Eredivisie e la semifinale di Coppa d’Olanda nel 1988-1989.
Nell’Olanda che da più di tre lustri aveva assimilato ad ogni livello la lezione del Calcio Totale, la disposizione ad Albero di Natale assicurava una copertura del campo omogenea e la possibilità di continui inserimenti offensivi dalla trequarti che mettevano in crisi la linea difensiva avversaria.
La Francia del 1998
Negli anni ‘90 ci furono sporadici tentativi di proporre il 4-3-2-1, ma in un panorama calcistico dominato dagli attacchi formati da prima e seconda punta l’Albero di Natale diventava sinonimo di un atteggiamento troppo rinunciatario e attendista.
Per sfruttare al massimo questa disposizione tattica infatti una squadra deve disporre di ben due trequartisti che uniscano corsa, qualità, visione di gioco e capacità realizzativa, caratteristiche non facili da trovare dopo un decennio di calcio dominato dai dettami della zona che costringeva i giocatori di fantasia a stringenti compiti di copertura.
Non è un caso allora che l’Albero di Natale trovi il successo a partire dalle squadre nazionali, dove i commissari tecnici erano nelle condizioni di trovare la maniera di far coesistere gli elementi di maggior talento, compito mai troppo semplice (ricordiamo la staffetta tra Mazzola e Rivera nell’Italia del 1970).
Se il tentativo dell’Inghilterra di Terry Venables, in occasione degli Europei casalinghi del 1996, non andò a buon fine, quello della Francia di Aimé Jaquet fu di tutt’altro tenore.
Per ovviare all’assenza di attaccanti di primissimo piano, Jaquet prese ad utilizzare il solo Guivarc’h, centravanti bravo a creare spazi e a impegnare la linea difensiva, ma dalla scarsa vena realizzativa. Alle sue spalle però agivano due strepitosi interpreti del ruolo di trequartista, ovvero Zinedine Zidane e Youri Djorkaeff, liberi da costrizioni tattiche e in grado di svariare lungo tutto il fronte offensivo, dando sfogo alla loro creatività e alle ottime capacità balistiche.
Alle loro spalle, un centrocampo di ordine e contenimento, diretto dal mediano Didier Deschamps, mentre sulle fasce i terzini Bixente Lizarazu e Lilian Thuram garantivano un moto perpetuo, tra coperture difensive e appoggi offensivi. Questa Francia sarà capace di trionfare nel Mondiale casalingo del 1998 e riabilitare in maniera definitiva la figura del trequartista, il giocatore di qualità e fantasia deputato a giocare alle spalle degli attaccanti, libero da compiti di interdizione.
L’Albero di Natale del Milan di Ancelotti
L’apoteosi del modulo ad Albero di Natale si ha qualche anno dopo: nel 2003 Carlo Ancelotti al Milan è reduce da due stagioni in cui è riuscito a riadattare con successo un trequartista come Andrea Pirlo in regista davanti alla difesa, nonché Clarence Seedorf come mezzala in un centrocampo a tre, alle spalle del trequartista Manuel Rui Costa e della coppia d’attacco Shevchenko-Inzaghi.
L’acquisto del giovane Kakà dal San Paolo mette nelle mani di Ancelotti un ulteriore trequartista dalle doti tecniche, fisiche e balistiche eccezionali. La precaria formazione fisica di Pippo Inzaghi spinge sempre più spesso Ancelotti a schierare la squadra con l’Albero di Natale, con Kakà e Rui Costa trequartisti alle spalle del solo Shevchenko.
La straordinaria visione di gioco di Rui Costa sulla trequarti permette a Kakà di scatenare tutta la sua potenza e imprevedibilità partendo nell’interregno tra difesa e centrocampo avversari. Nonostante le rimostranze del presidente Berlusconi che vorrebbe sempre vedere due punte in campo, Ancelotti insiste con il 4-3-2-1, al punto da spingere un attaccante come Rivaldo a rescindere il contratto a novembre.
Elementi fondamentali per il successo di questo modulo, come lo erano stati nella Francia di Jaquet, sono i terzini: Ancelotti può contare su un pendolino inesauribile sulla destra come Cafù, capace di percorrere tutta la fascia e di portare attacchi improvvisi (grazie anche alla copertura garantita da Gattuso), mentre sulla sinistra il pur atletico e intraprendente Pippo Pancaro stava più attento a coprire le spalle all’estroso Seedorf. In questa maniera la presenza offensiva sulle fasce era assicurata e costringeva gli avversari ad allargare le maglie del proprio schieramento, favorendo così le imbucate centrali dei due trequartisti.
Oscillando tra il 4-3-2-1 e il 4-3-1-2, Ancelotti avrebbe conquistato la sua seconda Champions League nel 2007 ad Atene contro il Liverpool, (vendicando la bruciante sconfitta di Istanbul del 2005, sempre contro i Reds), con Kakà (affiancato da Seedorf come trequartista) capace di mettere a segno 10 reti (tra cui un vero e proprio capolavoro contro il Manchester United) e di laurearsi capocannoniere della competizione.
L’Albero di Natale oggi
Oggi è più difficile trovare una squadra che si disponga regolarmente con un 4-3-2-1: l’ultima squadra che l’ha fatto è stato il sorprendente Palermo di Delio Rossi, che nel 2011 è arrivato in finale di Coppa Italia grazie al talento di Josip Ilicic e Javier Pastore sulla trequarti.
Anche la Juventus di Massimo Allegri ha occasionalmente fatto ricorso all’Albero di Natale nella stagione 2016-2017, con Pjanic e Dybala sulla stessa linea alle spalle di Higuain e Mandzukic, tattica che ha portato al traguardo della finale di Champions League poi persa contro il Real Madrid.
Ad oggi, con il gegenpressing sempre più esasperato e le linee sempre più compatte, l’attacco ad una punta viene maggiormente interpretato con un 3-4-2-1, modulo che sta facendo le fortune dell’Atalanta di Gasperini, così come del Torino di Juric o del Verona di Tudor.
La difesa a 3 infatti permette ai “braccetti di difesa” di coprire in maniera più efficace le eventuali avanzate degli esterni, dando più equilibrio in caso di perdita di palla. Il ruolo di regista arretrato che viene a mancare a centrocampo viene così ricoperto da uno dei centrali difensivi, mentre la manovra offensiva è tutta in mano ai trequartisti.