In quest’anno di silenzio e di buio, perché la voce e la luce di Maradona sono andati via, c’è tutto un fiume di ricordi che sfocia in tre momenti: il primo scudetto degli azzurri, il secondo, la Coppa Uefa del 1988-89.
Sono storie molto particolari, sono immagini che a Napoli nessuno osa dimenticare: quella città ha talento anche nel riconoscerla, la felicità. E allora, in quel 1989, quando ci si sentiva invincibili con il più forte della storia tra le proprie fila, arrivò una coppa che segnò la consacrazione del Napoli in Europa. Fino a quel momento, di fatto tutta da scrivere.
Pertanto, capitata in un polverone di squadroni – all’epoca l’Europa League era il ritrovo di chi, anche per poco, non ce l’aveva fatta in campionato – partì alla conquista di una propria dimensione. Con una profonda consapevolezza: uno come Maradona non ce l’aveva nessuno. Tanto vale provare a fare ciò che nessuno (appunto) aveva saputo fare prima.
La prima fase
Delle italiane c’era la Juventus, l’Inter e la Roma. A faticare un po’ di più erano stati proprio i giallorossi: il destino li aveva messi contro i tedeschi del Norimberga, squadra cattiva, brutta da affrontare. E dopo l’andata con sconfitta in Germania, il sospiro di sollievo arrivò solo ai supplementari. Ecco: il Napoli subì quasi la stessa sorte. 1-0 al San Paolo contro il Paok greco e 1-1 al ritorno, faticando parecchio a contenere. Capirete dunque il sorriso amaro quando già ai sedicesimi arrivò il Lipsia, locomotiva del calcio della Germania dell’est: all’andata fu 1-1, al ritorno – sempre in casa – un 2-0 secco che iniziò a illuminare un cielo più azzurro, ad allontanare le nuvole.
Mentre tutte le squadre italiane volavano, agli ottavi arrivò il primo stop, quasi inaspettato: l’Inter si bloccò contro il Bayern Monaco dopo aver vinto la prima partita per 2-0 in trasferta col famoso gol in cavalcata di cavallo pazzo Nicola Berti. La Juve passò serena contro il Liegi e la Roma era capitolata per ben due volte contro il Dresda, a proposito di tedeschi. Il Napoli? Era capitata una trasferta particolare, insidiosa: c’era il Bordeaux, e il vento gelido di quella zona francese. Ancora oggi nei cuori dei napoletani c’è Maradona al centro dell’attacco, maglia bianchissima e guanti nerissimi. A deciderla non fu lui, in trasferta: ma un destro a giro di Carnevale. Insidiosissimo.
E così il Napoli si ritrova ai quarti, con il calcio che non può far altro che rincarare la dose: arriva la Juventus – e che Juventus -, quella di Dino Zoff con Spillo Altobelli in attacco e Marocchi a inventare. Gli azzurri arrivano al Comunale con una maglia rossa che evoca brutti ricordi, la Juve è in bianconero e sfrutta uno schema assurdo su calcio di punizione, che porta Bruno a un destro da fuori su cui il portiere non può fare nulla. Il secondo è tutto di Barros: dribbling sulla destra, cross rimbalzante, Corradini sbaglia intervento e punisce i partenopei. All’andata sembra già decisa: è 2-0 Juve.
Ma nessuno ha Maradona, non ce l’ha nemmeno la Juventus, che nella stagione successiva andrà infatti a prendere Baggio. Nessuno ha nemmeno il San Paolo, e al ritorno è una bolgia, un unico respiro con un po’ di tosse: neanche inizia e ci sono centinaia di fumogeni accesi. Gli azzurri sono in palla e lo dimostrano subito: per un fallo su Careca si va dal dischetto, Maradona trasforma. Alemao ruba palla e serve Carnevale sulla trequarti: il destro è micidiale ed è pari con l’andata. Tacconi para tutto e porta la Juve ai supplementari, finché deve arrendersi al cross di Carnevale e al colpo di testa in tuffo di Renica che spiazza il portiere. 3-0: l’impresa è servita.
Fino alla finale
A tanti basterebbe anche questa partita, però quel Napoli non può fermarsi. L’irruzione nel destino della Juventus ha dato una spinta incredibile, benzina su un motore fortissimo. Arriva il Bayern Monaco in semifinale e… ricordate il riscaldamento di Maradona sulle note di Life is life? Sono di quelle giornate lì, del 2-2 successivo che permette agli azzurri di andare all’epilogo della Coppa Uefa grazie alla vittoria per 2-0 all’andata.
In finale c’è ancora una tedesca e stavolta è lo Stoccarda: all’andata, davanti a 83mila spettatori, Gaudino gela tutti al minuto 17. Maradona pareggia su rigore al 60′, ma l’esplosione è opera di Careca: 2-1 all’ottantottesimo.
Al Neckarstadion, di ritorno, si erano accalcati migliaia di napoletani per assistere a una partita tesa, sporca, a tratti insensata. Alemao colpisce quasi subito, pari di Klinsmann; Ferrara al 39′ avvicina la coppa, Careca la ipoteca. E quando nel finale, un autogol di De Napoli e la rete di Schamler provano a sporcare con un rocambolesco 3-3 il tripudio, è semplicemente troppo tardi. Il Napoli di Ottavio Bianchi, di Careca e Maradona, di Carnevale e Renica, di Alemao e Ciro Ferrara vince la prima e unica Coppa Uefa della sua storia.