“Il monopolio logora chi non ce l’ha“, avrebbe detto qualcuno.
Nel caso di Tencent, il colosso cinese della comunicazione via Internet, non si può parlare di un monopolio vero e proprio. Ma si può parlare di una posizione sempre più “ingombrante”, soprattutto nell’ambito delle chat online (le famose App WeChat e TikTok) e dei videogame, che sta creando problemi sia a competitor che governi.
Nell’ultimo anno e mezzo Tencent ha subito ritorsioni pesanti.
Partiamo dal “fronte occidentale”. Dopo i contrasti avuti con gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump, il nuovo Presidente USA, John Biden, ha un po’ alleggerito l’azione punitiva del suo predecessore.
Donald Trump aveva infatti apertamente dichiarato guerra a Tencent, ritenuta un pericolo per la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni negli USA. L’idea dell’ex Presidente aveva emesse ordini esecutivi per bloccare i download e vietare altre transazioni tecniche delle App TikTok e WeChat. E non solo quelle, perché il guinzaglio era in vista anche per le App di pagamento WeChat Pay e QQ Wallet, entrambe di Tencent Holdings Ltd.
Il ricorso della corporation e di altre aziende cinesi colpite dal “protezionismo” trumpiano, aveva ottenuto dai tribunali americani la sospensione delle iniziative. Il 9 giugno scorso, Biden ha emanato un nuovo ordine esecutivo che cancella definitivamente quelli della precedente amministrazione.
Conclusione a “tarallucci e vino”? Niente affatto, perché anche il nuovo inquilino della Casa Bianca condivide alcuni preoccupazioni sul potenziale danno che Tencent e le sue App potrebbero arrecare agli States.
L’ordine di Biden afferma che la raccolta di dati dagli utilizzatori americani “minaccia di fornire ad avversari stranieri l’accesso a tali informazioni“. Nel testo si parla di “un rischio indebito di effetti catastrofici sulla sicurezza o la resilienza delle infrastrutture critiche o l’economia digitale degli Stati Uniti“. In sostanza, Biden apre qualche spiraglio, ma la porta principale di Washington rimane ben controllata.
Spostandoci verso oriente, Tencent ha incontrato ostilità anche in alcuni Paesi del Middle East e in India. In questo caso, però, al centro della contesa non ci sono solo le chat made in China, ma anche i videogiochi.
Non va dimenticato, infatti, che Tencent è un colosso anche di questo settore. Detiene infatti il 100% di Riot Games e Supercell, possiede il 40% di Epic Games e il 5% di Activision Blizzard. Mani in pasta un po’ dappertutto, si potrebbe dire.
Nel caso Medio Oriente/India sul banco degli imputati c’è la versione per mobile di PUBG, sviluppata da Tencent e ritenuta troppo violenta per i più giovani. Quasi sicuramente un pretesto per colpire un’azienda troppo invadente e soprattutto straniera. Non va dimenticato che tra India e Cina esiste una rivalità storica, che si intreccia con la contesa dei territori di confine nell’area himalaiana (le cosiddette Soda Plains).
Come se tutto questo non bastasse, da qualche giorno per Tencent c’è un nemico anche “in casa”. I procuratori di Pechino hanno avviato una causa civile, accusando l’azienda di aver violato le leggi per la protezione dei minorenni. Al centro, ancora una volta, c’è WeChat, con la sua “modalità giovani”.
Per ora il governo cinese non è intervenuto, anche perché Tencent è un asset importante per il Paese. Non bisogna però dimenticare che solo nell’aprile scorso Pechino ha affibbiato una multa da 3,3 miliardi di euro ad Alibaba per “pratiche di monopolio”.
Staremo a vedere se la stessa sorte toccherà a Tencent. Nel frattempo una conseguenza della causa civile c’è già stata. Le azioni del colosso hanno subito un mezzo tracollo: un pesante -11%, registrato subito dopo che i media statali hanno sostenuto l’azione dei procuratori, auspicando una maggiore regolamentazione per App e videogame. (fonte ilpost.it)
Foto di testa by Getty Images