Nemo propheta in patria, lo dicevano i latini… un po’ di tempo fa.
Qualcuno lo ricordi anche alla Deceuninck-Quick Step, la vera sconfitta dell’edizione numero 115 del Giro di Lombardia, vinta da un Tadej Pogacar che inizia a vedere non troppo lontano lo striscione con scritto “Leggenda”.
Sì, perché se tutti gli appassionati di ciclismo, italiani e forse non solo, non possono che essersi entusiasmati di fronte al coraggio di Fausto Masnada, chiamato a sfidare il gigante Tadej Pogacar, è indubbio che la strategia della formazione belga di giocarsi Masnada come prima carta potendo contare su corridori come Julian Alaphilippe, Joao Almeida e Remco Evenepoel, tutti giunti in discreta forma alla Classicissima d’autunno, sia stata discutibile.
Chi non è stato praticamente mai in lotta è stato Evenepoel, che 14 mesi dopo la caduta-shock ha confermato come il Lombardia non gli porti proprio fortuna. Il belga ha insomma deluso, ma non come Primoz Roglic.
Lo sloveno era arrivato alla corsa da favoritissimo dopo il colpo da maestro al Gran Piemonte e invece sulle strade lombarde non si è mai visto, finendo amaramente quarto allo sprint dei battuti, dietro Adam Yates che aveva beffato proprio a Superga e subito davanti all’eterno Alejandro Valverde.
Uno sloveno sovrasta l’altro
Viene da pensare a questo punto che il capitano della Jumbo-Visma soffra la personalità dell’illustre connazionale, che certo ha una marcia in più anche rispetto al miglior Roglic. Al netto delle discutibili scelte della Deceuninck-Quick Step la prova di forza data da Pogacar al Lombardia è quella del fuoriclasse autentico, che si è preso la corsa quando e come ha voluto.
Lo scatto sul Ganda (laddove c’ha provato anche Vincenzo Nibali, l’ultimo italiano a vincere questa corsa, alla fine 13°) quando alla fine mancavano ancora più di 30 chilometri è stato quello di chi sa la propria condizione e di poter fare la differenza a piacimento e così è stato. Pogacar ha fatto brillare il proprio bagaglio completo, fatto di resistenza, velocità, strategia e coraggio, queste ultime due doti evidenziate nella scelta del momento dello scatto decisivo.
Il tutto a 23 anni e sostenuto da una condizione psicofisica d’altri tempi, se è vero che eccetto un breve passaggio a vuoto proprio sul finire di stagione, Pogacar è stato al top per tutto l’anno, vincendo la Tirreno-Adriatico a marzo, la Liegi ad aprile, il Tour a luglio e ora il Lombardia. Già, d’altri tempi, se è vero che l’ultimo in grado di vincere almeno tre corse in una stagione tra grandi giri e classiche era stato un certo Eddy Merckx, nel 1973, portando a casa Giro, Vuelta, Liegi e Roubaix.
La stagione comunque non è ancora finita, perché domenica 7 è in programma la Parigi-Tours. Il percorso è quello tradizionale, con sette côtes, tutte negli ultimi 50 km, e i nove tratti in sterrato, brevi (per un totale di 9,5 km), ma impegnativi e da affrontare dopo i primi 140 km di pianura.
Insomma, una Classica alla belga in tutto e per tutto, una Roubaix in miniatura in cui a spuntarla sarà chi avrà ancora una condizione accettabile e magari qualche deluso dall’Inferno del Nord. Come Florian Vermeersch, che ha ancora negli occhi la beffa subita da Colbrelli, e come Jasper Stuyven, forse il favorito assoluto potendo vincere sia con un attacco da lontano che in volata. Altri potenziali favoriti sono il campione uscente Casper Pedersen e Jordi Meeus, che dovranno però aspettare di capire se le rispettive squadre, DSM e Bora-Hansgrohe, punteranno su di loro o su Soren Kragh Andersen o Martin Laas.
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