Le manifestazioni corte, tipo Mondiali ed Europei, sono sempre foriere di grandi innamoramenti estivi.
Giocatori che infiammano il mercato, sulla scorta di un mese folgorante ma che poi ributtati nel calcio di tutti i giorni non confermano le aspettative e vengono addirittura etichettati come bidoni.
Eppure in questa top five la qualità non manca…
#1: Alksander Zavarov, Euro 1988
Durante l’edizione Mundial di Messico 86, tra un’entusiasmante e furbesca rete di Diego Armando Maradona e il caldo asfissiante delle alture messicane si innescò anche il gelido colonnello Lobanovs’kyj, l’allenatore di quell’Unione Sovietica che fu tra le grandi sorprese della competizione.
L’URSS verrà ingiustamente eliminata – con due gol irregolari a suo svantaggio – dal Belgio, in un’incredibile sfida terminata 4-3. Due anni dopo, ad Euro 88, la squadra sovietica verrà sconfitta in finale dall’incredibile Olanda di Michels. Ma in quell’edizione europea, un nome su tutti comparve prepotentemente sulla scena mondiale: Aleksander Zavarov.
Lo sa bene l’Italia, sconfitta 2-0 in semifinale. Secondo Lobanovs’kyj Zavarov, «come Maradona, ha una tecnica incredibile, può decidere una partita in qualsiasi momento, sa organizzare il gioco e difendersi». Lo sapeva, evidentemente, anche Gianni Agnelli, che alla luce degli ottimi rapporti con Gorbaciov riesce a portare Zavarov, primo sovietico in Italia, alla corte della Vecchia Signora.
Ma vuoi per la troppa pressione della 10 sulle spalle (cambiata con la 9 alla seconda stagione, senza troppo successo), vuoi per l’ambientamento complicato ai climi del calcio italiano e al suo burbero condottiero in maglia Juve, Dino Zoff, alla fine Zavarov risulterà niente più che un amore perduto, una promessa del calcio mai mantenuta fino in fondo: «Per me è un grande onore venire a giocare nella Juventus – dice il giorno del raduno – che è famosa anche in URSS, come la FIAT. Il calcio italiano è molto affascinante, l’Italia intera è molto affascinante».
Dopo appena un anno cambierà totalmente il tono delle parole: «Sono frastornato e innervosito – confessa – dall’attenzione che mi circonda. Non sono abituato a finire tutti i giorni sui giornali. Non ho problemi fisici, non ho problemi con Zoff e la società: ma devo capire meglio il calcio italiano. Se sarà necessario in futuro accetterò senza problemi la panchina».
E invece Zavarov, dopo la terribile estate di Italia 90 per l’Unione Sovietica, alla sua ultima apparizione calcistica, finirà addirittura al Nancy, per appendere in Francia gli scarpini al chiodo. Tramonta l’URSS, tramonta il suo più cristallino talento.
#2: Savo Milosevic, Euro 2000
Una carriera in ascesa, prima del grande fallimento italiano. Con una sentenza riduttiva ma efficace possiamo sintetizzare il talento di Savo Milosevic.
Nato in Bosnia nel ’73, Milosevic conosce fin da giovane i fasti del campione. Vince 2 campionati serbi e 2 Coppe nazionali, laureandosi capocannoniere del torneo nel 1994 e nel 1995. Ha solo 21 anni quando l’Aston Villa si fa sotto per il suo cartellino. Con i Villains Savo fa una grande prima stagione, ma cala nella seconda e quando nel 1996 vince la coppa di lega contro il Leeds United aprendo le marcature (24 marzo), in Inghilterra gli coniano un nomignolo a dir poco complicato da gestire: ‘Van Basten serbo‘.
Omonimo del cruento tiranno protagonista della guerra in Kosovo, va a Belgrado per giocare una partita di calcetto con alcuni intimi amici. Nell’occasione indossa una maglietta recante il simbolo del pugno chiuso, in opposizione al regime.
