Cos’hanno in comune eSports e poker? Molto più di quello che a prima vista possa sembrare.
Per prima cosa sono entrambi giochi di abilità. Nel caso degli eSports questo elemento è ancora più accentuato, nonostante un margine di aleatorietà sia presente anche nei videogiochi. Secondo l’opinione degli esperti, la random incide in particolare in quelli di carte, come Hearthstone e Arena, o in tutti quei videogame dove ci sono elementi attivi (personaggi, giocatori di una squadra) gestiti dal computer. Nel poker il “caso” è molto più protagonista. Al tempo stesso, però, è un dato di fatto che l’abilità riesca a prevalere nel medio periodo: altrimenti non si spiegherebbe come tanti giocatori siano a riusciti a costruirsi una professione.
Sia il poker che gli eSports richiedono studio e dedizione e una “forma mentis” competitiva. Non sorprende, quindi, che vi siano giocatori in grado di passare da una disciplina all’altra, com’è ad esempio il caso di Bertrand “Elky” Grospellier, super professionista del poker con un passato da gamer di alto livello su Starcraft e Hearthstone.
E poi tutte e due queste discipline hanno una versione competitiva online e una dal vivo. Su questo punto bisogna essere chiari. Online e live nel caso del poker significano sì lo stesso gioco, ma con notevoli differenze dal punto di vista tecnico e della struttura stessa dei tornei. Per gli eSports, invece, l’evento live di solito rappresenta l’ultimo atto, cioè la fase finale di una serie di competizioni (qualifier) disputate online. Eppure, giocare una partita dal vivo, per esempio di Fortnite, davanti a migliaia di spettatori in un grande palazzetto dello sport richiede capacità di controllo e una buona dose di forza mentale per resistere allo stress.
Infine, poker e videogiochi competitivi hanno avuto le rispettive rivoluzioni che li hanno resi fenomeni globali.
Nel poker la rivoluzione si chiama “effetto Moneymaker“. Il 23 maggio 2003 un 28enne contabile di Atlanta, un perfetto “uomo qualunque”, vince il Main Event delle World Series Of Poker dopo essersi qualificato al torneo attraverso un satellite da poche decine di dollari. Quel giorno Chris Moneymaker – nomen omen – incassa 2,5 milioni di dollari e cambia per sempre il destino di questo gioco. Il suo exploit rende il poker un gioco conosciuto a livello planetario.
Anche gli eSports hanno avuto il loro “Moneymaker effect”. In questo caso il protagonista si chiama Kyle Giersdorf che il 28 luglio del 2019, davanti a un pubblico di 15.000 appassionati, si è aggiudicato il campionato del mondo di Fortnite. A soli 16 anni, Giersdorf si è portato a casa un primo premio di 3 milioni di dollari. Una cifra pazzesca, arrivata senza spendere un soldo per qualificarsi. Fino a quel momento, il giovane campione aveva alle spalle solo una vincita da $1.250 ed era poco conosciuto. E’ dunque questa la rivoluzione degli eSports, ovvero un mega assegno che ha fatto venire l’acquolina in bocca ai giovani di tutto il mondo? Non proprio.
Gli eSports, in realtà, non hanno dovuto attendere il 2019 per diventare un fenomeno di massa. E’ sufficiente analizzare i numeri del torneo vinto da Bugha (questo il nick che Giersdorf usa quando gioca): 4 milioni di giocatori hanno partecipato alle selezioni online, per un montepremi finale di 30 milioni di dollari destinato ai final 100, senza calcolare la copertura di Twitch che ha incollato allo schermo altri milioni di appassionati.
La rivoluzione riguarda invece l’immagine degli esporters che l’allora 16enne ha mostrato al mondo intero. I media si sono subito lanciati alla caccia di una dichiarazione, magari con l’idea di presentare il classico “nerd” che non sa stare al mondo. O peggio, un giovane ossessionato dai videogiochi che trascura scuola e famiglia. Niente di tutto questo. Giersdorf ha risposto alla stampa dimostrando una tranquillità e una professionalità che la maggior parte dei suoi coetanei non possiede.
“Molte persone pensano anche che si tratti solo di un gioco, ma in realtà è pratica, dedizione, determinazione” ha dichiarato il giovane campione americano all’Agency France Presse (AFP). “E’ una realtà che richiede un approccio professionale“.
Intervistato da ESPN Sports, Kyle Giersdorf ha raccontato come le sue giornate siano strutturate in maniera molto disciplinata, attraverso 6-7 ore di pratica con il gioco. Di fronte alla domanda “Che cosa farai della vincita?”, il giovane della Pennsylvania ha spiazzato tutti coloro che si sarebbero aspettati una risposta all’insegna dell’immaturità: “Senza dubbio li metterò da parte per investirne solo un po’. Non farò nulla di stupido. L’unica cosa che comprerò è un nuovo tavolo da gioco, tutto qui“.
La storia di Kyle Giersdorf racconta che anche un gioco, cioè un intrattenimento, può essere vissuto con la giusta dose di impegno e professionalità. Se poi arrivano certi risultati, tanto meglio. Ma questa è una lezione che vale per la vita.
Ecco la differenza principale tra le due rivoluzioni. Il mondo del poker che oggi conosciamo è iniziato con il sogno (molto americano) del “chiunque ce la può fare”. Ma il risultato economico, cioè la capacità di realizzare un profitto (o di evitare una perdita), rimane il fattore più importante nel poker.
Non altrettanto avviene negli esports, dove solo pochi giocatori vincono premi con tanti zeri o ricevono dagli sponsor cifre rilevanti. Per tutti gli altri milioni di appassionati l’obiettivo è quello di far parte di una community all’interno della quale poter condividere una passione.
Dopo la vittoria nella Fortnite World Cup del 2019, Kyle Giersdorf ha vinto molto meno: solo (si fa per dire) altri 105mila dollari. Nonostante questo rimane un punto di riferimento per la community.
Se quindi parliamo di “effetto Kyle Giersdorf” negli eSports, è per indicare un catalizzatore giovanile di tipo diverso rispetto al poker: un catalizzatore di tipo identitario.
Immagine di testa by Getty Images