Questo però è il passato. E di non solo passato, ma di solo presente, vive l’uomo. Il quale poi, a differenza degli dèi, soffre sì come loro ma volontariamente. Cupido non può far altro che creare liti d’amore; Apollo non può che dilaniare, Zeus non può che lanciar saette; Giove e Saturno calcolano i propri infiniti giorni in guerra e tempo.
La carriera di Gabriel Omar Batistuta, invece, nell’estate del 2000 subisce una piega inaspettata, ma lieta – specie col senno di poi. Non che “Batigol” abbia mai rinnegato il proprio passato fiorentino, tutt’altro: la ricorda anzi con più gioia che rimpianto, Bati, l’epoca medicea. Nove lunghi anni in maglia viola per la bellezza di 269 partite totali; una media da capogiro con 168 reti realizzate (solo per le partite di campionato, e dimenticando quindi quelle, citate in esergo da Batigol, in campo europeo).
Prima Firenze, poi Roma. Le culle della civiltà italiana, le effigi del Rinascimento e l’eternità prolungata dai tempi dell’antico Impero. Due facce della stessa medaglia, in qualche modo; dell’Italia dilaniata eppure unita, ghibellina e insieme guelfa, libertina eppure casta.
Partita bloccata
Serie A, stagione 2000/2001. Ottava giornata, 26 novembre 2000. La notte stellata dell’Olimpico accoglie sì gli dèi, ma quelli del pallone. Roma contro Fiorentina. È la prima volta che Batistuta affronta la sua ex squadra. Quella che tanto ha amato da rendere persino buffo, per chi scrive, parlare di “ex”.
L’ambiente è semplicemente incredibile. 70.000 spettatori, colori dalle sciarpe e dai bandieroni giallorossi, dai fumogeni e dalle luci dei “medio-borghesi” accolgono l’ingresso in campo delle due squadre.
Lupatelli e Aldair prendono il posto di Antonioli infortunato e Samuel squalificato – strano, direte voi. Batistuta va sotto il settore dei tifosi fiorentini, giunti in discreto numero per rivedere, anche se da lontano e con la morte nel cuore, il loro ultimo pupillo. Un’unica punta, al posto del 9 argentino, per la formazione allenata da Fatih Terim: trattasi di Nuno Gomes.
La Roma gioca meglio, nonostante la tattica dell’allenatore turco – quella cioè di tenere il pallone il più a lungo possibile in modo da far dimenticare ai giallorossi che rumore fa la rete quando è gol – sembri funzionare per qualche minuto. Giusto il tempo di assestarsi sullo scivoloso poiché piovoso terreno dell’Olimpico, e la Roma con Totti, Batistuta e Delvecchio inizia a tramare le proprie geometrie. È da quest’ultimo che partono quasi tutte le azioni. Da una di queste Zanetti arriva a prendere il pallone al limite ma il suo mancino finisce esterno rispetto alla porta difesa da Toldo, l’altro grande Francesco in campo.
E il capitano giallorosso? Si nasconde tra le bianche maglie fiorentine, prova l’imbeccata per i due compagni di reparto offensivo e in una circostanza, dopo aver ben controllato il pallone al rientro dal fuorigioco, sfodera un bel destro, esteticamente gradevole ma efficacemente nullo, che si spegne senza problemi tra le braccia di Toldo.
Cafù spaventa dalla destra la retroguardia viola ma Repka ci mette una pezza, prendendosi gli applausi del suo portiere. Ancora Totti dalla sinistra, pallone ribattuto fortuitamente da un giocatore avversario e che carambola sul mancino volante, pericoloso ma non definitivo di Batistuta, che scalda finalmente i motori.
È ancora Repka a salvare proprio su Batistuta ben imbeccato da Totti, che nella sfida col fantasista Rui Costa, maglia numero 10, pare avere gioco facile quella sera. Altra battuta di Totti dalla sinistra, questa volta su punizione laterale; respinge Toldo con una grande smanacciata, ma consegnando a Zanetti un pallone d’oro: il destro di Cristiano finisce però incredibilmente fuori.
Scocca l’ora di Batigol
Il secondo tempo è un’altra storia. All’assediante Roma del primo tempo subentra quella versione mollacciona che, quasi sicura dei propri incredibili mezzi, decide di riposare su se stessa. Anche perché la Fiorentina non dà segni in fase offensiva. L’encefalogramma piatto dei giallorossi costringe Capello ad un cambio: fuori Delvecchio, dentro Montella. L’areoplanino.
La partita prosegue però sullo stesso copione dei primi 20’. Lanci lunghi e confusione da parte dei giallorossi, assoluto nulla da parte dei viola. Fino all’82’.
Siamo al limite dell’area di rigore, spostati sulla sinistra. Un palleggio maldestro ma caparbio di Zago fa carambolare il pallone al limite della lunetta, dove Batistuta, assetato di rete e stanco di dover aspettare un’occasione casuale, si coordina e di destro, senza lasciar cadere il pallone a terra, lo schiaffa con una violenza inaudita verso la porta difesa dall’inerme Toldo.
Palla che si abbassa e riscende in una frazione di secondo, lasciando l’Olimpico e i presenti di sasso, come pietrificati da Medusa. Il replay rivela un fatto curioso. Il pallone non finisce sotto al sette ma esattamente al centro della porta, appena sotto la traversa difesa dal secondo portiere della nazionale.
Batistuta che non solo non esulta, ma si commuove.
Le sue lacrime sono rivelatrici: la sua professionalità e il suo incredibile talento non possono togliere alla Roma un gioiello che però non appartiene ai giallorossi. E che mai gli apparterrà. Nonostante le gioie dello Scudetto, Batistuta rimarrà per sempre un cuore fiorentino.