Poker e backgammon stanno tra loro come l’allievo sta al maestro. In questo rapporto il poker è l’allievo, mentre il backgammon è il maestro. La storia ci insegna che alla fine, molto spesso, è il primo a superare il secondo.
Il senso di questa associazione è quella di un passaggio di consegne. Il backgammon, o Tavola Reale, ha una tradizione millenaria (si parla addirittura di origini sumere) a differenza del poker che, nella forma più simile a quello oggi diffuso, ha circa tre secoli di età. Per moltissimo tempo, dadi e pedine sono state molto più utilizzate delle carte da poker.
Ai giorni nostri la situazione è radicalmente capovolta. Quasi ovunque nel mondo si gioca a poker. La community mondiale del Texas Hold’em conta decine di milioni di appassionati. Il backgammon invece, pur continuando ad essere giocato, è lontanissimo dal poker per numero di giocatori, importanza dei tornei e dimensione dei montepremi.
Eppure nel XX secolo c’è stato un momento in cui il backgammon è stato una fucina di futuri professionisti delle carte. E’ successo più o meno tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’90, negli Stati Uniti, dove alcuni club di gioco ospitavano partite di backgammon ad altissimo livello. Il più famoso di questi locali è il Mayfair di New York.
La cosa può sembrare strana, ma lo è fino a un certo punto. Perché nonostante le grandi differenze, poker e backgammon hanno alcuni elementi in comune.
Il primo e più evidente è quello matematico. Nel poker è importante conoscere le probabilità di realizzare un punto e le relative pot odds. Nel backgammon sono fondamentali le percentuali di uscita di una certo numero tirando i due dadi. Da qui discende la valutazione se offrire, accettare o rifiutare un dado del raddoppio (o videau, lo si vede a sx nella foto, posizionato a 64).
E’ il momento della puntata, così come nel poker si puntano le chips lungo le streets. Di fronte ad un dado del raddoppio che viene offerto da uno dei due giocatori, l’altro può fare “call“, cioè accettare che la posta in palio aumenti. Il giocatore colloca il dado dalla propria parte del tavolo per usarlo in seguito con un eventuale “rilancio” a 4 (e così via). Oppure può fare “fold“: in questo caso, l’avversario che ha proposto il cubo incassa un punto e si inizia una nuova partita.
Anche l’aleatorietà accomuna poker e backgammon. Ma con dadi che vengono tirati prima di ogni nuova giocata, nel backgammon la fortuna recita un ruolo più determinante. La differenza principale, invece, risiede nel tipo di informazione. Nel poker è parziale – non si conoscono le hole cards dell’avversario – mentre nel backgammon è completa, cioè tutte le informazioni legate alla partita sono visibili ad entrambi i giocatori.
La minore aleatorietà e l’informazione parziale – che rende più intrigante il gioco – hanno probabilmente decretato nel tempo il successo del poker. E tuttavia ci sono tanti giocatori di poker che hanno amato la “tavola reale”.
Uno dei massimi rappresentanti del binomio backgammon-poker è Erik Seidel. Membro del Mayfair club, Seidel scopre il poker grazie a David Chip Reese e Stu Ungar, entrambi appassionati di backgammon oltre che di gin rummy. Seidel si siede al tavolo, si innamora subito del gioco e già nel 1988, al suo primo grande evento live, è secondo nel ME WSOP dietro a Johnny Chan.
Rimaniamo nelle sale del Mayfair, per altri due giocatori che hanno fatto la transizione dal backgammon al poker. Billy Horan forse non è molto noto al grande pubblico del poker. E’stato un fortissimo backgammon player – e lo è ancora – un vero “rounders” con dadi e pedine, dalla costa Ovest alle costa Est degli States. Nel suo curriculum pokeristico ci sono due tavoli finale in eventi delle WSOP.
Il secondo ha lasciato un segno più evidente nel mondo del TH. Jason Lester, uno dei “ragazzini terribili” del backgammon di anni ’80, vanta oggi 2,3 milioni di dollari vinti in eventi live di poker, un braccialetto WSOP e una finale nel ME: quella del 2003, vinta da Chris Moneymaker, dove chiuse al 4° posto.
Alla finale del 2003 c’era anche Dan Harrigton, autore di un ottimo 3° posto. Anche lui appassionato di backgammon (e di scacchi), Action Dan ha scritto in collaborazione con il due volte campione del mondo di backgammon, William “Bill” Robertie, uno dei testi di teoria del TH più diffusi: “Harrington on Hold’em”.
Altri nomi di giocatori di poker provenienti dal backgammon sono quelli di Mickey Appleman (4 titoli WSOP tra gli anni ’80 e gli anni ’90), Jay Heimowitz (6 in tutto, spalmati dal 1975 al 2000) e Steve Zolotow (2 braccialetti e 2,3 milioni di dollari in carriera). E anche quello di Howard Lederer, personaggio controverso del mondo del poker per lo scandalo Full Tilt, ma non per questo privo di importanza come giocatore (2 braccialetti WSOP per lui).
E poi c’è Gus Hansen, forse l’unico tra i pro del poker che, ogni tanto, si dedica ancora con profitto al tavoliere con le punte. Nel 2010, infatti, “The Great Dane” inaspettatamente non si presentò al Day 2 dell’EPT Grand Final di Montecarlo. La cosa fece scalpore, ancor di più quando fu reso noto il motivo: Hansen era impegnato in una partita privata di backgammon che nell’arco di quel week-end gli fruttò 2,5 milioni di dollari!
Completa la nostra rassegna forse colui che più di tutti è stato un ponte tra backgammon e poker, soprattutto per le sue doti di teorico. Padre del backgammon moderno, ha inventato il “Fattore M” per il poker. M sta per Magriel (Paul), campionissimo di backgammon ma anche ottimo giocatore di TH: al 2017 vanta 71 ITM, 527mila dollari e un tavolo finale WSOP.
Lo ricordiamo in un video delle WSOP – purtroppo non più disponibile su YouTube – in cui manda in tilt Phil Hellmuth (e chi altri?). Paul Magriel si è spento il 5 marzo 2018, all’età di 71 anni.
Foto di testa credits Getty Images