Compie oggi 35 anni Andrea Bargnani, cestista italiano celebre per essere stato il primo europeo scelto come numero uno al draft NBA.
Il Mago. Così era stato soprannominato Bargnani da Riccardo Pittis, suo allenatore ai tempi di Treviso, perché impressionato dalle capacità cestistiche del ragazzo. Un nickname che si è portato dietro tutta la carriera, in cui è riuscito ad ottenere un posto al sole nella tostissima NBA, ma non a vincere quanto avrebbe voluto, frenato anche da diversi infortuni. Non è stato il primo italiano a mettere piede oltreoceano nella lega di basket più famosa al mondo, ma il primo a lasciare un’impronta che ha consentito ad altri suoi colleghi, come Belinelli, Gallinari, Datome, di raggiungerlo. E dire che inizialmente sembrava volesse dedicarsi al calcio, un po’ come la grande maggioranza dei suoi coetanei, ma è stato indirizzato alla palla a spicchi già in tenera età dalla madre, giocatrice di basket amatoriale. Andrea segue i consigli della madre, e inizia a mettersi in luce prima a Trezzano Rosa, dove si trasferisce da piccolo, e poi nella capitale, dove torna in età adolescenziale. A Roma inizia ad attirare l’attenzione degli addetti ai lavori, e ci mette solo un anno per passare alla Benetton Treviso, allora una potenza nazionale della pallacanestro nostrana. Con gli anni si impone come uno dei migliori giocatori della lega, venendo eletto nel 2006 miglior giovane del campionato nazionale e non solo, dato che consegue lo stesso riconoscimento anche per l’Eurolega, mettendosi in tasca pure il titolo di campione d’Italia con i trevigiani. In quell’estate decise di rendersi eleggibile per il draft NBA, che si sarebbe tenuto il 28 giugno. La sua mobilità e la sua abilità nel tiro dalla distanza impressionarono oltreoceano, al punto tale che l’allora 20enne Andrea venne chiamato con il numero uno, decisione che fece scalpore. Nessun europeo, e di conseguenza nessun italiano, era mai stato chiamato come prima scelta, né prima di lui né dopo di lui. Era oltretutto solo il secondo giocatore ad ottenere questa riconoscenza senza essersi formato nel basket a stelle a strisce, prima di lui solo Yao Ming.
A chiamarlo erano stati i Toronto Raptors, una squadra giovane, esistente solo da una decina d’anni, ancora a corto di successi nonostante la presenza in squadra agli albori di campioni quali Vince Carter e Tracy McGrady. Bargnani andò a formare una temibile coppia di lunghi con la stella della squadra Chris Bosh, e pur non partendo praticamente mai titolare contribuì al raggiungimento dei playoffs dei canadesi, eliminati però subito dai Nets. Iniziò a entrare nel quintetto base l’anno dopo, ma ancora una volta Toronto uscì subito in post-season, battuti questa volta 4-1 dagli Orlando Magic. Gli anni successivi arrivò ad aumentare le sue presenze in campo, ma i Raptors non avevano la qualità necessaria per poter rientrare tra le prime 8 ad Est. Con la partenza di Bosh direzione Miami nel 2010 diventa il perno offensivo della squadra, ed è proprio in questo periodo che mise a segno il suo career high: 41 punti in una partita contro New York nel dicembre 2010. Purtroppo per lui la sfortuna continuò a tormentarlo con diversi infortuni che compromisero il numero di partite giocate e la possibilità di ambire a qualcosa di più in post-season. È comunque ricordato con affetto dai tifosi di Toronto, che lascia nel 2013 per approdare nella Grande Mela, New York City. Con i Knicks la musica non cambia, la squadra non è competitiva e Bargnani rimane vittima di problemi fisici che gli impediscono di lasciare il segno come vorrebbe, con una media punti che si aggira intorno ai 14 a partita. Dopo un’ultima annata grigia con i Brooklyn Nets, saluta gli USA per tornare in Europa con i baschi del Saski Baskonia, ultima squadra in cui ha militato lasciandola dopo appena quattordici partite disputate. Ha lasciato il basket a soli 33 anni, spiegando nel gennaio 2018 come non cerchi più nuovi ingaggi per motivi personali, nonostante si senta bene fisicamente. Il basket alla fine è stato severo con lui, ma gli ha dato anche l’opportunità di giocare in America, nel campionato più bello del mondo, per una decade. Un sogno realizzato per il Mago.