La volatilità di un sentimento. E di una difesa. Se sei un portiere, certi sentimenti li comprendi più facilmente. E lo sguardo, prima acceso e poi spento di Giancarlo Alessandrelli in quel Juve-Avellino, è un manifesto di cosa poteva, può e sempre potrà fare una partita di calcio. Specialmente se l’hai fatta diventare il tuo lavoro.
Comunque, andiamo per gradi. Iniziamo dal principio e dal motivo per cui, quella gara, era così importante per il giovane Giancarlo.
L’altro Zoff
Ci sono portieri che nascono numeri uno e altri che s’adattano alla dodici. Non per demeriti propri, ma per estremi meriti di chi li precede. Capitò, nella vita di Alessandrelli, un muro insormontabile di nome Dino e di cognome Zoff: non solo gli risultò impossibile superarlo, ma nelle uniche battute in cui gli riuscì il ruolo da protagonista, Giancarlo fu segnato da un triplo colpo dal quale difficilmente parve riprendersi. Era il 1979, era una gara contro l’Avellino valida a nulla, è stata una giornata che cambiò per sempre la sua vita e la sua carriera.
Nel 1975, Alessandrelli è un giocatore di meravigliose speranze: nel 1972 vince campionato Primavera con la Juventus, squadra di cui è capitano e soprattutto tifoso (ama dire ‘dalla testa ai piedi’). Dopo vari prestiti tra Ternana, Arezzo e Reggiana, ai bianconeri sbuca un’idea quasi naturale: serve un vice Zoff di spessore, che l’età inizia ad avanzare e tra le pagine dei giornali non sembra così scontata la permanenza del friulano tra i pali bianconeri, e Giancarlo è appena rientrato a Torino dall’ultimo prestito. Insomma, è un’occasione. Che nasce sì in panchina, ma che si conserva chance in tutto e per tutto. Giancarlo accetta, mosso anche dalla possibilità di far parte di una squadra enorme, con potenzialità incredibili. C’è l’ambizione di far bene in Europa e soprattutto di continuare a vincere in Italia. L’obiettivo, poi, è quello di vestire l’azzurro Nazionale quanto prima.
Rimarrà in bianconero quattro anni, da numero dodici fino al 1979. Il giro degli stadi? Fu sempre e solo di panchine: Zoff e Trapattoni gli concedettero appena due gare, entrambe in Coppa Italia. “Grazie alla Juventus ho girato il mondo, ho conosciuto uomini eccezionali come Gianni Agnelli e Montezemolo”, ma di momenti di gloria soltanto l’ombra di una classica a San Siro, contro l’Inter di Mazzola e Oriali. Negli ultimi mesi della sua esperienza in bianconero, a malincuore maturò la decisione di andar via: Boniperti non fece una piega, aveva già individuato il suo sostituto.
La gara con l’Avellino
“Ricordo sempre le parole del presidente Boniperti, un uomo straordinario, per me unico. Mi diceva di stare tranquillo, che quando Zoff avrebbe smesso di giocare, il portiere titolare sarei stato io”, raccontò in seguito Alessandrelli. Peccato che Giancarlo “smise” di giocare anni prima di Dino. “Ma andò benissimo così, e andava bene anche ai tempi. Ero alla Juventus e quando indossi quella maglia la luna ti sembra più vicina”. Ecco, la luna gli sembrò un po’ più lontana in quella fatidica gara di campionato, contro l’Avellino. Pure qui, antefatto necessario.
Negli spogliatoi si era sparsa la voce del suo addio, allora Alessandrelli non tardò ad annunciarlo: dentro di lui covavano ancora i vecchi desideri, la speranza di diventare grande tanto quanto chi lo precedeva nella distinta. Il gruppo volle fargli un regalo, nonostante il Trap – che pure contro l’Avellino non avrebbe dovuto giocarsi nulla – scelse ancora una volta Zoff tra i pali della sua squadra. A mezz’ora dalla fine, Brio si avvicina al suo allenatore e inizia a urlare: “Dai Giovanni, fai giocare il ragazzo!”. Tutti dalla panchina guardano Giancarlo, emozionato e un po’ imbarazzato. Trapattoni fa ciò che non avrebbe mai pensato di fare: sostituisce Zoff, che la prende col sorriso e non vede l’ora di procedere con il cambio della guardia alla porta bianconera.
Poco o nulla, il riscaldamento. E’ 3-0 per la Juventus e la situazione sembra totalmente sotto controllo. Forse troppo, perché la difesa juventina sembra non averne più, e i campani in tutto questo dovevano far punti, si giocavano la salvezza. Primo gol subito su punizione, poi un altro di ribattuta, quindi l’ultimo che vale il pari irpino. In meno di mezz’ora, Alessandrelli crollava e guardava quella panchina tanto odiata come un caldo rifugio mentre fuori impazza la tempesta.
‘Quella partita mi segnò’
Quell’esperienza lo segnò. E alla fine Zoff sembrò il più arrabbiato: non ce l’aveva certo con Giancarlo, ma con i compagni della difesa, crollati sotto il colpo di quella sostituzione che di fatto sanciva l’arrivo delle vacanze. “Però è grazie a quei tre gol che oggi qualcuno si ricorda ancora chi sono. Pensate un po’: mi chiamarono Raffaella Carrà e Maurizio Costanzo. E oggi, quando mi ferma un poliziotto e legge la patente dice solo una cosa: Alessandrelli, quello dei tre gol con l’ Avellino…”.
Quello dei tre gol con l’Avellino, sì. E oggi “quello dei ristoranti”, uno ad Arezzo e l’altro a Porto Cervo. Si chiamano “Next Doors”, cioè “la porta successiva”. Un po’ più in là del campo, come gli è capitato di fare in carriera. Dall’esperienza in bianconero, quel ragazzo di Senigallia giocò altri sette anni. Prima all’Atalanta, poi alla Sanremese, quindi alla Rondinella e poi ancora alla Fiorentina. Non fu così fortunato, e quella storia un po’ l’ha perseguitato. Comunque, a fine fiera, il bottino parlava di tre scudetti, una Coppa Italia e soprattutto la Coppa Uefa del 1977.
La riserva di Zoff, ricordato per i 3 gol dell’Avellino, oggi è un uomo col sorriso e con un bagaglio pieno di ricordi. “Ero quello addetto alla radiolina per dare i risultati alla squadra in panchina dagli altri campi. All’inizio mi andava bene, poi decisi di aver bisogno di nuovi stimoli. Quella partita fu una mazzata, una coltellata, una figuraccia. Col tempo è passato tutto, ora ci rido su, ma per diverso tempo fu un incubo”. Ecco, non per i tifosi dell’Avellino, che ancora oggi ne parlano con una luce meravigliosa negli occhi.