Milano è da sempre una città dalle due anime, divisa tra la sua operosità e il suo spirito glamour, tra l’individualismo e lo spirito di comunità, tra la sua vocazione internazionale e l’orgoglio cittadino, tra San Carlo e Sant’Ambrogio, tra il rossonero del Milan e il nerazzurro dell’Inter.
La rivalità sportiva cittadina, verso la fine degli anni ‘60, era incarnata alla perfezione dai due capitani delle squadre, Gianni Rivera e Sandro Mazzola, che si videro protagonisti di un dualismo che uscì ben presto dall’ombra del Duomo e arrivò ad animare le polemiche attorno alla nazionale italiana, a mezzo mondo di distanza.
Una nazionale dai delicati equilibri
Nel 1970 l’Italia partecipa al Mondiale in Messico reduce dalla vittoria dell’Europeo del ‘68 ma anche con ancora vivo il ricordo della storica disfatta del Mondiale inglese di quattro anni prima, quando gli azzurri furono clamorosamente eliminati dalla Corea del Nord.
Il commissario tecnico Ferruccio Valcareggi porta in Messico una squadra che si basa in gran parte sul blocco interista, con Gigi Riva finalizzatore designato, affiancato da Roberto Boninsegna. Il posto rimasto per un centrocampista offensivo è uno solo, e Valcareggi ha a disposizione due talenti eccellenti come Mazzola e Rivera.
Se il milanista, Pallone d’Oro nel 1969, era un giocatore veloce e abile, dalla tecnica e dalla visione di gioco sopraffina, in grado di distribuire assist come pochi altri al mondo, l’interista, dotato anch’egli di grande tecnica e con un passato da attaccante puro, garantiva maggiore copertura al centrocampo, grazie a puntuali ripiegamenti difensivi e ad una maggiore capacità di legare i reparti.
Rivera era sempre al centro di polemiche varie, alimentate dalla stampa, per le sue dichiarazioni contro il gioco eccessivamente difensivo che aveva caratterizzato la nazionale negli anni precedenti, e non faceva mistero del fatto che avvertiva un’aria ostile nei suoi confronti, non tanto da parte del commissario tecnico, quanto dai vertici della Federazione, incarnati nel segretario Walter Mandelli.
Mazzola, dal canto suo, avrebbe dovuto contendersi il posto di centravanti con Anastasi, ma dal momento che il centravanti juventino fu escluso all’ultimo per uno sfortunato infortunio all’inguine, vennero convocati Boninsegna e Prati come centravanti, escludendo Lodetti, centrocampista compagno di Rivera al Milan. Non potendo alimentare un dualismo tra i due interisti Mazzola e Boninsegna, Valcareggi decise di arretrare definitivamente nel ruolo di rifinitore Mazzola.
Fino all’arrivo in Messico, il Golden Boy del Milan aveva praticamente sempre giocato, anche in coppia con Mazzola, ma con l’inizio della competizione viene inizialmente relegato in panchina, nel successo contro la Svezia per 1-0 e nel pareggio a reti inviolate contro l’Uruguay, partite che misero in luce la sterilità offensiva della nazionale, incapace di fornire palle giocabili ad uno straordinario attaccante come Riva.
Una staffetta che scontenta tutti
Nell’ultima partita del girone Rivera entra nel secondo tempo al posto di Domenghini, ma la partita non si schioda dallo 0-0 che comunque manda gli azzurri a giocarsi i quarti contro il Messico. Alla vigilia della partita, Mazzola denuncia un episodio di dissenteria, e dopo una notte insonne, non è chiaramente al meglio.
Valcareggi gli chiede l’impegno di giocare almeno un tempo, e l’Italia va all’intervallo sull’1-1. Al rientro in campo è Rivera a scendere in campo al posto del numero 10 interista, e l’Italia vince per 4-1, con una doppietta di Gigi Riva inframezzata proprio dal gol del milanista.
In semifinale c’è la Germania, in quella che sarà definita la partita del secolo: Mazzola stavolta sta bene, gioca una partita intensa e difficile contro Beckenbauer, ma rientrati negli spogliatoi, con la squadra in vantaggio grazie al gol in apertura di Boninsegna, Valcareggi impone all’interista di togliersi gli scarpini: il secondo tempo sarà ancora appannaggio di Rivera.
Mazzola non reagisce bene a quella che vede come un’ingiustizia, visto il risultato e la prestazione. Quello che succederà poi in campo è storia: la Germania pareggia al 90°, si va ai supplementari, con i tedeschi che segnano il 3-3 su un’errore di Rivera e il sigillo finale messo proprio dal rossonero sulla vittoria azzurra per 4-3, al termine di un crescendo di emozioni che ancora oggi è commemorato da una targa posta all’esterno dello Stadio Azteca.
In finale contro il Brasile di Pelé, una volta rientrati negli spogliatoi sul punteggio di 1-1, Mazzola ha ormai capito l’antifona e si prepara a lasciare il posto al compagno e rivale, ma Valcareggi questa volta rinuncia a quella che ormai è diventata nota come la staffetta, tenendo Mazzola in campo. Rivera, idolo delle masse in patria, entrerà solo a partita ormai compromessa, sul 3-1 per il Brasile, sostituendo Boninsegna negli ultimi 6 minuti di partita, durante i quali i brasiliani segnano anche il quarto gol.
Vicecampioni del Mondo, ma duramente contestati
Al ritorno in patria è la rivolta: nonostante gli azzurri siano vicecampioni del mondo, i tifosi sono infuriati per la gestione di Rivera, invadono la pista dell’aeroporto di Fiumicino e scatenano una fitta sassaiola verso l’autobus della squadra, costretto a trovare riparo momentaneo in un hangar.
Dopo quel mondiale, Rivera e Mazzola ripresero a giocare insieme in nazionale e a sfidarsi in innumerevoli derby cittadini. Avversari da sempre, ma nemici mai, i due si rispettavano ed ammiravano a vicenda, nei limiti imposti dalla rivalità cittadina. Non era certo possibile all’epoca per un calciatore del Milan farsi vedere negli stessi ambienti di quelli dell’Inter, e viceversa.
Per quanto non gli fosse possibile frequentarsi senza suscitare reprimende da parte dei propri tifosi, Sandro Mazzola e Gianni Rivera sono stati i fondatori, nel 1968, del Sindacato dei Calciatori, ed entrambi finirono per essere poi dirigenti delle squadre a cui hanno legato la carriera: Mazzola con vari ruoli dirigenziali dal suo ritiro, nel 1977, al 1984 e quindi come direttore sportivo dal 1995 al 1999, mentre Rivera, all’indomani del suo addio al campo nel 1979, fu immediatamente nominato vice-presidente del Milan, ruolo che mantenne fino al 1986, dopo l’acquisizione della società da parte di Silvio Berlusconi.