Sono gli anni in cui va in Spagna, a giocare col Real Zaragoza, di cui è grande protagonista. 9° e 4° posto in due anni, totalizzando 38 goal in 72 presenze. Arriva così il momento dell’esplosione in nazionale, allenata da Vujadin Boskov per Euro 2000.
Segna a valanga. Doppietta alla Slovenia, gol alla Norvegia (1-0), gol alla Spagna (4-3). Agli ottavi di finale, la Jugoslavia viene fermata sul 6-1, pesantissimo, dall’Olanda. Lui segna il triste gol della bandiera, ma si laurea con questa rete capocannoniere con cinque reti insieme a Kluivert. Potente, forte fisicamente, Milosevic è dotato di un tiro eccezionale e di un colpo di testa superomistico.
È il centravanti moderno e il Parma, la squadra moderna per eccellenza, lo porta in Emilia. Ma le cose vanno malissimo, soprattutto se si considerano le spese folli del presidente Tanzi per averlo in squadra. 55 miliardi di lire l’acquisto dal Saragozza, 6,5 miliardi a stagione per 7 anni l’ingaggio.
Dopo aver deluso con Malesani, esonerato, Milo deluderà anche con Sacchi e Ulivieri, che lo stima moltissimo per la disponibilità ai compagni in fase di costruzione. I tifosi, delusi, lo scaricano. Il presidente è costretto a cederlo ancora al Saragozza, che lo cederà a sua volta al Celta e all’Osasuna, dove Milosevic finirà i suoi giorni di calciatore.
#3: Milan Baros, Euro 2004
Quando giocava ancora in Cecoslovacchia, lo chiamavano ‘Il Maradona di Ostrava‘. E a dirla tutta un motivo c’era. Milan Baros, nella rubrica che vi stiamo proponendo quest’oggi, è forse il giocatore che più di ogni altro ha dimostrato il suo valore a lungo.
Egli è il perfetto esempio dell’assunto sullo spazio/tempo di Einstein, ripreso da Heidegger in termini filosofici. Il tempo non esiste materialmente, ma si lega indissolubilmente alla sostanza che si muove nello spazio. Baros ha dilatato lo spazio/tempo nel 2004 quando, prima agli Europei, poi col Liverpool, ha dimostrato tutto il suo abbacinante talento – se lo ricordano bene i tifosi del Milan.
Con i Reds Baros scelse la numero 5. Chissà perché. Alcuni parlano di personalità, altri del coraggio tipico degli stolti. Probabilmente, diciamo noi, per il numero di reti segnate all’Europeo – che abbandona in semifinale con la Grecia ma di cui è Scarpa d’Oro. Baros segna sempre, compresa la splendida doppietta alla Danimarca.
Le sue movenze sono buffe come le storie personali che lo coinvolgono, tra scandali sessuali e strane situazioni fuori dal campo. Ma la sua lestezza è invidiabile. Segna in qualsiasi modo, è coraggioso, si fionda sul pallone in ogni circostanza. La sua corsa è fluida, il suo dribbling perentorio, le sue reti da aguzzino dell’area di rigore. Ma il sogno dura il tempo di un battito di ciglia. Trasferitosi all’Aston Villa, combina poco e nulla.
Va al Lione, dove convince solo per le sue follie private: gli insulti a M’Bia, le corse con la Ferrari. Va quindi al Galatasaray, dove segna tantissimo e tanto fa parlare di sé (fa pipì nella strada del quartiere dei tifosi del Besiktas, beccandosi una multa per aver inquinato la città). Dichiara corrotto il sistema del suo Paese, di cui è però secondo miglior marcatore nella storia con 41 reti, dietro l’inarrivabile Jan Koller. Finisce al Banik Ostrava, dove si è ritirato appena due anni fa. Come passa il tempo (in compagnia di Milan Baros).
#4: Roman Pavljuchenko, Euro 2008
Stavropol in Russia il 15 dicembre 1981. Non è in corso una guerra tra popoli, ma la nascita di Roman Pavljuchenko. Che l’attaccante russo non sarebbe stato un fuoriclasse lo si può già intuire dai numeri della sua primissima esperienza con la Dinamo Stavropol, in serie cadetta russa. Un gol in 31 partite. Va al Rotor, dove in tre stagioni segna 14 gol. Ma è allo Spartak Mosca che illude tutti segnando la bellezza di 89 reti in 143 presenze complessive. Nel 2006 porta i moscoviti a vincere la prima partita di Champions della loro storia, con una perla in rovesciata.
