Il cucchiaio è un ottimo esempio di come il nostro Paese (ri)succhi tutto ciò che gli capiti a tiro. E se di tiro qui si parla – e non di un ma del tiro – c’è da rizzare le orecchie fin da subito. Quando Francesco Totti calcia contro l’Olanda uno dei rigori più belli della storia del calcio, Bruno Pizzul si sente quasi costretto a cospargere di muschio il bruno arbusto: il suo déjà-vu lo riporta – insieme alle migliaia di telespettatori sintonizzati – all’estate del 1976, quando Antonin Panenka, centrocampista della Cecoslovacchia, è incaricato di calciare il rigore decisivo nella finale degli Europei.
La Cecoslovacchia sul tetto d’Europa
Ponendoci dunque di fianco al risucchio italo-centrico, è dalla finale di Belgrado che dobbiamo partire. La Cecoslovacchia è una delle cenerentole della competizione, ma il suo cammino ne fa almeno una principessa anzitempo; prima del tempo, cioè, in cui sarà incoronata regina del torneo. Dopo aver superato l’Inghilterra nel girone, la formazione boema fa fuori prima l’Unione Sovietica, poi, in semifinale, l’Olanda. Si badi bene, non un’Olanda qualunque, ma quell‘Olanda di Johann Cruyff, avveniristica come il suo uomo chiave.
Nel temporale di quella notte serba, arriva una vittoria sofferta ma meritata. In finale, la Germania Ovest rimonta due gol di svantaggio; la partita finisce dunque 2-2. Che fare? Otto anni prima, nel 1968, l’Italia pareggia contro la Jugoslavia per 0-0 nella finale degli Europei, a Roma. L’incontro va rigiocato, come da norma; 2-0 per gli Azzurri – è questa, tra l’altro, l’ultima vittoria dell’Italia a un Europeo.
Prima di giocare la finale del ’76, Germania Ovest e Cecoslovacchia si accordano perché la partita, anziché essere ripetuta in caso di parità, si decida ai calci di rigore. Quella lotteria, proprio quella lotteria che segnerà – per un altro verso – la storia di un gesto tecnico, va dunque ricordata, prima di ogni altra cosa, proprio per questo motivo.
Il caso vuole, poi, che quest’ultimo non sia che il lato marginale di ciò che realmente accadde quella sera. Il punteggio di parità, 4-4, viene messo a repentaglio da un bolide del tedesco Hoeness, di cui Beckenbauer avrà a dire: «Il pallone di Hoeness lo stanno cercando ancora adesso per le vie di Belgrado». Quel grado, cercato e non trovato dalla botta di Hoeness, non è cercato ma trovato dallo scavetto di Panenka.
Il gesto tecnico
È il momento di spendere due parole sul gesto tecnico. Contrariamente a quanto una lettura superficiale potrebbe dare a credere, la bellezza e la dolcezza del tocco (poi) noto come “cucchiaio” non si esauriscono nel piacere della visione, ma si accompagnano all’efficacia tattica del momento. Quando Panenka si presenta sul dischetto non ha intenzione di stupire la platea ma l’avversario. Il suo pragmatismo è l’ultima – ma non per questo meno importante – reminiscenza del Comunismo sotto cui vive la propria nazione. Più tardi, Panenka affermerà che «se [avesse sbagliato quel rigore], [lo] avrebbero spedito a lavorare in fabbrica per trent’anni di fila».
Perché rischiare così tanto, per giunta durante la lotteria dei rigori? Non certo per il solo gusto estetico – gusto estetico di cui, come spesso accade nel paradosso della narrazione storica posteriore, ci si ricorderà in primo luogo. A guidare quel tocco di Panenka non fu l’ardore, né lo spirito di Oscar Wilde, ma il fine del risultato: portiere da una parte, Eupalla dall’altra; Panenka autore del panenka, dunque. E la Cecoslovacchia è campione d’Europa.
D’altra parte, la Storia si fa beffe dei romanticismi; la storia è cantata solo da chi deve intrattenere il pubblico. Panenka quel tipo di rigore lo sperimenta più volte nei mesi precedenti, effettuandolo – peraltro – anche durante le partite della propria squadra di Club, il Bohemian. Ma lo spirito di bohème, qui, c’entra davvero poco: «ero sicuro al 100% di segnare tirando il rigore in questo modo». Sepp Maier, il portiere tedesco, proprio non poteva saperlo. La cortina di ferro elevata dal regime comunista non faceva passare neanche lo spiffero di un’informazione. Davvero altri tempi. Non possiamo affermare con certezza se Maier, sapendo di quell’allenamento costante, si sarebbe effettivamente piantato al centro della porta anziché buttarsi come un sacco di patate. Quel che è certo è che oggi i portieri studiano per ore le caratteristiche degli avversari; essere pararigori è certamente un talento naturale, ma azzeccare l’angolo è un’abilità che può essere allenata.
Uso e abuso del panenka
A volte, d’altronde, sono i tiratori stessi a far sì che questo gesto tecnico sia facilmente parabile dal portiere. Quando Panenka calcia quel rigore sa bene di sorprendere il portiere, perché nessuno ha mai calciato così dagli undici metri. A livello internazionale, quello che da noi è celebre come cucchiaio, si chiama ancora oggi panenka. La traduzione italiana si riferisce in primis al particolare scavo che lo scarpino del rigorista effettua calciando dolcemente il pallone dal dischetto; in secundis, al cucchiaio di Francesco Totti durante la semifinale degli Europei del 2000 tra Italia e Olanda.
Celebre ciò che Totti disse al compagno di squadra Gigi Di Biagio prima di avvicinarsi agli undici metri: «A Gì, mo je faccio er cucchiaio». Meno celebre è quel che aggiunse dopo, sempre Totti: «Guarda quant’è grosso [Van der Sar, ndr]. Sai se sbaglio che figura de merda». L’esito lo conosciamo tutti. Questo e quello di Pirlo contro l’Inghilterra rimangono i due più bei panenka della storia, insieme ovviamente all’inarrivabile e originario panenka di Panenka. Di quello di Andrea Pirlo, ebbe a dire proprio Panenka: «è quello che più di tutti si avvicina al mio».
Meno facile è ricordarsi dei cucchiai fallimentari. Su tutti, proprio quello di Totti in un Roma-Lecce del 2004 (facilmente bloccato da Sicignano) e quello di Bernardeschi contro l’Inter, esteticamente inguardabile, nella stagione 2016/17. Quello di Maicosuel (Udinese) contro il Braga, nel corso dello spareggio Champions, è senza dubbio (dei tre) l’errore più pesante.
«Solo un genio o un pazzo avrebbe potuto tirare un rigore in quel modo», affermò Pelé. Qual è, ci chiediamo ancora, il rigore perfetto? Il panenka è sempre e comunque un ottimo modo per spiazzare l’avversario, tecnicamente e tatticamente (mentalmente); proprio per questo, allora, è consigliabile durante una lotteria. Tra gli altri modi più efficaci di tirare – e realizzare – un rigore, annoveriamo da ultimo quello di Jorginho, visivamente disgustoso. Prima dell’italo-brasiliano, ricordiamo la non-rincorsa di Beppe Signori, che si ispirò, molto probabilmente, a Gianfranco Casarsa, attaccante della Fiorentina e del Perugia tra il 1974 e il 1981. Per calciare un rigore ci vuole coraggio; per segnarlo ci vuole (anche) fortuna. Ma solo i più grandi possono eseguire un Panenka.