Sarà stato forse l’effetto del rinvio delle Olimpiadi di Tokyo al 2021, ma il governo giapponese è al lavoro per investire nel settore degli eSports.
Il progetto, al momento in fase di discussione, vedrà coinvolto non solo il settore pubblico ma anche quello privato in un piano della durata di 5 anni, per un obiettivo di profit stimato in 2,6 milioni di dollari tra il 2020 e il 2025.
Naturalmente dietro a tutto questo non c’è soltanto il blocco imposto ai Giochi Olimpici dalla lotta al coronavirus, ma la consapevolezza da parte del ministro delle delle finanze e del commercio giapponese, Hiroshi Kajiyama, che il settore degli eSports sarà un asset sempre più remunerativo del Sol Levante.
Stando ai dati di una recente ricerca, il valore del mercato esportivo giapponese potrà aumentare da 6 a 15 miliardi di yen in soli tre anni grazie all’espansione nel Paese del 5G, la nuova linea di comunicazione con prestazioni e velocità molto più elevate dell’attuale tecnologia 4G/IMT-Advanced.
Il governo lavorerà a braccetto con aziende di videogiochi (molto probabilmente i publisher Nintendo e Sony, leader in Giappone) e professionisti di settore per raggiungere i livello dei Paesi nei quali il settore dei videogiochi competitivi è molto più consolidato (USA e Corea del Sud su tutti).
La cosa interessante, però, è che in ballo non ci sono solo obiettivi economici, ma anche sociali e di salute pubblica. Il piano mira infatti ad ampliare moltissimo la partecipazione delle persone, comprese quelle affette da disabilità, promuovendo l’immagine degli eSports come passatempo utile per mantenere attive le capacità mentali e cognitive. Un esperimento, questo, già avviato da un’organizzazione no-profit nei pressi di Tokyo, che ha iniziato ad organizzare eventi per i cittadini in pensione.
In questo modo il Giappone ambisce a recuperare il tempo perduto in questo settore e a proporsi come punto di riferimento per eSports nel Far East. Un po’ sull’esempio di quanto successo un anno fa nella cittadina di Kanazawa, sulla costa centrale del Giappone, dove il governo cittadino aveva investito 4,5 milioni di yen (poco più di 36 mila euro) negli eSports per cercare di fermare l’esodo dei giovani verso le metropoli. Fondi forse un po’ limitati per per trasformare la città nella “mecca degli esports” giapponese, ma sicuramente lodevole l’intento.
Di segno parzialmente contrario la situazione politica in Brasile, dove comunque il settore degli eSports gioca un ruolo importante con un field che supera i 10 milioni tra giocatori e pubblico, per un fatturato di 1,5 miliardi di dollari, terzo posto dopo USA e Cina.
Nel 2017 il governo brasiliano ha emanato una legge, la PLS 383/2017, che punta a limitare la diffusione tra i giovani dei giochi più violenti, quali Counter Strike e Rainbow Six Siege, esclusi dalla regolamentazione e che, pertanto, non permettono lo status di atleta professionista a chi li pratica.
La community brasiliana è insorta: da un lato per non essere stata interpellata nella stesura della legge, dall’altro insistendo sul fatto che una legge nazionale specifica per il settore non fosse necessaria, dal momento che le competizioni si svolgono su piattaforme la cui proprietà intellettuale appartiene alle aziende.
Leo de Biase, CEO di BBL eSports – una delle maggiori organizzazioni esportive del Brasile – ha aggiunto: “Ci sono già le limitazioni a questi titoli, che dovrebbero essere giocati solo dai maggiorenni. Il pubblico di questi videogiochi non sono ragazzini, bensì adulti“.
Non si è fatta attendere la replica della politica, attraverso le parole della senatrice Leila Barros (Partito Socialista Brasiliano – PSB) che ha dichiarato: “In generale, la comunità dei videogiocatori rifiuta qualsiasi tipo di regolamentazione, pensano che lo Stato voglia mettere i bastoni tra le ruote ad un’attività che sta crescendo e che crea posti di lavoro”.
Al di là delle singole posizioni, una cosa è certa: la politica ha iniziato a guardare in modo serio agli eSports.
(fonte EsportsMag.it)