Quando parliamo di calciatori, ed in particolare di quelli che giocano in attacco o comunque partecipano alla fase offensiva, il primo numero che andiamo a vedere nelle loro statistiche è quasi sempre quello dei gol segnati. E molto spesso sbagliamo, se prendiamo quel numero come indicatore della loro bravura.
Intendiamoci, sono i gol a far vincere le partite e rappresentano l’essenza stessa del calcio, sport che vive di punteggi bassi e in cui ogni marcatura resta impressa nella memoria del tifoso. Ma il numero di gol segnati per un giocatore è un indicatore troppo vago: non è facile sapere quanto un gol sia frutto effettivo di bravura del giocatore o di fortuna, nel trovarsi in una determinata posizione per sfruttare il lavoro dei compagni. Il numero che offre le indicazioni più vicine alla realtà sul peso offensivo di un giocatore è quello degli assist effettuati.
Il giocatore che apporta un vero contributo di tecnica, intelligenza tattica e visione di gioco alla fase offensiva della propria squadra è quello che costruisce l’azione che permette al compagno di segnare il gol. Nella Lazio di quest’anno, a fianco dei 26 gol messi a segno da Immobile, cifra strepitosa, bisognerebbe mettere l’accento più spesso sui 12 assist effettuati da Luis Alberto. Nessuno come lui in Italia, e dietro solo a Kevin De Bruyne, Jadon Sancho e Thomas Muller nei maggiori campionati europei.
Per Luis Alberto l’assist è preferibile al gol, il suo essere demiurgo nell’azione vincente è meglio che esserne l’esecutore materiale. Immaterialità del passaggio chiave prima della concretezza della palla in rete. In questo, Luis Alberto ricorda moltissimo un altro grande campione proveniente dalla penisola iberica che in Italia si è imposto a suon di assist e passaggi chiave: Rui Costa, O Maestro.
Manuel Rui Costa, O Maestro della generazione d’oro portoghese
Rui Manuel César Costa, più noto con il nome che verrà stampato sulla schiena delle maglie di Benfica, Fiorentina e Milan, ovvero Rui Costa, nasce a Lisbona il 29 marzo del 1972.
Da piccolo viene visto giocare per strada da una leggenda del calcio portoghese come Eusebio, che viene immediatamente conquistato dalle capacità di questo bambino di giocare la palla con un’eleganza innata. A 9 anni è già nelle giovanili del Benfica e 10 anni dopo, in seguito ad una stagione in prestito al Fafe, gioca un mondiale Under 20 con il Portogallo che ne consacra il talento. Trascina i giovani lusitani al trionfo e si guadagna la maglia numero 10 delle Aquile, numero che lo accompagnerà per tutta la carriera.
Con il Benfica Rui Costa vince una Coppa di Portogallo ed una Primeira Liga, prima di trasferirsi in Italia alla Fiorentina, appena risalita dalla serie B.
In Toscana Rui Costa conosce la consacrazione definitiva, giocando alle spalle di un attaccante devastante come Gabriel Batistuta a cui fornisce palloni che per il centravanti argentino è uno scherzo mettere in rete. Con Batistuta sviluppa un’amicizia sincera, ed i due sono i giocatori più amati dai fiorentini: in curva Fiesole gira un motto, “Batistuta per grandezza, Rui Costa per bellezza”.
Con la maglia viola Rui Costa vince due Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, portando i viola a giocare la Champions League all’inizio del secolo. Per i tifosi viola il portoghese è nell’olimpo dei migliori calciatori che hanno indossato la maglia gigliata, a fianco di Antognoni e Baggio. Dopo la partenza dell’argentino, è proprio Rui Costa ad ereditarne la fascia di capitano, prima di essere ceduto al Milan nel disperato tentativo di salvare la Fiorentina dal tracollo finanziario.
In maglia rossonera Rui Costa passa 5 anni, vincendo tutto (1 Campionato, 1 Champions League, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa Italiana, 1 Supercoppa Europea) e subendo una delle sconfitte più cocenti della sua carriera, quella in finale di Champions League contro il Liverpool nel 2005, seconda solo all’Europeo casalingo perso in finale contro la Grecia l’anno precedente.
