Difendere le proprie intenzioni è un diritto, anche quando l’azione non è del tutto “trasparente”. Vale anche nel poker, se per esempio qualcuno chiede ragione di una giocata strana o viziata da un comportamento discutibile, come ad esempio uno slowroll. Bisogna stare però attenti affinché la difesa non finisca per rendere più evidente la colpa.
Nel 2019 alle Bahamas si gioca il PSPC, uno dei tornei più importanti nella storia del Texas Hold’em (e più in generale del poker). 25mila dollari di buy-in, 9 milioni di garantito. Sembra un torneo per pochissimi eletti, ma alla fine il risultato è spiazzante: 1.039 giocatori, per un prizepool che arriva a $26.455.500. Solo il Main Event delle WSOP riesce a fare meglio. Il vincitore, che alla fine risulterà essere lo spagnolo Ramon Colillas, si porta a casa 5,1 milioni di dollari. Il segreto di questo successo è nella formula che consente a 320 giocatori amatoriali di partecipare al torneo senza pagare il buy-in, attraverso il concorso dei Platinum Pass: in sostanza, il PSPC consente a 320 “debuttanti” di vivere la favola bella del “from zero to hero”.
Ma nella pokeroom dell’Atlantis Resort and Casino di Nassau ci sono anche tantissimi grandi campioni. Uno di questi è Sam Grafton. Il britannico è uno che conosce il poker. Ad oggi, le sue vincite accreditate su TheHendonmob.com ammontano a $4.137.714 con uno top score da $1.453.517, messo a segno nel 2019 all’EPT SHR di Barcellona. E’ vincente anche nell’online, ma la sua specialità è il poker dal vivo, anche perché Grafton è uno showman non solo quando è in cabina di commento, ma soprattutto al tavolo. Simpaticamente ciarliero, riesce spesso a confondere gli avversari o a carpire tells decisivi con il suo table talk.
L’opinione di chi scrive è che Grafton sia un personaggio positivo nel mondo del poker e corretto, nonostante il suo show a tratti sia un po’ esasperante. Eppure, quel giorno a Nassau…
E’ il Day1 del PSPC. Grafton è al tavolo con un grinder italiano, Enrico Camosci. Il 25enne bolognese è uno specialista del gioco online, uno dei giovani di maggior talento nel panorama italiano, che fa dell’approccio matematico attraverso la GTO il suo punto di forza. Ma nel gennaio del 2019 il mondo del poker live lo conosce ancora poco: nel suo curriculum Camosci ha “solo” 120K incassati con i tornei dal vivo.
Il Day1 sta per finire, siamo all’ultimo livello e a poche mani dallo stop di giornata. Ad un certo punto Grafton e Camosci sono coinvolti in un’azione molto delicata che inizia con il raise dell’inglese da utg+1. Le sue hole cards sono J♥J♠. Tutti foldano fino a Camosci che sceglie di difendere da BB. Il flop porta 8♣4♥J♦, sul quale l’italiano fa check. Grafton si adegua nonostante abbia settato. Il turn è un 8♦ che trasforma il set dell’original raiser in un fullhouse, ma l’azione è di nuovo check-check. Grafton sta chiaramente cercando di intrappolare il giocatore italiano. La trappola gli riesce quando al river si materializza un 2♥: sembra una carta ininfluente, il problema è che Camosci in mano ha 2♦2♣, ovvero fullhouse inferiore a quello di Grafton.
L’azzurro fa check per l’ultima volta, Grafton punta circa 18.000 e Camosci completa l’azione mandando i resti (64.900). A questo punto si verifica il “fattaccio” che ha poi infiammato le discussioni sui forum internazionali. Il professionista britannico inizia a pensare per un paio di minuti, durante i quali ragiona a voce alta. Il punto è che c’è solo una mano contro la quale può perdere, cioè un poker di 8, per il quale esiste una sola combinazione.
Grafton non può mai foldare questa mano, come lui stesso ha dichiarato in un recente intervista rilasciata alla “voce del poker” Joe Stapleton, presente quel giorno in sala. E allora perché prendersi tutto quel tempo? E’ chiaro che la scelta puzza di slowroll.
“L’azione era stata piuttosto anomala, soprattutto per il gioco live dove è difficile assistere ad uno shove dopo un rilancio pesante al river. Quando Enrico è andato all-in, sono rimasto stupito e mi è servito un po’ di tempo per capire cosa stesse succedendo”.
Fino a qui la difesa sembra debole. Grafton aggiunge poi un elemento a sua discolpa che dà un po’ di senso alla sua tankata: “A mia difesa, posso dire che quando qualcuno fa un’azione del genere al day1 di un torneo che costa 25mila dollari di buy-in senza re-entry, e che magari gli è costato un volo transoceanico, è altamente possibile che abbia il nuts (cioè poker di 8, ndr)… Credo che prendersi un po’ di tempo prima di agire abbia senso in situazioni importanti durante un torneo live. Magari non in una situazione come questa – come ho già detto sono consapevole che avrei dovuto chiamare più velocemente. In generale, una delle sensazioni più frustranti è essere eliminati dal torneo solo per accorgersi che con un po’ di ragionamento l’eliminazione si sarebbe potuta evitare”.
La spiegazione di Grafton ci convince solo in parte. Tuttavia, l’idea che ci siamo fatti è che il suo slowroll sia dovuto più al suo bisogno di fare show al tavolo che all’intenzione di umiliare Camosci. E siamo quindi propensi a perdonarlo.
Anche perché, senza quel cooler, qualche giorno dopo Enrico Camosci forse non avrebbe chiuso al 17° posto il Main Event della PCA per $69.220 e non avrebbe vinto una picca da 252.340 dollari nel $10.300 NLH Single Re-entry, regalando all’Italia del poker la migliore performance mai realizzata da un azzurro in terra caraibica!
Foto di testa: Enrico Camosci alla PCA 2019 (credits Carlos Monti per Rational Intellectual Holdings Ltd)