Ad Euro 2008 è uno dei protagonisti insieme al fuoriclasse nascente Andrey Arshavin. Nel match inaugurale del girone la Russia perde malamente con la Spagna, 4-1, ma il gol della bandiera lo firma lui. Ottimo colpitore di testa, abile anche nello stretto, generoso verso i compagni, Pavljuchenko torna in gol nella terza gara contro la Svezia (2-0).
Guida la Russia contro l’Olanda segnando il gol del vantaggio prima del pareggio di Van Nistelrooy, e prima che Torbinskij e Arshavin chiudano la pratica nei supplementari. In semifinale, però, la squadra di Guus Hiddink incontra nuovamente le Furie Rosse, che risolvono con un secco 3-0 il penultimo scoglio di un Europeo dominato.
Nonostante la brutta uscita dall’Europeo, gli occhi del Tottenham si sono fermati su Pavljuchenko, che a Londra segna solo 5 gol in 28 partite. Alla seconda stagione va meglio, ma nei quattro anni complessivi l’attaccante russo non riesce mai ad esplodere. Finirà così al Lokomotiv Mosca, poi al Kuban e all’Ural.
#5: Dimitri Payet, Euro 2016
L’esito finale di Euro 2016, con la Francia nazione ospitante sconfitta dal Portogallo (gol di Eder) nei supplementari, sembra essere l’immagine perfetta della carriera di Dimitri Payet, un autentico maestro del gioco.
Fuoriclasse assoluto, indolente da provocar fastidio ai propri tifosi, ma anche talmente forte da far loro strabuzzare gli occhi quando possibile. Cioè quando vuole lui. Il Payet visto all’Europeo del 2016 è un Payet indimenticabile. Non solo per numeri, per riconoscimenti ufficiali, ma per pura estetica. Veroniche, passaggi filtranti d’esterno, colpi di tacco, tiri meravigliosi, parabole incredibili da calcio piazzato. Ma anche una promessa mai mantenuta fino in fondo.
Ha infatti 29 anni il Payet di Euro 2016. Ne ha 34 oggi, che ci ritroviamo a commentarne il declino inesorabile. Dopo gli splendidi anni al Saint-Etienne, al Lille, dove è miglior assist-men dell’indimenticabile squadra allenata da Rudi Garcia e guidata dal francese e da Hazard. Poi al Marsiglia, dove con el loco Bielsa mette a segno addirittura 16 assist e 7 gol. Al termine di questa stagione, Payet realizza 125 passaggi chiave: negli ultimi 5 anni in Europa nessuno aveva mai fatto meglio di lui.
Dal 2015 al 2017 va al West Ham, e nonostante faccia grandi cose – a cavallo c’è anche il già ricordato Europeo – decide ancora una volta di cambiare aria. Un fenomeno del calcio, d’altra parte, è quasi sempre un nomade della maglia. Torna così al Marsiglia, terra di marinai e corsari, dove gioca tutt’ora. Ma dove non riesce più a tornare ai livelli conosciuti.
Nella partita di debutto di Euro 2016, contro la Romania, serve l’assist per la rete di Olivier Giroud e segna all’89º il gol decisivo per la vittoria della Francia (2-1). Nella partita seguente, giocata contro l’Albania, si ripete al 96º minuto, fissando il punteggio sul 2-0 per i transalpini.
Nel quarto di finale vinto contro l’Islanda, Payet realizza la rete del 3-0, diventando uno dei giocatori simbolo della manifestazione. Poi la finale, la non convocazione al Mondiale del 2018 – vinto dalla Francia, e che Payet dovette salutare causa infortunio – e il tramonto definitivo nell’albo dei ricordi dei grandi calciatori che non sbocciarono mai del tutto.