Negli ultimi due anni di carriera torna al Benfica, dove dopo aver appeso gli scarpini al chiodo assume la carica di dirigente.
In 192 presenze con i rossoneri, Rui Costa mette a segno 11 gol ma soprattutto produce un numero impressionante di assist per i suoi compagni: sono quasi 70 le volte in cui Shevchenko, Inzaghi o chi per loro depositano la palla in rete dopo l’ultimo passaggio del portoghese. Dotato di una strepitosa visione di gioco, Rui Costa aveva la capacità di trovare sempre l’attimo giusto per servire il compagno e metterlo nella miglior condizione possibile, con passaggi precisi e vellutati che tagliavano il campo secondo traiettorie lineari ma apparentemente impossibili.
Rui Costa e Luis Alberto, simili e diversi al di là degli assist
La carriera di Luis Alberto è decisamente molto più discontinua di quella di Rui Costa: finora il centrocampista spagnolo ha sempre avuto rendimenti ad anni alterni, tanto che il Liverpool, che l’ha girato in prestito per 2 anni in Spagna dopo un’annata inglese decisamente sottotono, si accontentò di 4 milioni dalla Lazio per evitare di perderlo a parametro 0. Ma l’importanza del gioco di Luis Alberto nella squadra di Simone Inzaghi è enorme: lo spagnolo è la fonte di quasi tutte le azioni d’attacco dei biancocelesti, con quella visione di gioco e quella tecnica che gli permettono di passare la palla ai compagni con precisione e con quel tempismo perfetto per mettere fuori causa gli avversari. In particolare il rapporto quasi simbiotico che Luis Alberto ha sviluppato sul campo con Ciro Immobile ricorda moltissimo quello di Rui Costa con Batistuta.
La differenza sostanziale tra i due giocatori è nell’atteggiamento. Rui Costa era quasi sovrannaturale nella sua calma e naturalezza, anche nelle fasi di gioco più concitate. Calzettoni abbassati, i parastinchi a vista, non correva mai a vuoto ma era il classico giocatore che preferiva fa correre la palla al posto suo. Se c’era la necessita si inseriva e riceveva palla, andando anche alla conclusione, ma la sua caratteristica principale era quella di riuscire a far arrivare la palla dove era necessario con il minor sforzo possibile.
Lo stile di gioco di Luis Alberto è decisamente più elettrico, dal momento che lo spagnolo arriva molto più spesso alla conclusione spesso scambiando in velocità con i compagni. Il ritmo di gioco di Luis Alberto è sicuramente più frenetico di quello di Rui Costa, ma ciò non significa che il portoghese fosse lento, anzi, ma che la visione di gioco più sviluppata gli permetteva di indovinare la giocata addirittura in anticipo rispetto al movimento dei compagni, al punto di dover rallentare il gioco prima del momento perfetto per effettuare la giocata. Nella Lazio di Luis Alberto il dinamismo è tale che anche lui deve essere in costante movimento e giocare la palla mentre è in corsa.
In una cosa Luis Alberto è diverso che Rui Costa, ed è la capacità di giocare la palla alta. Se O Maestro riusciva a far correre la palla rasoterra e a farla arrivare ai compagni in maniera lineare, il laziale ricorre spesso, oltre che ai passaggi filtranti, a scavetti e lanci. Riesce spesso a trovare l’uomo scavalcando l’avversario con la palla, con parabole che scendono perfettamente a trovare il compagno o, talvolta, un avversario che inconsapevolmente devia la palla verso la porta.
Luis Alberto e Immobile come Rui Costa e Batistuta?
La Fiorentina del 98/99 mancò l’appuntamento con lo scudetto solo a causa del grave infortunio occorso a Batistuta nella seconda metà del campionato, che privò Rui Costa dello sbocco naturale per i suoi passaggi. Fino a quel momento, i Viola erano in testa alla classifica e Batistuta aveva una media realizzativa simile a quella che Ciro Immobile sta dimostrando in questa stagione. Juventus e Inter permettendo, quando si instaura una simbiosi così marcata tra uomo assist e cannoniere, una squadra può permettersi di sognare qualsiasi traguardo.