Compie oggi 62 anni un allenatore che si è sempre distinto per il suo calcio spettacolare e per il suo carattere schietto, oggi in attesa di una nuova avventura.
“Il tacco, la punta, il numero… senza i contrasti non si vincono le partite”. Questa citazione è presa da una delle conferenze stampa più famose di Luciano Spalletti, quella in cui, poco dopo un Roma – Juventus terminato 1-3, si preparava a dar le dimissioni da tecnico dei giallorossi. Ogni cosa che Luciano dice è scandita da un violento battere la mano sul tavolo, un crescendo terminato da un oggetto che cade. Un’immagine che riassume bene Spalletti, un allenatore che è sempre stato così: schietto, diretto, senza peli sulla lingua nell’esprimere la propria opinione, che sia a difendere o anche a bacchettare, ogni tanto, la propria squadra. Una caratteristica, unita al carattere fumantino, che hanno reso le sue dichiarazioni mai banali. Ma Luciano è anche un abile stratega in campo, con il suo marchio di fabbrica, il 4-2-3-1, con cui ha ottenuto meno successi di quanti avrebbe meritato in una lunga carriera in Italia e non solo. Nato a Certaldo, nella campagna fiorentina, trascorre l’infanzia in un mondo popolato da boschi, vigneti e campi, tra persone che lavorano con amore la terra e un pallone con cui gioca creando porte improvvisate. Un mondo a cui sarà sempre legato, così lontano dagli ambienti frenetici in cui in futuro si troverà ad allenare. La sua carriera da calciatore si svolge interamente tra la Serie C e la Serie D, sempre in squadre toscane, ad eccezione di una parentesi allo Spezia. Spalletti, mediano in campo, inizierà ad allenare poco dopo aver appeso nel ’93 gli scarpini al chiodo, guidando i ragazzi dell’Empoli. La sua notorietà la deve proprio alla squadra azzurra, con cui ottenne un meraviglioso doppio salto dalla C1 alla A tra il ’95 e il ’97, salvando, al primo anno in massima serie, un club che solo l’anno dopo, senza di lui, verrà retrocesso da ultimo in classifica. Sembra il momento in cui prendere il volo, ma così non è: l’esperienza alla Sampdoria si conclude con un brutto terzultimo posto, dopodiché non lascia il segno quando viene chiamato in corsa a guidare Venezia, Udinese e Ancona. Riparte alla grande proprio da Udine, nel 2002. Dopo due buone annate, ottiene un piazzamento clamoroso nel 2004-05, un quarto posto che manda per la prima volta la squadra in Champions League, grazie alle reti di Di Natale e Iaquinta.
Viene quindi chiamato alla Roma, e il primo anno guida una squadra reduce da una stagione deludente a mettere insieme undici vittorie di fila. È un periodo d’oro per lui: sposta Totti là davanti, ottenendo in cambio tanti gol, la squadra sembra modellata sul suo credo calcistico ed è l’unica a battagliare con la dominante Inter di quegli anni. Riuscirà a strappare ai nerazzurri due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana, ma non lo Scudetto, arrivando due volte secondo, come nel 2008, quando si giocò la vittoria del tricolore all’ultima giornata, contro l’Inter di Ibrahimovic. Dopo una stagione sotto le attese, si dimise dopo due turni e due sconfitte nel settembre del 2009, lasciando il posto a Claudio Ranieri. Emigrò per cinque anni in Russia, dove vinse due campionati con lo Zenit San Pietroburgo, portato a buoni livelli anche in Europa. Ma alla fine tornò nella Capitale nel gennaio del 2016, accolto dall’amore dei tifosi romanisti. Fece un fantastico girone di ritorno e fu confermato di nuovo, ma iniziò ad emergere una spaccatura che lo portò a essere sommerso di fischi alla sua ultima in giallorosso. Il 2016/2017 fu un anno ottimo per la Roma, che chiuse seconda con 87 punti, un record, e con ben 90 gol segnati. Ma fu anche l’ultimo anno di Francesco Totti, ritiratosi controvoglia al termine di quel percorso, segnato da diverse incomprensioni e screzi con il tecnico toscano, reo, secondo il numero 10, di averlo fatto marcire lentamente in panchina. Spalletti, che ha sempre sostenuto di aver fatto il meglio per la squadra, lascerà l’Urbe dirigendosi a Milano, per allenare quell’Inter con cui tanto ha battagliato nel decennio precedente. Le due stagioni alla guida dei nerazzurri sono simili in termini di risultati: la squadra parte alla grande, ma una flessione invernale ne mina il cammino fino al quarto posto finale, ottenuto in entrambi i casi all’ultima giornata con due vittorie al cardiopalma contro Lazio e Empoli, grazie alle quali i milanesi tornano ad assaporare la Champions League. A tenere banco, nel 2019, è un altro suo screzio con un grande campione, Mauro Icardi, degradato da capitano e spesso beccato da Spalletti per i suoi atteggiamenti poco professionali fuori dal campo. Anche l’argentino, come Totti, lascerà la squadra, ma la stessa sorte tocca anche a Spalletti, ancora senza panchina dopo 1 anno e 9 mesi dal termine di quell’esperienza. Luciano, al momento, si gode la sua Toscana, ma siamo certi che è sempre pronto per tornare in pista con la consueta passione che lo contraddistingue.