La Coppa delle Coppe è uno di quei ricordi lontani, di serate passate a guardare distrattamente la tv, di squadre dai nomi impronunciabili, di ritagli dei giornali da attaccare sui diari di scuola. Probabilmente, il passare del tempo apre sempre, e implicitamente, una porta alla nostalgia.
Però, sottomessi come siamo a un cambio costante, obbligati ad attualizzarli ogni giorno, la tentazione di idealizzare un passato più semplice è tanto facile quanto tentatore. Nella vita e nel calcio.
Qualcuno, comunque, ha avuto la fortuna di conoscere un altro pallone. E’ cresciuto ammirando uno sport più semplice, che è rimasto senza cambiamenti radicali durante quattro decadi. I campioni delle coppe nazionali giocavano un torneo continentale. La Coppa delle Coppe, la chiamavano. Ed era la seconda coppa per importanza nel pallone del vecchio continente, seconda solo alle grandi orecchie di una Coppa dei Campioni non ancora trasformata in Champions League.
Ogni paese mandava il suo rappresentante, e ogni club rappresentava un paese. Nelle squadre si allineavano, in forma quasi esclusiva, giocatori di quella nazionalità. Uno sport che si vedeva sia in campo che in televisione. Basato pertanto nell’esperienza fisica: grida, sudore, pianti e risa, abbracciare e insultare.
Come esperienza fisica, essa era molto limitata alla vicinanza geografica. Era la squadra della tua città, è capitato che giocassero squadre di seconda divisione, come l’Amburgo o la nostra Atalanta. Era la squadra della tua città, e quindi la squadra di tuo padre, di tuoi amici, di una comunità di persone e affetti. Non sceglievi la squadra: la squadra sceglieva te.
Il format
Andiamo al sodo però, asciugandoci quella lacrimuccia scesa a rigare le guance.
La Coppa delle Coppe è stata una competizione ufficiale, organizzata dall’Uefa che, lungo 39 stagioni, disputarono i vincitori delle coppe nazionali dei differenti paesi europei.
Sebbene si consideri l’edizione del 1960-61, conquistata dalla Fiorentina, come la prima – su sollecitazione della FIGC – per la UEFA non fu ufficiale fino al 1963, quando la Coppa delle Coppe confluì nella Mitropa Cup. La confederazione europea si incaricò direttamente dell’organizzazione del torneo dal 1961 al 1999, anno in cui la Coppa delle Coppe fu assorbita dalla Coppa Uefa.
Il format della competizione era identico a quello della Coppa dei Campioni originale: 32 squadre che si affrontavano durante quattro turni di eliminatorie dirette a doppia partita, con la finale che si disputava in unica gara dalla sua seconda edizione, 1962.
Il vincitore della Coppa delle Coppe aveva diritto a disputare la Supercoppa d’Europa una competizione nata nel 1973 che la metteva di fronte al campione della Coppa dei Campioni.
Per partecipare alla Coppa delle Coppe il criterio di qualificazione era semplice: erano ammessi il campione della Coppa nazionale di ogni paese membro dell’Uefa, il campione in carica della per poter difendere il suo titolo, il finalista della competizione nazionale nel caso in cui ci fosse stato un doblete domestico.
Piccola curiosità statistica: in una sola occasione giocò un club non incluso in questi tre casi e questo fu l’Heerenveen. Semifinalista della coppa d’Olanda 1998, arrivò a giocare la Coppa delle Coppe della stagione seguente in quanto, ad essersi classificate ‘legalmente’ tramite la coppa nazionale furono due squadre (Ajax e PSV) che avevano già strappato il biglietto per la Champions grazie al piazzamento in campionato.
Eravamo proprio agli sgoccioli della competizione, che con l’allargamento delle partecipanti alla Champions venne svuotata progressivamente di contenuti tecnici. Per la cronaca l’Herenveen dovette disputare uno spareggio contro il Twente vinto per 3-1.
