La pazzesca domenica di sport che poi sarebbe diventata storica per la vittoria del campionato europeo da parte della nazionale italiana guidata da Roberto Mancini, era cominciata con l’altrettanto importante finale di Wimbledon, che non è finita nel migliore dei modi per il nostro Matteo Berrettini, sconfitto in 4 set dal numero 1 del mondo, Novak Djokovic.
A un passo dalla gloria
Per portare a casa il trofeo del più prestigioso torneo di tennis del globo, occorreva una specie di impresa e il nostro portacolori, il tennista romano Matteo Berrettini, primo italiano a conquistare la finale di Wimbledon, ha buttato il cuore oltre l’ostacolo, ma il suo avversario, Novak Djokovic, ha fatto valere tutta la sua classe, emergendo soprattutto grazie alla sua maggiore esperienza nei momenti topici del match.
Il primo titolo di uno Slam da parte di un giocatore italiano è così sfuggito di mano, ma la nuova ondata di giocatori azzurri che sono venuti fuori soprattutto negli ultimi due anni, fa ben sperare affinché l’exploit di Berrettini possa essere considerato come un punto di partenza e non di arrivo.
A parte il tennista romano, che con la finale raggiunta ieri sale all’ottavo posto del ranking mondiale, le nostre speranze sono riposte su una nidiata di non poco conto, a partire da Jannik Sinner, passando per Lorenzo Sonego, Lorenzo Musetti e Gianluca Mager.
Con Marco Cecchinato e Salvatore Caruso saliamo un po’ con l’età, ma anch’essi possono dare ancora qualche soddisfazione al tennis nostrano, al pari di Fabio Fognini che ha ancora qualche anno di carriera da spendere.
Andreas Seppi merita un discorso a parte, visto che, a 37 anni, quella in corso potrebbe essere una delle sue ultime stagioni ai massimi livelli.
La finale di Wimbledon 2021
Tornando all’atto conclusivo del torneo di Wimbledon, Berrettini ha dato del filo da torcere al più quotato avversario, portandogli via il primo set dopo un inizio che non aveva entusiasmato i suoi tifosi.
La straordinaria capacità di Djokovic sta nell’aspettare la partita ed è esattamente ciò che è successo anche nel match di ieri.
Più si andava avanti con i game e più ci si rendeva conto che Nole cresceva come un’onda inarrestabile, divertendosi, eccitandosi, portando la partita esattamente dove voleva lui.
Il motivo di tale caratteristica che permette a Djokovic di vincere partite su partite, è prettamente tattico e sta tutto nel sapersi adattare alle peculiarità dei suoi avversari.
Il campione serbo non è un vero costruttore di gioco, ma, facente parte della categoria dei “ribattitori”, lascia sempre il compito di costruire le partite ai suoi rivali, per poi entrare loro sotto pelle e demolire ogni tipo di certezza che poi porta sempre, o quasi, al risultato finale che sorride al numero 1 del mondo.
In un palcoscenico come quello del centrale di Wimbledon, va da sé che una tattica di questo tipo regala sempre e comunque dei dividendi, rispetto a chi vuole costruire il punto con gli ace, col gioco propositivo, con un dritto micidiale e un servizio da urlo. Se volete aggiungere che Djokovic ha centrato una finale Slam per qualcosa come 30 volte, fare due più due diventa abbastanza semplice e scontato.
Inoltre è parere della maggior parte degli addetti ai lavoro che Djokovic sia il più grande ribattitore di tutti i tempi, dotato di una risposta che in pochi possono annoverare nel proprio arsenale e una capacità mentale che probabilmente ha solo Rafa Nadal in questo momento storico del tennis ai massimi livelli.
I due cali di Djokovic
Il calo di Djokovic al primo set dopo essere andato in vantaggio, è stato uno dei due momenti in cui Berrettini è riuscito a portare dalla sua parte delle porzioni di partita.
La rimonta della prima parte di gara dopo un inizio piuttosto timoroso del tennista romano, ha permesso a Matteo di mettere la freccia e sorpassare Djokovic al termine di un tie-break giocato in maniera fantastica dal nostro campione.
E la prima frazione messa in cascina grazie al 7-4 nell’appena citato tie-break, lasciava ben sperare i tifosi italiani, anche e soprattutto per il fatto che la prima di servizio non è stata così performante come in altre occasioni.
Matteo ha servito con un deludente 56% di prime, anche se di queste si sono concluse con un punto a suo favore 26 volte su 34, per una percentuale del 76%, che crollava inesorabilmente al 41% (11 su 27) quando si è trattato di giocare il punto dopo la seconda.
Piuttosto alti gli errori non forzati, 20, contro i 10 del serbo e 17 sono stati i colpi vincenti contro i 6 del suo avversario.
Nel secondo set Djokovic è salito subito in cattedra mettendo immediatamente alle strette il tennista romano che ha pericolosamente visto fuggire Nole sul 4-0, per poi rientrare parzialmente senza completare la rimonta, fino al 6-4 finale.
In questa frazione Berrettini ha continuato ad avere qualche problema con la prima, servita il 61% delle volte e sono mancati ancora una volta gli Ace, solo 3 in 5 turni di servizio.
Un crescendo rossiniano
Da quel momento in poi è parso subito chiaro a tutti che Djokovic aveva instradato la partita esattamente dove si era prefissato.
La ragnatela del serbo non ha lasciato scampo a Berrettini che ha lottato con le unghie e con i denti durante gli ultimi due set, per poi cedere i break decisivi che non è più riuscito a recuperare in entrambe le occasioni, per il 6-7, 6-4, 6-4, 6-3 finale.
Alla fine della fiera Berrettini ha messo a segno 16 Ace, a fronte di una media che ha spesso toccato in queste due settimane di torneo, superiore ai 20 Ace per match.
La percentuale di prime non ha superato il 59% e questo dato è sintomatico, se si pensa che su 91 prime messe in campo dal romano, ben 69 di esse sono state trasformate in punti, qualcosa come il 76%.
Ma la vera differenza tra i due va ricercata nella risposta, visto che Djokovic ha messo il 57% di punti vinti sulla seconda di servizio del suo avversario, a fronte del 38% di Berrettini.
Sono stati ben 48 gli errori non forzati del romano, che ha avuto grossissime difficoltà nel momento in cui lo scambio si è protratto oltre il quarto colpo. Se si vanno a leggere gli errori non forzati di Djokovic salta all’occhio un emblematico 21, cha fa tutta la differenza del mondo.
Manca un po’ di esperienza a Matteo Berrettini, ma il sogno che ci ha regalato durante queste due settimane londinesi sarà difficile da dimenticare.