Prima della commossa incredulità di Fabio Grosso sotto il cielo “azzurro” di Berlino del 2006, prima ancora degli occhi spiritati di Totò Schillaci nelle notti magiche di Italia ‘90, l’immagine che più di ogni altra ha simboleggiato i successi dell’Italia calcistica è l’urlo rabbioso e liberatorio di Marco Tardelli sul prato del Bernabeu, dopo aver segnato il gol del 2-0 contro la Germania nella finale Mondiale del 1982.
Dei trionfi dell’Italia di Pozzo anteguerra non vi sono immagini vivide, e anche la vittoria dell’Europeo del ‘68 viveva della composta immagine di Giacinto Facchetti con la coppa tra le mani, però ancora in bianco e nero. La prima, vivida immagine dell’azzurro vincente è quindi quella risalente a quell’incredibile Mondiale di Spagna ‘82, e quella maglietta sarebbe diventata istantaneamente la casacca della Nazionale per eccellenza nelle menti degli italiani.
L’ultima, grande, maglietta classica
Come abbiamo già osservato, fino alla fine degli anni ‘80 le magliette da calcio non erano ancora un oggetto commerciale e soggetto alle leggi del marketing. Nella maglia della nazionale italiana non figurava indicato il nome del fornitore tecnico, così come non trovava spazio nient’altro che il logo della FIGC con il tricolore sul petto e il numero sulla schiena.
La rivoluzione dei materiali sintetici era alle porte, ma doveva ancora essere abbracciata in toto dal mondo del calcio, per cui le divise dell’Italia campione del mondo sono tra le ultime realizzate totalmente in cotone leggero.
L’unica vera innovazione della maglia del 1982, rispetto ai modelli precedenti, risiedeva principalmente in due particolari: il colletto a V, stile polo, e il fregio tricolore che correva lungo il bordo dello stesso colletto e delle maniche.
Il logo della FIGC veniva inscritto in verticale nel bianco del tricolore sul petto, racchiuso in un ricamo dorato come la scritta ITALIA che lo sovrastava. Questa scritta, dopo la vittoria del Mondiale, sarà sostituita dalle tre stelle dorate a simboleggiare i tre titoli vinti.
I numeri di maglia sulla schiena erano scritti con un carattere ben visibile, spesso e squadrato, con un effetto tridimensionale dato da una sorta di proiezione assonometrica. Lo stesso carattere, in azzurro, riproduceva il numero sui pantaloncini, sul fronte della coscia sinistra.
Il kit da gara si completava con i pantaloncini bianchi e i calzettoni dello stesso azzurro delle maglie, per un completo tra i più semplici ed iconici in assoluto della storia azzurra.
Una maglietta che ha segnato un epoca, in Italia e nel mondo.
I tre pareggi nelle tre partite iniziali, le polemiche legate al calcioscommesse e il riscatto di Pablito Rossi, che da indesiderato sarebbe diventato l’eroe nazionale capocannoniere con 6 reti, la saggezza del vecio Enzo Bearzot, i numeri sulla fascia di Bruno Conti, le vittorie contro Argentina e Brasile, la finale con la Germania, l’infortunio di Ciccio Graziani, il rigore sbagliato dal Bell’Antonio Cabrini e quindi i gol di Rossi e Tardelli, con quell’incontenibile esplosione di gioia, e Spillo Altobelli, con l’inutile rete tedesca nel finale, l’applauso del Presidente della Repubblica Pertini, in piedi sugli spalti a fianco del Re di Spagna, Dino Zoff che sollevava la coppa scendendo dalla scaletta dell’aereo…
La girandola di emozioni vissute dagli italiani nel mondial e dell’82 ha pochi eguali nella storia del calcio italiano. Un mondiale iniziato male, tra polemiche e risultati deludenti, e chiuso in trionfo, sconfiggendo in sequenza tutte le detentrici dei titoli mondiali precedenti, ovvero Argentina (1978), Brasile (1970) e Germania (1974).
Per l’Italia in genere, che stava vivendo la fine degli anni di piombo e stava entrando in un decennio che avrebbe visto una crescita economica clamorosa, fu il primo segnale di un rinnovato ottimismo ed entusiasmo che avrebbe pervaso tutto il decennio successivo. Dopo una serie di delusioni in campo calcistico, il trionfo di una squadra capace di compattarsi nelle difficoltà e uscire vittoriosa ad ogni difficoltà crescente impersonò alla perfezione lo spirito del tempo nel paese.
Quella maglia azzurra, nella sua semplicità essenziale, inoltre diventò un’icona dell’orgoglio italiano in tutto il mondo, facendo riscoprire anche l’orgoglio delle proprie origini a tutti quegli italiani di seconda generazione sparsi per il globo, nati dopo le grandi emigrazioni del dopoguerra: dal Belgio all’Australia fino all’Argentina, l’azzurro iniziò a comparire sulle spalle di ragazzi improvvisamente orgogliosi delle proprie origini e di potersi dire paesani di Rossi, Tardelli, Zoff e compagni.