La questione stadi rappresenta un tema nevralgico per il futuro del calcio italiano: FIGC, Coni e Lega Serie A hanno inviato una lettera al Premier Conte e ai Ministri a tal proposito
Ormai è risaputo che gli introiti da stadio siano centrali e pesino in maniera predominante sul bilancio delle principali squadre di calcio. A livello europeo, le infrastrutture delle big sono, a parte qualche eccezione, all’avanguardia. Basti pensare all’Etihad Stadium di Manchester, al nuovo stadio del Tottenham e agli impianti eccellenti di Germania, che ha permesso ai club, come Bayern Monaco e Borussia Dortmund, di arricchirsi e di diventare un punto di riferimento globale. In Italia, al contrario, la situazione è abbastanza preoccupante, basti pensare ai continui ritardi per la costruzione dello stadio della Roma, alle polemiche di Commisso sull’inadempienza italiana che gli impedisce di costruirne uno a Firenze e ai problemi di Milan e Inter.
Le società milanesi da tempo stanno portando avanti l’idea di creare uno stadio insieme ma il Comune e lo Stato non sembrano avere la stessa velocità decisionale, provocando così un rallentamento generale nell’iter burocratico. Sabato mattina i Presidenti di Coni, Figc e Lega Serie A hanno inviato una lettera al Presidente Conte e ai Ministri Gualtieri, Spadafora e Franceschini nella quale si evidenzia il difficile momento che sta vivendo il calcio italiano e lo stato di arretratezza delle infrastrutture sportive del nostro Paese rispetto al contesto europeo. La comunicazione al Presidente Conte è stata accompagnata dal Rapporto Monitor Deloitte che propone le azioni ritenute fondamentali per avviare le necessarie opere di rinnovamento degli stadi in Italia, senza che vi sia alcuna richiesta di fondi per questi interventi, che invece servono proprio per ridurre le barriere agli investimenti privati. In particolare, si ritiene necessario attivare tempestivamente un confronto con il Governo per:
– ridurre il numero di autorità competenti coinvolte nel processo autorizzativo, attualmente 6, allineandoci alle best practice di mercato (e.g. Germania, dove vengono coinvolte 1/2 autorità a seconda dei casi);
– comprimere il numero di fasi previste dall’ iter autorizzativo, attualmente 7, avvicinandoci alle best practice europee (e.g. Germania, 2 fasi) o alla media europea (5 fasi);
– rimuovere i vincoli legislativi relativi alla destinazione d’uso delle strutture, in particolare per quanto riguarda il divieto ex-ante di prevedere opere residenziali (limite presente esclusivamente in Italia).