Il calcio è tattica, estro, talento, passione. Ma come ogni cosa, le dinamiche del gioco sono regolate dalla fisica e dalla matematica. Non c’è movimento del pallone che non segua precise leggi fisiche che i calciatori in qualche modo conoscono e padroneggiano al meglio.
Forse il buon Andrea Pirlo non sapeva esattamente i principi dell’effetto Magnus quando si mise in testa di calciare una punizione in quel modo particolare, ma di certo ne aveva ben chiari gli effetti sul pallone. Ed è così che nacque “la Maledetta”, unendo l’estro di un campione alle leggi immutabili della fisica.
L’origine della “Maledetta”
Il calcio di punizione dal limite è da sempre uno dei colpi stilisticamente più particolari di questo sport. Vero e proprio esempio pratico di balistica e soggetto a innumerevoli leggi della fisica, ogni calciatore esperto in questo fondamentale ne ha dato una sua particolare lettura a seconda delle proprie caratteristiche.
Quella che Andrea Pirlo ha portato ai nostri occhi però, è una versione decisamente complicata da proporre, tanto che lo stesso campione ha dovuto sudare a lungo prima di padroneggiarla al meglio.
L’idea a onor del vero non fu nemmeno sua in principio, visto che uno dei primi a calciare in quel modo fu senza dubbio Juninho Pernambucano. Il brasiliano era un vero e proprio maestro delle punizioni, da qualunque distanza e da qualunque posizione, adattando il suo piede fatato alle varie situazioni. Tra queste appunto, quel modo così particolare di calciare che portava il pallone a scavalcare la barriera per poi abbassarsi all’improvviso mantenendo una velocità costante e finendo per spiazzare il portiere.
Andrea Pirlo era affascinato dalla tecnica di Pernambucano, tanto che tentò a lungo di replicarla durante i suoi allenamenti. Senza grandi successi nei primi tempi, sparando palloni in ogni dove tranne che sotto la traversa.
Poi come lui stesso commenta nella sua biografia, un giorno arrivò finalmente l’illuminazione (“sul bagno mentre facevo i miei bisogni” sottolinea con ironia). Il segreto era quello di utilizzare soltanto le prime tre dita del piede, mantenendolo dritto e fermando la gamba subito dopo il contatto.
Così facendo la palla girava e girava, prendendo l’effetto desiderato e insaccandosi alle spalle del portiere. “La Maledetta” (come sarebbe poi stata soprannominata) era finalmente nata.
La fisica della Maledetta
A Pirlo interessava più che altro l’effetto finale, ma quando il pallone si stacca dal suo piede fatato, entrano in gioco tutta una serie di dinamiche della fisica che gli permettono poi di viaggiare nell’aria con il suo moto particolare.
Ci sono forze diverse in gioco in quei momenti, ma forse quello più importante per questo tipo di azione è l’effetto Magnus.
Si tratta di un principio fluidodinamico (e l’aria come sappiamo è comunque un fluido) e parte dal presupposto che sul pallone sia stato impresso un moto rotatorio (altrimenti la palla procede semplicemente in linea retta secondo la direzione data).
Per questo è prima di tutto necessario imprimere quel tipo di effetto, che come abbiamo visto si raggiunge colpendo il pallone in un determinato modo: va calciato da sotto, con le prime tre dita del piede, tenendo il piede dritto vicino al terreno e bloccando poi la gamba subito dopo l’impatto. Il busto in posizione eretta, ma con il tronco leggermente piegato.
In questo modo quando il pallone viene colpito comincia a girare su se stesso prendendo un moto rotatorio che serve appunto ad “azionare” l’effetto Magnus.
A questo punto intorno al pallone succede qualcosa di particolare. L’aria che lo circonda infatti, non si comporta ovunque allo stesso modo. Se sta girando in senso antiorario per esempio, l’aria scorrerà sul suo lato destro più lentamente di quanto faccia sul suo lato sinistro (questo perchè a sinistra la rotazione del pallone sta in pratica agevolando lo scorrimento dell’aria stessa).
Ed è ancora la fisica a venirci in aiuto in questa fase, con il “Teorema di Bernoulli”. Senza entrare nel dettaglio questo ci dice semplicemente che avremo una differenza di pressione sui due lati del pallone: visto che a sinistra l’aria si muove più velocemente (quindi ci sarà minore pressione rispetto alla sua parte destra), il pallone riceverà una spinta verso quella parte spostandolo quindi dalla sua retta “ideale”. In pratica disegnerà una curva tanto più marcata quanto più alta sarà la velocità di rotazione e la relativa differenza di pressione tra le due parti del pallone.
Nel caso della “Maledetta”, l’effetto è dato in modo che il pallone ruoti sul proprio asse orizzontale, perpendicolare alla retta ideale della traiettoria. In questo modo la differenza di pressione porterà la palla ad abbassarsi molto più velocemente di quanto farebbe se fosse soggetta alla sola forza di gravità.
Questo effetto lo vediamo praticamente su ogni oggetto sferico che riceva uno “spin”: dalle battute dei pallavolisti alle palline da tennis o da baseball. E’ uno dei principi fondamentali per molti di questi sport.
La Maledetta sul campo da calcio
La prima volta non si scorda mai e di sicuro Andrea Pirlo ricorda ancora con precisione quella serata dell’anticipo di ottobre in Serie A del campionato 2005. Di fronte Milan e Juventus, con la squadra di Ancelotti che tira fuori la prestazione perfetta e domina la partita per 3-1.
E’ alla fine del primo tempo però, che Pirlo si trova tra i piedi la palla del 3-0. Punizione dal limite, con il bresciano che si aggiusta la palla e lascia partite il suo piede magico costruendo in cielo una traiettoria impossibile che spiazza Chimenti e finisce in rete.
Caressa al commento impazzisce e crea quel nomignolo della “Maledetta” che verrà poi da quel momento preso a esempio per questo tipo di punizioni.
Ma come abbiamo detto il campione italiano non è stato il primo a calciare in questo modo. Il “maestro” per antonomasia non può che essere Junihno Pernambucano. Incubo dei portieri di tutto il mondo, è a tutt’oggi il miglior marcatore del mondo su calci di punizione con 77 reti all’attivo.
Da ogni parte del campo peraltro. Ma certo la sua specialità era proprio quel calcio con tre dita che riusciva a imprimere effetti pazzeschi al pallone.
Tante quindi le occasioni spettacolari di vederlo all’opera, anche se forse nella memoria di tutti rimane quel colpo da lontano che nel 1998 ha fatto vedere a tutti le possibilità di un tiro del genere.
In casa del River Plaet, Juninho calcia da una distanza pazzesca la punizione, con il pallone che prende velocità alzandosi prima verso l’alto (ben oltre la linea della traversa), per poi scendere velocemente verso l’angolino con il portiere ormai battuto.
E’ quello che verrà poi definito il “Goal Monumental” e che varrà la finale per la Coppa Libertadores per il suo Vasco.