Anche nel settore degli eSports i soldi contano. E tanto, soprattutto se parliamo di società che operano con un profilo professionistico, sia che si tratti di team di alto livello – quelli che giocano nei tornei tier 1 e tier 2 compreso il sistema delle franchigie – che si organizzatori di eventi o ancora di società che si dedicano principalmente alla comunicazione e alla creazione di contenuti esportivi.
Per tutte queste attività servono soldi e quindi è normale che, durante l’intera stagione agonistica, ci sia una ricerca costante di sponsor. Esiste poi la possibilità di realizzare profitti con la compravendita dei giocatori, un po’ sul modello degli sport professionistici tradizionali, ma questo opzione è riservata ad una ristretta nicchia di team competitivi ad alto livello. Le altre voci di fatturato sono quelle della vendita di prodotti brandizzati (merchandising), contenuti (con pubblicità o meno), attività educational (corsi) e l’organizzazione di eventi live e online. Ma tutto questo non è sufficiente senza i fondi che arrivano dagli investitori: in particolare in un anno, come quello appena archiviato, che ha azzerato le manifestazioni dal vivo e quindi la vendita di ticket e di spazi pubblicitari.
Ma quando si parla di investitori, esistono tre modelli consolidati nel mondo degli eSports: quello dei fondi privati (parliamo di capitale di rischio, come quello di un business angel), quello dei finanziamenti attraverso la quotazione in borsa (si veda il caso dei Guild Esports di David Beckham) e infine quello del crowdfunding. Il 2020, in un certo senso, è stato l’anno che ha scoperto quest’ultimo modo di finanziare il settore degli eSports e che di base si fonda sul coinvolgimento diretto della community dei fans.
Scoperta per modo di dire, dal momento che di crowdfunding legato agli eSports si parla dal 2012, anno in cui il gioco Double Fine Adventure (in seguito ribattezzato Broken Age) è stato finanziato attraverso Kickstarter: l’obiettivo iniziale di 400mila dollari è stato letteralmente stracciato, visto che a fine campagna la cifra raggiunta ha superato i 3 milioni di dollari.
Qui non stiamo parlando di videogiochi ma di società e questo, forse, è stato uno dei motivi per il quale il crowdfunding è stato a lungo trascurato negli eSports. E’ quanto ha voluto chiarire Ben Goldhaber, CEO dell’hub di contenuti di eSport Juked.gg che nel 2020 ha puntato forte sul crowdfunding: “Non avevamo preso seriamente in considerazione la crowd equity a causa di uno stigma negativo percepito dal pubblico, indipendentemente dal fatto che lo stigma fosse vero o meno. Sembra che ora l’atteggiamento sia cambiato. Il contributo economico dei fan sta diventando sempre più comune e sempre più accettato e compreso non solo dai fondi di venture capital ma anche dagli investitori medi”. Non sono solo parole le sue, ma fatti perché Juked, dopo una campagna di crowdfunding lanciata su Republic.co a settembre 2020 e conclusa ad inizio 2021, ha raccolto 1,07 milioni di dollari per merito di 2.500 investitori individuali. “Il nostro obiettivo era raccogliere almeno 500mila dollari e ci siamo dati nove mesi per farlo. Abbiamo finito per raccogliere l’intero importo di 1,07 milioni di dollari in meno di quattro mesi”, ha commentato Goldhaber, se anche “…non è stato facile far funzionare le cose dal punto di vista legale e organizzativo, per mettere insieme la nostra strategia di marketing e per rispondere a centinaia di domande difficili da parte degli investitori. Ma il ritmo degli investimenti ha superato di gran lunga le nostre aspettative”.
In realtà l’esempio di Juked era stato anticipato da Fnatic, uno dei team più competitivi a livello mondiale, che sempre l’anno scorso è diventata la prima squadra esportiva a lanciare una campagna di crowdfunding. L’operazione è stata avviata su Crowdcube e si è conclusa con il risultato ben al di là delle aspettative: 4.000 investitori e quota 2 milioni di sterline superata! Certo, Fnatic partiva con vantaggio di essere uno dei brand più noti (da anni) nel mondo degli eSports, ma ciò non toglie che l’operazione ha ottenuto due risultati: fondi nuovi per il team e coinvolgimento della fanbase. E’ quello che ha sottolineato il CEO e fondatore di Fnatic Sam Mathews: “I vantaggi del crowdfunding hanno soddisfatto la nostra esigenza primaria, che era quella di offrire una nuova esperienza ai nostri fan. Consigliamo il processo a qualsiasi altra azienda che desideri ottenere lo stesso risultato” anche perché, ha poi proseguito, “Per i nostri fan, l’aumento del pubblico offre loro la possibilità di approfondire davvero il loro rapporto con Fnatic e acquisire un livello di conoscenza e accesso al modo in cui gestiamo la nostra attività che nessun altro team offre“.
E qui, proprio in quest’ultima frase, sta probabilmente l’elemento di maggiore criticità per le società esportive che vogliono aprirsi al crowdfunding. Bisogna infatti ammettere che nel settore dei videogiochi competitivi la trasparenza è ancora molto limitata. La maggior parte delle società si muove in un’area che, se non è completamente in ombra, è quantomeno in chiaroscuro sul fronte dei dati e dei progetti. Si fa fatica a conoscere gli stipendi dei giocatori, le cifre alle quali vengono ceduti, come vengono gestiti/ripartiti i premi, i business plan annuali. Tutti questi elementi, e molti altri ancora, devono emergere alla luce del sole se una società intende garantirsi un buon afflusso di investitori attraverso il crowdfunding.
E in ogni caso, va tenuto presente che i fondi provenienti dal crowdfung difficilmente possono soddisfare tutte le voci di spesa. Lo confermano gli stessi Fnatic che nello stesso giorno in cui hanno lanciato la campagna di crowdfunding, hanno anche raccolto 10 milioni di sterline in un round di finanziamento tradizionale. Un esempio simile è quello di Gamerpro, fornitore di servizi per eSport mobile. La società britannica ha scelto di seguire la strada del crowdfunding ma ha anche annunciato la partecipazione al programma Future Fund del Regno Unito, creato a sostegno delle imprese nazionali in tempi di pandemia. La combinazione di crowdfunding e investimento “classico” è forse la via da seguire per ora: almeno questa è l’opinione del Ceo di Gamerpro Gary Sonyak: “Il crowdfunding potrebbe essere un buon strumento di marketing per aumentare la popolarità del marchio o dell’azienda. O ancora meglio da utilizzare come canale di monetizzazione poiché la maggior parte delle società legate agli eSport stanno lottando per monetizzare efficacemente il proprio pubblico. Penso che combinare il crowdfunding con Future Fund sia il modo migliore per raccogliere fondi al giorno d’oggi, non solo negli eSport“.
Il crowdfunding resta comunque una svolta importante per gli eSports, soprattutto dopo il picco raggiunto da questo settore durante la pandemia: è probabile che nel corso del 2021 sempre di più saranno le organizzazioni che ricorreranno a questo forma di finanziamento.
Fonte: esportsmag.it