Eravamo come detto al gong finale della storia della Coppa delle Coppe, e la competizione celebrò l’ultima edizione nel 1999, in quanto l’Uefa ristrutturò le competizioni europee dei club per dare più protagonismo alla Champions League.
Il club con più titoli della Coppa delle Coppe nel suo palmarés è il Barcellona, che la conquistò in quattro occasioni: 1979, 1982, 1989 e 1997.
Altra piccola pillola statistica: nessun campione della Coppa delle Coppe, nei suoi 39 anni di storia, è riuscita a vincere la competizione per due anni consecutivi. Di fatto, in otto occasioni il campione vigente arrivò alla finale, ma non fu mai capace di rivincere il titolo, nemmeno quando si presentava con gli assoluti favori del pronostico, come ad esempio nella clamorosa finale del 1995 Arsenal-Saragozza, decisa da un tiraccio di Nayim da centrocampo che sorprese Seaman durante i supplementari.
Le italiane
E la tradizione sorride, alle squadre italiane. A partire dalla Fiorentina nel 1961: allenata da Hidegkuti, fortissimo centravanti della grande Ungheria sconfitta nella finale dei mondiali del 1954.
I viola parteciparono in quanto la Juve di Sivori, facendo doppietta a fine anno, la batté in finale di Coppa Italia. In finale, con i Rangers Glasgow, la decise Gigi Milan (doppietta).
Nel 1967, ecco il Milan: a Rotterdam contro l’Amburgo, davanti a 53mila spettatori, i rossoneri furono meravigliosi in difesa con un monumentale Trapattoni e letali davanti grazie alla doppietta dello svedese Harmin, riportando la Coppa in Italia.
Ancora i rossoneri nel ’72 contro gli inglesi del Leeds, poi la Juve nel 1984: la Signora, per l’occasione in giallo, supera la delusione di Atene dell’anno precedente piegando il Porto. E guidata da Platini è uno spettacolo per gli occhi e le emozioni.
Gli anni 80/90 sono un vero e proprio dominio per le italiane nelle coppe europee, e la Coppa delle Coppe non fa eccezione. Dalla cavalcata dell’Atalanta, squadra all’epoca di serie B capace di spingersi fino alle porte della finale, estromessa solo ad un gradino dal paradiso dal Malines poi campione, fino ai trionfi delle cosiddette “provinciali” che tanto piccole però non erano.
C’è la Samp, nel 1989, quella di Vialli e Mancini, soprattutto di Vujadin Boskov. Alla sua seconda finale, dopo la sconfitta di Berna dell’anno prima contro il Barcellona non fallisce l’appuntamento con la storia nella finalissima di Goteborg contro il quotato Anderlecht dell’epoca.
E soprattutto non fallisce il Parma di Nevio Scala, nell’Olimpo del calcio a partire dalla stagione precedente: è il 1993, in finale c’è l’Anversa, e in campo ci sono i protagonisti di uno spaccato di calcio di provincia che oggi fa bene al cuore ricordare. Sono gli ultimi anni delle notti magiche europee, per questo sport.
Anni in cui le italiane dominano pensieri dei tifosi e quasi di conseguenza i campionati europei. Indimenticabile per i più nostalgici anche il Vicenza di Guidolin, capace di emulare l’Atalanta di dieci anni prima, e di giocarsi l’ingresso in finale contro il Chelsea di Vialli. Cose che restano nei ricordi e nel cuore, anche perché non capita spesso di vedere segnare Pasquale Luiso a Stanford Bridge.
Come iniziò la lunga scalata della Coppe delle Coppe, l’italianissima Fiorentina, a terminarla fu la Lazio di Cragnotti per un ideale cerchio che trova la sua degna chiusura. Ancora capitanata da Mancini, insieme a Nesta, Vieri, Mihajlovic, Pancaro, Marchegiani, Stankovic, Favilli, Almeyda, Nedved e Salas. Così forti che valeva la pena citarli tutti, trionfatori nella notte di Birmingham contro il Mallorca allenato da Hector Cuper.
Dal 1961 al 1999: un dominio italiano. Per la Coppa dei ricordi. E del riscatto.