Parlare (e scrivere) di sport, di giochi o di qualsiasi altra attività umana sarebbe molto meno divertente se non esistesse lo slang.
Il linguaggio gergale è qualcosa che accomuna gli appassionati, sintetizza la cronaca e dà colore ad ogni racconto. Se per esempio nel calcio non ci fossero espressioni come “cucchiaio”, “biscotto” o “tiro telefonato”, si dovrebbe ricorrere a descrizioni del tipo “rigore calciato con finta e pallonetto sul portiere proteso in tuffo”, “partita combinata, con risultato deciso prima dell’inizio” e “tiro debole, facilmente parato”. Decisamente non è la stessa cosa, per lunghezza e rinuncia a un pizzico di ironia.
La stessa cosa vale per il poker che rischia di diventare troppo serioso se affidato ai mero linguaggio tecnico, o troppo di nicchia se ridotto alle espressioni criptiche dei grinder.
In realtà, il caso del poker è particolare perché si tratta di un duplice scambio con il linguaggio di tutti i giorni. Alcune espressioni tipiche di questo gioco sono infatti entrate anche in altri contesti. “Andare all-in” oggi si usa molto spesso per esprimere l’intenzione di prendersi un rischio o di puntare all’obiettivo massimo. Oppure avere l'”asso nella manica”, per indicare un elemento a sorpresa o di riserva.
Nel Texas Hold’em si è soliti ribattezzare le starting hand, cioè le mani di partenza.
La coppia di Assi (A-A), per esempio, possiede una grande varietà di soprannomi: pocket rockets e snake eyes per i più anglofoni, American Airlines e Pini per noi italiani. Le ragioni sono abbastanza evidenti. La seconda mano di partenza più forte, cioè la coppia di K(ing), viene spesso indicata come i Cowboys. La coppia di 2, invece, è chiamata le paperelle ormai da quasi tutti i giocatori. Questo nome le è stato affibbiato da Paul Magriel, (1946-2018), matematico, buon giocatore di poker ma soprattutto campione di backgammon, che aveva assegnato quel soprannome al doppio 2 con i dadi, per poi estenderlo anche alle carte. Magriel, e tanti altri dopo di lui, era solito accompagnare lo showdown di 2-2 con il sonoro: “quack, quack”.
Molto particolare è la storia dei vari “nickname” attribuiti a A-K. Il più usato a livello internazionale è probabilmente Big Slick, che sembra derivi dalla combinazione di carte alte (Big) e dal fatto che si tratti di una mano un po’ “scivolosa” da giocare (Slick). Un altro nome per A-K è Walking Back to Houston anche se è usato quasi esclusivamente negli States. Come ha spiegato T.J. Cloutier, i giocatori di poker di Houston andavano a Dallas e, dopo aver sopravvalutato A-K, erano costretti a tornarsene a casa senza un soldo in tasca. Anche una famosa canzone di Dean Martin, “Houston”, include una strofa in cui si cita A-K per una triste passeggiata verso casa sotto la pioggia, fornendo un altro elemento al background del termine.
Ma per quasi tutti i giocatori italiani A-K è Anna Kournikova. Il riferimento è alla tennista e modella russa che verso la fine degli anni ’90-inizio Duemila ha raggiunto il picco della propria carriera nello sport. Si tratta di un 8° posto nel ranking mondiale, un’ottima posizione ma non tale da lasciare un’impronta indelebile nella storia del tennis. Di lei si diceva che fosse più bella che vincente, esattamente come la combinazione di Asso e Kappa: una mano apparentemente bella nel poker, che però spesso porta a perdere se non diventa una coppia sul board.
Ci sono poi alcune mani ribattezzate con i nomi dei giocatori che le hanno rese famose in situazioni più o meno positive. Tra le prime ricade senza dubbio 10-2 ovvero la Brunson, perché ricorda come Doyle Brunson abbia vinto il WSOP Main Event due anni di fila con quella stessa mano. Un po’ meno positivo è il riferimento a A-8, chiamata la mano del morto (dead man’s hand). Secondo la leggenda, il noto pistolero e poi sceriffo James Butler “Wild Bill” Hickok aveva in mano A-8 il giorno in cui fu ucciso mentre giocava a poker.
E ce ne sono molte altre che potete trovare qui.
Oltre alle mani di partenza, lo slang del poker riguarda anche determinate azioni di gioco. Nel nostro Paese, molte di queste sono italianizzazioni di termini anglosassoni. Bullare il tavolo, ad esempio, indica un giocatore che sta dominando la partita e deriva dall’inglese to bully (prevaricare). Oppure shippare un grande torneo equivale ad averlo vinto, ma la versione italiana di to ship rende chiaramente il senso di aver sottratto qualcosa a qualcun altro.
La più nostrana di tutte le espressioni pokeristiche rimane però mandare la vasca, equivalente a metterle tutte in mezzo: andare all-in ma in maniera molto più pittoresca.