Compie oggi 52 anni un attaccante straordinario, icona della Serie A di fine anni ’90 con Fiorentina, Roma e Inter, l’indimenticabile Batigol.
La chioma bionda, le mani che si muovono vorticosamente mimando una mitraglia che spara di qua e di là. Quante volte abbiamo assistito a quella storica esultanza? L’uomo che la eseguiva era sempre lui, Gabriel Omar Batistuta. Un leader naturale, sul cui carisma si appoggiavano le speranze di una città intera. In campo era una forza natura, non aveva una tecnica eccezionale, ma ogni volta che lo si vedeva giocare sembrava ineluttabile che prima o poi avrebbe mandato la palla in porta. In un periodo di enorme splendore della Serie A, tra gli anni ’90 e l’inizio dei 2000, era indubbiamente tra i più forti attaccanti del campionato, in un torneo che annoverava gente come Vieri, Ronaldo, Shevchenko, Trezeguet, Crespo e molti altri. Un generoso che ha dato tutto per la maglia, in un’epoca in cui i difensori entravano molto più duro di adesso, talmente duro che Batigol ne risentirà i postumi anche dopo il ritiro, arrivando a dichiarare di preferire che gli amputassero le gambe, piuttosto che convivere con quel dolore lancinante. Il calcio gli ha dato tutto, ma gli ha tolto anche tanto. Uno sport che non sembrava dovesse essere la sua strada, nella sua infanzia argentina. Nato ad Avellaneda, e non a Reconquista, dove si trasferirà a sei anni, Batistuta era un bravo studente, e si dilettava più che altro con il basket e la pallavolo. Ma la voglia di emergere e l’ispirazione dei campioni del ’78 gli fecero perseguire questa strada, anche perché il talento e l’abnegazione non gli sono mai mancati. Sono gli anni delle giovanili del Newell’s Old Boys, dove verrà allenato dal Loco Bielsa, e in cui conosce la futura moglie Irina, al quale urlerà tutto il suo amore in un famoso Fiorentina – Milan. In pochi anni veste le maglie dei due più importanti club del Paese, il River Plate e il Boca Juniors, facendosi apprezzare da entrambe le tifoserie. Guida l’Albiceleste alla doppia vittoria in Copa America del ’91 e del ’93, con i suoi gol che risultano decisivi. È tempo di sbarcare in Europa.
Batistuta arriva a Firenze nel 1991, 12 i miliardi di lire sborsati dall’allora patron Cecchi Gori. Perché di lì a poco divenne Re Leone è facile capirlo, i suoi folti capelli biondi fanno il palio con quelli di Mufasa, il celebre leone Disney dell’omonimo film che uscirà di lì a poco. I primi due anni è già in doppia cifra in Serie A, ma la viola retrocede clamorosamente in cadetteria nel ’93. Batistuta soffre ma non molla, riporta i suoi in Serie A e continua a guidarli nei successi degli anni successivi. Nel ’95 è il capocannoniere del torneo con 26 gol in 32 partite, 11 incontri di fila sempre in gol, tuttora record. L’anno successivo è la volta dei suoi primi trofei, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. La Fiorentina sembra sul punto di spiccare il volo, ma così non è. Due anni incolori ne minano il percorso, fino ad arrivare al 1999, l’anno dei 30 anni. I viola di Trapattoni sembrano davvero lanciati: chiudono l’andata da campioni d’inverno, Batigol, con 18 reti nelle prime 19 è inarrestabile. Alla 20esima, poco dopo il suo compleanno, un infortunio muscolare lo terrà fuori per un mese e passa, e le ambizioni della Fiorentina vanno a farsi benedire. L’argentino ci prova con tutto sé stesso, ma anche l’anno dopo la situazione non cambia. È tempo di cambiare aria, dopo 9 anni di fila tutti in doppia cifra in A, 207 totali in viola, gli anni migliori da capitano e condottiero di Firenze, conclusi con un paio di trofei. Nel 2000 a comprarlo è la Roma di Franco Sensi, 70 miliardi di lire per un ultratrentenne, una cifra abnorme, ma che verrà ripagata. È l’anno dello Scudetto, del Batistuta-Totti-Montella, dell’argentino che segna alla Fiorentina e piange, delle sue 20 reti che spazzano le avversarie e che regalano alla parte giallorossa della Capitale la gioia più bella, l’ultimo tricolore romanista. Da lì in poi, la storia sbiadisce. Batistuta, sempre più provato dall’età e dagli infortuni, si vede poco negli anni successivi, passa anche sei mesi all’Inter, in cui arriva al capolinea della sua carriera. Si ritira nel 2005, dopo una parentesi in Qatar con l’Al-Arabi. Inserito nella Hall of Fame del calcio italiano nel 2013, la gente non lo ha mai dimenticato, tanto da essere diventato anche cittadino onorario di Firenze pochi anni fa. Un attaccante carismatico, un simbolo, uno strapotere assoluto. Questo era Gabriel Omar Batistuta.