Ci sono poche città che possano dirsi “italiane” più di Reggio Emilia: in questo centro fondato dai Romani nel bel mezzo della pianura padana è nato e fu esposto per la prima volta il tricolore che è assunto a bandiera italiana, è luogo d’origine di una delle specialità gastronomiche italiane più famose nel mondo, il Parmigiano Reggiano, è stato uno dei centri più importanti della guerra di liberazione e per questo è stata insignita della medaglia d’oro al valor militare della Resistenza.
Essendo così italiana, Reggio Emilia ha una passione smodata anche per il calcio, passione resa ancor più genuina e verace dalle sfortunate vicissitudini della squadra locale. Oggi la Reggio Audace, nuova denominazione della storica Reggiana, ha riconquistato la Serie B dopo più di 2 decenni tra dilettanti e Lega Pro, ed è difficile ricordarsi della Reggiana a cavallo degli anni ‘90, una delle provinciali più ambiziose di quegli anni, tanto da costruire il primo stadio di proprietà italiano e ingaggiare uno dei più grandi talenti del calcio europeo, Paulo Futre. Ma non fu il campione portoghese a fare le fortune della squadra emiliana, piuttosto fu la squadra granata a trasmettere la sua atavica sfortuna al giocatore, la cui carriera fu irrimediabilmente segnata dall’esperienza reggiana.
Paulo Futre, sopraffino talento di scuola portoghese
Jorge Paulo Dos Santos Futre, sul finire degli anni ‘80, era uno dei maggiori talenti del calcio europeo. Dopo gli esordi nello Sporting Lisbona, nel 1984 arriva al Porto con cui, negli anni seguenti, conquisterà 2 campionati, 1 coppa nazionale e 2 Supercoppe del Portogallo, ma soprattutto la Coppa dei Campioni nel 1987, anno in cui arriva secondo nella graduatoria del Pallone d’Oro, dietro al milanista Ruud Gullit. Nello stesso anno si trasferisce all’Atletico Madrid, dove nelle successive 6 stagioni colleziona 192 presenze e 46 gol.
Giocatore tecnico e concreto, capace di unire dribbling ubriacanti a gol meravigliosi, in seguito alla crisi dei colchoneros Futre si trasferisce brevemente prima al Benfica e poi all’Olympique Marsiglia, non trovando però troppo fortuna. Nel 1994, a 28 anni, Futre cerca un palcoscenico adatto al suo talento per rilanciarsi, e in quel momento il più adatto è la Serie A, il campionato che in quegli anni vede non solo le grandi squadre come il Milan di Sacchi o la Juventus di Lippi, ma in cui anche le squadre minori possono vantare campioni come Batistuta alla Fiorentina oppure Hagi al Brescia e in cui anche una provinciale come il Parma di Nevio Scala può vincere la Coppa delle Coppe.
Franco Dal Cin e l’ambizione di una grande Reggiana
È proprio a pochi chilometri da Parma che Franco Dal Cin, fresco azionista di maggioranza che aveva riportato i granata in Serie A dopo 60 anni, sta pianificando una Reggiana in grado di ripetere il percorso degli odiati cugini ducali. Dal Cin era stato il primo dirigente sportivo italiano a capire le potenzialità del calcio come business: all’Udinese, nel 1978, fu il primo ad avere l’intuizione di imprimere il marchio della proprietà, la Sanson, ai pantaloncini della squadra, dando così il via all’epoca delle sponsorizzazioni. Fu grazie al flusso di denaro derivante dagli sponsor che riuscì, nel 1983, a portare a Udine uno dei migliori giocatori del mondo, Zico.
A Reggio Emilia Dal Cin mise in campo le stesse capacità manageriali, iniziando la costruzione del primo stadio di proprietà in Italia, il Giglio, che prendeva il nome dallo sponsor (oggi noto come Mapei Stadium, dal nome dello sponsor del Sassuolo), e mettendo in moto vari partner commerciali per ingaggiare un fuoriclasse che fosse uomo simbolo della squadra, in grado di fare la differenza in campo ed essere il simbolo delle ambizioni di una squadra che mirava ad essere grande: Paulo Futre.
Un sogno spezzato sul nascere
Il 21 novembre 1993 Reggio Emilia è paralizzata. Dopo 11 giornate di campionato la Reggiana non ha ancora vinto una partita, ma l’entusiasmo è comunque alle stelle. Tra i tifosi che stanno vivendo il primo campionato di Serie A della loro vita, tranne qualche ottuagenaria eccezione, si propaga l’eccitazione e la curiosità nel vedere indossare la maglia granata ad un giocatore che solo 6 anni prima sollevava la Coppa dei Campioni.
