Apportare cambiamenti consistenti ad una maglia da calcio classica è sempre un grande rischio che si prendono i designer sportivi. C’è sempre una speranza di fondo però che anima tutti coloro che propongono modelli che si staccano dalla tradizione: che la squadra in questione centri qualche successo importante indossando la maglietta contestata, in maniera tale che entri nelle grazie dei tifosi per “meriti acquisiti”.
Il fornitore tecnico dell’Italia del 2006 deve aver festeggiato in maniera doppia quando l’ultimo, decisivo rigore calciato da Fabio Grosso si è insaccato alle spalle di Fabien Barthez, incoronando gli azzurri Campioni del Mondo. Una maglia che fino a quel momento era stata oggetto di molte critiche entrava definitivamente nella storia del calcio italiano, legata indissolubilmente ad uno dei suoi momenti più indimenticabili.
Tanti cambiamenti accolti con molte critiche
Perché la maglia utilizzata nei mondiali del 2006 aveva attirato tante critiche? Fondamentalmente per un design che è andato ad intaccare una maglia, quella italiana, che nella sua lunga storia non aveva mai visto grandissime variazioni rispetto alla colorazione azzurra uniforme.
L’elemento che salta subito all’occhio sono gli inserti blu navy sfumati lungo i fianchi, appena sotto le maniche. L’effetto che davano era però simile a quello delle chiazze di sudore, dando adito a facili ironie.
Altro elemento che non suscitò molto successo erano i numeri, scritti con un carattere completamente minuscolo sottile e dorato, due caratteristiche che non ne aiutavano certo la visibilità in televisione come sugli spalti. Il tricolore è collocato al centro del petto, appena sopra il numero e il primo dei tre loghi dello sponsor tecnico (ripetuto anche sulla spalla destra e sulla manica sinistra, sempre dorato).
All’interno del tricolore, sovrastato dalla scritta Italia e bordato da un ricamo azzurro, sono presenti le tre stelle dorate, collocate ognuna all’interno di una delle tre fasce colorate, con il logo FIGC in posizione centrale all’interno della fascia bianca. La quarta stella sarà poi aggiunta sempre nella fascia centrale, ma nel contempo verranno anche raddoppiate le dimensioni del logo FIGC, che risulterà fin troppo grande e invasivo.
La maglia vide anche la scomparsa del colletto e, dal punto di vista tecnico, l’abbandono del tessuto elasticizzato adottato a partire dal 2000, per passare ad un materiale sintetico più rigido. Il kit da gara prevedeva poi anche calzoncini e calzettoni della stessa tonalità di azzurro intenso, allontanandosi quindi dalla tradizione dei pantaloncini bianchi.
Tutta una serie di innovazioni che non incontrarono il favore del pubblico, ma qualsiasi critica fu prontamente accantonata nel momento in cui capitan Cannavaro sollevò la Coppa del Mondo sul prato dell’Olympiastadium di Berlino.
Una maglia che rappresenta l’apice di un’era del calcio italiano
Il trionfo dell’Italia nei Mondiali del 2006 fu il punto massimo di un periodo del calcio italiano che in realtà era già alla fine. Lo scandalo Calciopoli era già in corso durante la manifestazione, e avrebbe visto la Juventus privata degli ultimi due scudetti, conquistati in maniera irregolare, e retrocessa in Serie B d’ufficio, e con varie altre società penalizzate a causa degli illeciti rapporti tra i dirigenti e i vertici arbitrali.
Come già nell’estate del 1982, segnata dal calcioscommesse e da polemiche simili attorno alla nazionale, gli azzurri si compattarono ancor di più e riuscirono ad ottenere un successo per molti completamente inaspettato, grazie agli sforzi del gruppo più che dei singoli: gli uomini migliori di quell’Italia, Totti e Del Piero, non arrivarono nelle migliori condizioni all’appuntamento, seppur risultando decisivi in momenti importanti.
Fu la capacità di far emergere protagonisti sempre diversi, grazie ad una squadra che aveva messo il collettivo davanti ad ogni altra cosa, a rendere la squadra di Marcello Lippi capace di superare qualsiasi avversario. In un paese che, dal punto di vista calcistico, stava vivendo un clima a dir poco divisivo e pieno di veleni, l’impresa della nazionale che, grazie all’unità, riuscì a raggiungere l’obiettivo più prestigioso di tutti contribuì in maniera fondamentale a mantenere viva una passione per lo sport nazionale che era stata messa a durissima prova.