Dopo cinque anni, termina la battaglia di Alex Schwazer e il marciatore italiano ne esce vincitore, pulito, ma sconfitto, perché nessuno potrà ridargli il tempo perduto. Ecco cosa è successo
“Archivazione per non aver commesso il fatto”. Così il Tribunale di Bolzano pone fine al processo di primo grado per doping ad Alex Schwazer che esce pulito dalla vicenda. Il Giudice ha accolto la richiesta del pm contestando l’opacità della tesi di IAAF e Wada che però portarono alla squalifica del marciatore. Il Giudice ha inoltre confermato e accertato che i campioni di urina nel 2016 furono alterati in laboratorio per far sì che il test antidoping risultasse positivo e portarlo così alla punizione esemplare. La decisione del Gip fa seguito alla richiesta della procura, dello scorso 3 dicembre, di archiviazione del procedimento penale per Schwazer. L’inchiesta si riferiva al presunto caso di doping di Alex, risalente al 2016, e non al primo caso, del 2012 (quello ammesso dallo stesso marciatore). Tutto era nato da un controllo del primo gennaio 2016, in seguito al quale il TAS aveva condannato il marciatore a una squalifica di 8 anni, che sta ancora scontando.
Lo stesso Schwazer ha sempre contestato la validità di questo secondo caso di presunta positività, puntando il dito sugli anomali valori, altissimi, del DNA contenuto nella provetta, dichiarandosi vittima di un complotto. Ora, cinque anni dopo, arriva l’assoluzione per il marciatore altoatesino e il Gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, ipotizza reati di falso ideologico, frode processuale e diffamazione nei confronti di chi ha – e non più avrebbe – manipolato le provette. Il dito è puntato su IAAF e Wada, che ora rischiano seriamente anche dal punto di vista legale e penale oltre che un danno di immagine difficilmente cancellabile. “È il mio trionfo più grande. Pure dell’oro di Pechino. Lì sapevo cosa mi aspettava, ero allenato per lo sforzo, mentre nei tribunali sono un pesce fuor d’acqua. È stata una traversata nel deserto con i miei angeli, Sandro Donati e gli avvocati. Non mi sembra vero, ma una cosa voglia chiarirla”, il commento di Schwazer alla Gazzetta dello Sport. ““Tutti pensano che ho lottato perché volevo ritornare a marciare. Ecco, in una scala di valori questo occupa solo il 10% del totale. La vera molla era dimostrare la mia innocenza. Perché ci avevo messo la faccia nel mio ritorno da pulito, dopo aver pagato giustamente nel 2012 le colpe per il doping. Nel 2016 sapevo di essere vittima, in compagnia di Sandro, di una colossale ingiustizia. La gente, però, giudica per quello che legge: c’era una sentenza, diceva il contrario. In pochi hanno avuto voglia e pazienza per studiare il caso, vedere le mille incongruenze, iniziare ad avere dubbi. Ecco, cancellare quella macchia era l’obiettivo: passare il resto della mia vita con un marchio infame sarebbe stato insopportabile”, aggiunge poi il marciatore che, ora, ne esce pulito ma depauperato del tempo perduto che ha inciso in maniera determinante nella sua carriera sportiva ma anche nella vita privata.