Mentre l’avveniristico Stadio Giglio è in costruzione, si gioca al vecchio Mirabello, capienza 15.500 spettatori. Le cronache ci riferiscono di 13.574 presenti, ma chi era presente racconta di uno stadio pieno in ogni ordine di posto e ricolmo di bandiere granata e portoghesi. L’avversario di turno è la Cremonese di Gigi Simoni, squadra meglio piazzata in classifica ma alla portata della Reggiana.
Pronti, via: in poco tempo gli spalti si animano di urla e cori che uniscono meraviglia, esaltazione e stupore. Un giocatore del genere non lo si è mai visto a Reggio Emilia: imprendibile nell’uno contro uno, dotato di una visione di gioco sopraffina e di un’intelligenza tattica acuta. È alla prima partita con i nuovi compagni d’attacco Michele Padovano e Dario Morello: l’intesa sarà da affinare, ma i segnali sono più che positivi. Si va all’intervallo sullo 0-0, ma il Mirabello è comunque entusiasta.
Un quarto d’ora dopo la ripresa del gioco, ecco l’evento che fa scoppiare di gioia i tifosi granata: Morello allunga una palla in scivolata che arriva a Futre, sull’angolo destro dell’area di rigore grigiorossa. Il portoghese accelera palla al piede, lasciando sul posto il marcatore. Entra in area, finta il tiro ingannando un altro difensore, rientra sul sinistro e scocca un tiro anticipando l’intervento di un terzo giocatore della Cremonese. La palla si infila all’angolino basso senza che il portiere Turci riesca ad intervenire. È il gol che preannuncia una stagione piena di soddisfazioni per Futre e per la Reggiana, il perfetto incipit per una storia di sport di quelle che si racconteranno negli anni a venire.
La partita prosegue, e sulle ali dell’entusiasmo, Futre continua a disegnare calcio con il suo passo felpato e quei suoi cambi di direzione disorientanti. All’82° l’ennesimo dribbling sul suo avversario diretto, il terzino sinistro Alessandro Pedroni. Forse un dribbling di troppo per il frustrato avversario che entra sul fuoriclasse portoghese in maniera scomposta ed in ritardo. L’intervento è brutale, e se al difensore grigiorosso costa il cartellino rosso diretto, per il fuoriclasse lusitano il bilancio è ancora peggiore: dolorante e incapace di muovere la gamba destra, viene portato fuori dal campo in barella. La diagnosi è tremenda: rottura del tendine rotuleo.
Quella splendida partita resta l’unica presenza di Paulo Futre in quella stagione, in cui comunque la Reggina riesce a salvarsi grazie alle prestazioni di alcuni giovani di valore come Massimiliano Esposito e Michele Padovano. Nella stagione successiva, Futre torna in campo, ma del fuoriclasse che aveva incantato al Porto e all’Atletico Madrid non c’è più traccia. Tecnica e visione di gioco sono ancora lì, il suo sinistro è ancora più che valido, e gli vale 4 reti nelle 12 partite giocate in stagione, ma i cambi di passo e di direzione, i dribbling ubriacanti e tutto quello che lo rendeva unico sono rimaste sul campo di quel 21 novembre 1993.
La fine del sogno reggiano, il tramonto della carriera di Futre
Alla fine della stagione la Reggina retrocede in Serie B, primo passo dello sciagurato crollo della società emiliana che, oberata dai debiti contratti per la costruzione di uno stadio fuori contesto nelle serie minori, conoscerà il fallimento prima della lenta risalita culminata con la rinascita sotto il nome di Reggio Audace ed il ritorno quanto meno in serie B.
Per Paulo Futre ci sarà l’occasione di restare in serie A e anzi, laurearsi anche campione d’Italia con la maglia del Milan. I rossoneri, campioni d’Europa in carica, lo aggregano alla squadra per una tournee in Cina, dove incanta con le sue doti tecniche, complici anche i bassi ritmi agonistici delle amichevoli. Si guadagna quindi un contratto con la squadra di Fabio Capello, che in nel 95/96 vince il quarto scudetto.
Ma con i rossoneri Futre è solo una comparsa, chiuso da fuoriclasse come Weah, Baggio, Savicevic e Simone e vittima di continui infortuni. Avrà solo il tempo di fare una presenza, paradossalmente proprio contro la Cremonese, prima di trasferirsi, sempre con scarsa fortuna, al West Ham, per poi tornare brevemente all’Atletico Madrid ed infine chiudere la carriera in Giappone, con gli Yokohama Flugels, con cui riesce a tornare al gol in gare ufficiali, in 3 occasioni, prima di appendere gli scarpini al chiodo.