“Ho sempre detto alla gente, alla gente che mi conosce, che quando avrei perso la motivazione, la voglia di dimostrare qualcosa come giocatore di basket, ecco quello sarebbe stato il momento perfetto per ritirarmi”. Era il 1993, Michael Jordan pronunciava queste parole davanti ai giornalisti, ai media tutti. E l’aveva fatto un paio di settimane prima dell’inizio di una nuova stagione nella NBA. Allo stesso tempo, rivelò a tutti il suo desiderio di trasformarsi in un giocatore professionista di baseball. “Dopo aver vissuto su queste montagne russe per gli ultimi nove anni, credo che sia ora di passare a una nuova giostra”.
Michael Jordan si ritirava al vertice, relativamente giovane, con un contratto in essere e mentre faceva parte della migliore squadra di tutta la NBA, i Chicago Bulls. In pochi potevano capirlo. Qualche mese prima aveva completato il primo three-peat (cioè, una tripletta di vittorie) dopo aver battuto i Phoenix Suns nella finale del massimo campionato di basket mondiale. Aveva conquistato così il suo terzo anello consecutivo. E allora perché lasciava, Jordan?
Le motivazioni
La persona non sopportava più l’icona. L’atterraggio di MJ nella NBA aveva provocato simultaneamente l’espansione internazionale che la lega stava sperimentando dalla seconda metà degli anni Ottanta grazie ai Larry Bird, ai Michael Johnson, e che provò a trovare il massimo compimento grazie proprio a Jordan, mettendo in scena l’America in quel ‘Dream Team’ di Barcellona 1992. Tutto quello sotto la precisa direzione di Nike.
“Il mondo mi vedeva come un prodotto, e pure peggio, io iniziavo a vedermi allo stesso modo. Mi stavo trasformando in un oggetto, anche per me stesso”.
Dall’altra parte, l’abuso mediatico oltrepassò la frontiera della vita privata del numero 23 dei Bulls, arrivando a parlare della sua passione per le scommesse, trovando modo addirittura di definirlo dipendente dal gioco d’azzardo. Se tutto quello contribuì alla perdita di motivazione di Jordan, l’assassinio di suo padre in quella stessa estate fu la goccia che fece traboccare il vaso. Capitò che l’uomo riposasse in un’area di servizio, non lontano da casa, dove stava per rientrare. Fu assaltato probabilmente per una rapina, o magari fu un tentativo di rapimento con conseguente richiesta di riscatto. Il cadavere venne gettato in un ruscello vicino alla road che aveva percorso fino a poco prima.
Il baseball come rifugio
La tragica morte di suo padre fu praticamente decisiva, anche per spiegare definitivamente perché alla fine Jordan scelse il baseball come rifugio. Fu il batti&corri, lo sport che praticò il piccolo Michael, quello in cui ottenne il suo primo successo sportivo, storie di un campionato juniores come tantissimi negli USA. Inoltre, stando alle parole dello stesso giocatore, il suo sogno era diventare un professionista della MLB: “Poi il basket si è intromesso”. Una volta, suo padre gli disse che non ce l’avrebbe mai fatta. Parole che lo segnarono.
Un cocktail con mille ingredienti, unito alla complicità di Jerry Reinsdorf, proprietario dei Chicago Bulls e dei Chicago White Sox, propiziò che ‘Air’ smettesse di volare e si mettesse a perfezionare la sua battuta. Ovviamente, il suo arrivo nel mondo del baseball fu colpito da numerose critiche. “Uno scherzo”, ma anche “arguzia pubblicitaria”, furono alcuni dei commenti più leggeri che utilizzò la stampa. Sul fronte ‘ostile’ rimase esemplare l’articolo pubblicato da Sports Illustrated con in basso il titolo “Jordan, vattene!”, che sosteneva come l’ex cestista stesse macchiando il passatempo preferito d’America, e come allo stesso tempo chiudesse le porte a giocatori che meritavano certamente un posto nei White Sox, all’epoca addirittura campioni dell’American League.
Relegato a una franchigia dei White Sox, in una lega minore, il passaggio di Michael Jordan per il baseball trovò un successo enorme e un fallimento strepitoso. I Birmingham Barons, squadra alla quale fu assegnato, dovette raddoppiare il numero di linee telefoniche di servizi per i clienti dal primo giorno in cui fu reso pubblico che Jordan avrebbe giocato con quella maglia. Triplicò l’assistenza alla stampa rispetto alla stagione precedente e la sua maglia con il 45 fu la più venduta della storia della squadra. C’era solo un lato negativo: le statistiche di battuta che prometteva Jordan.
La ri-scoperta di MJ
Il documentario di ESPN 30X30 ‘Jordan Rides The Bus’ dà una chiara dimostrazione che il passaggio nel baseball del miglior giocatore di basket di tutti i tempi fu, per il protagonista principale, semplicemente la più grande sfida che avesse mai affrontato. Così MJ descriveva le interminabili sessioni di allenamento, alle quali si sottometteva per volontà propria, oltre a quella sua prigionia nella gabbia di battuta (per migliorare la fase d’attacco). Poi i viaggi in autobus e i pernottamenti negli alberghi che poco avevano a che vedere con quelli riservati all’NBA.
Un totale di 55 battute, 30 basi rubate e 7 fuoricampo furono i suoi numeri messi più in evidenza. La sua bassa percentuale di battuta migliorò considerevolmente all’inizio della stagione autunnale, quando si ‘arruolò’ con gli Scottsdale Scorpions della Arizona Fall League, un campionato di livello superiore. Sebbene in tanti ricordano che Jordan non riuscì mai a raggiungere la MLB – qualcosa che sarebbe andato al di là del miracoloso -, riconoscono comunque che un sostanziale progresso, in un anno appena di prova, arrivò. Anche per questo è complicato capire dove sarebbe finito se avesse continuato a giocare.
Intanto, tornando al basket, le distanze tra giocatori e franchigie nel 1994 portarono a una carestia di fuoriclasse e alla conseguente assenza di competizione. In questo contesto, dopo essere tornato a sentirsi un giocatore, rientrato in un clima mediatico molto più leggero, e aver ‘sbugiardato’ col sorriso il ricordo di suo padre, MJ annunciò il ritorno con un laconico comunicato alla stampa: ‘I’m back’. Serve tradurre?
“Alla fine ho scoperto la mia realtà: sono un giocatore di basket, questo è tutto ciò che sono, quello per cui sono qui a servire. Quando me ne sono reso conto è stato come tornare a vivere, ho recuperato la felicità. Niente più importa, adesso”.