Ci sono tantissimi elementi che entrano in gioco quando si parla di calciatori: la tecnica, la personalità, la reattività, l’atletismo… Ma c’è solo una cosa che è ineluttabile e inappellabile: il gol. Si può parlare per ore e ore dei difensori migliori, dei centrocampisti più tecnici rispetto a quelli più tenaci, ma una cosa è sicura: un grande attaccante sarà sempre quello che segna. In questa stagione abbiamo assistito alla veloce consacrazione di un giovane che in pochi mesi ha convinto tutti in Europa, prima ancora che con le sue doti semplicemente con i suoi numeri, impressionanti: Erling Haaland.
Stiamo parlando di un ragazzo dalle doti enormi, ma soprattutto un giocatore che finalizza tutto il suo gioco alla conclusione in porta. La sua peculiarità è la capacità di trovare la porta veramente in ogni maniera: destro, sinistro, di testa, in velocità, in anticipo, di rapina… Un tale pericolo per le difese avversarie ci fa tornare alla mente uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio, Omar Gabriel Batistuta.
Omar Gabriel Batistuta, semplicemente Batigol
Nato il 1° febbraio 1969 ad Avellaneda, in Argentina, da un macellaio di origini carsiche e una segretaria scolastica, Omar Gabriel Batistuta ha passato l’infanzia a Reconquista, paradossalmente quasi disinteressandosi al calcio, ma praticando invece pallavolo e pallacanestro fino ai 16 anni.
Quel ragazzo un po’ sovrappeso e dai lunghi capelli biondi, che gli valsero il soprannome di Gringo (sicuramente preferito all’altro, El Gordo, ovvero il grasso), però non riesce ad affermarsi nelle due discipline preferite e ripiega sul calcio. Un po’ alla volta Gabriel capisce di esserci portato, verso quello sport che non aveva mai considerato più di tanto, e inizia a prenderci gusto.
Nelle giovanili del Platense prima e del Newell’s Old Boys poi, dove conosce Marcelo Bielsa, il tecnico che lo plasma come giocatore, Batistuta cresce diventando un’ala dalle buone doti atletiche e con un discreto fiuto del gol. Nonostante sia arrivato tardi al mondo del calcio, a 20 anni suscita già l’interesse delle grandi di Argentina: passa prima al River Plate, quindi al Boca Juniors. Il motivo di questo passaggio tra le due grandi rivali è da ricercarsi nell’arrivo sulla panchina dei Millionarios di Daniel Passarella, che reputa Gabriel tecnicamente non all’altezza.
Al Boca Juniors il tecnico Oscar Tabarez ha l’intuizione di trasformare quest’ala un po’ grezza in centravanti. In effetti Batistuta non brilla per tecnica sopraffina, soprattutto quando la forma fisica non lo sorregge appieno. Ma quando sta bene fisicamente, Gabriel diventa un altro giocatore: un’impressionante macchina da guerra, un meccanismo perfetto che funziona solo ed esclusivamente in funzione del gol.
Arriva in Italia nel 1991, alla Fiorentina, e con il tempo la città toscana lo ricopre di un amore che ha avuto pochi eguali. In 9 anni con la maglia viola, Batistuta mette a segno 203 gol in 331 partite. Con i gigliati scende anche in Serie B per una stagione, e conquista una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Inizialmente paga la nomea di essere tecnicamente scarso, ma con il tempo diventa uno dei cannonieri più implacabili della storia del calcio italiano, capace di andare a segno per 11 partite di campionato consecutivamente.
Nel frattempo è stato anche il miglior realizzatore della nazionale argentina (record solo recentemente infranto da Messi), con cui ha conquistato 2 Coppe America e una Confederation Cup.
Batistuta non ha evidenti lacune tecniche, anzi, ma mette in mostra solo lo stretto necessario per andare in porta. Non è un velocista, non spicca per dribbling, ma è potente, e tira in maniera divina. Non si può certo dire che un attaccante che tocca la palla in quella maniera, piazzandola quasi sempre dove il portiere non può arrivare, non sia dotato tecnicamente. Inoltre anche di testa si fa valere, e la sua capacità di riuscire ad anticipare i difensori avversari frutta gol a grappoli.
Dopo l’esperienza fiorentina, con la società sull’orlo del fallimento, Batistuta si trasferisce a Roma, dove con Fabio Capello e supportato da un campione come Francesco Totti vince lo scudetto nel 2001, prima di chiudere una carriera che l’ha logorato dal punto di vista fisico all’Inter (più per uno sfizio del presidente Moratti che per vere motivazioni sportive) e in Qatar, all’Al Arabi.
Erling Haaland, un Batigol riveduto e corretto?
La storia di Haaland parte da presupposti lontanissimi rispetto a quelli di Batistuta: atleta di altissimo livello fin da bambino (a 5 anni ha fissato il record di salto in lungo per bambini, ancora imbattuto), si è dedicato al calcio fin da giovanissimo. Se a 16 anni Batistuta era incerto tra la pallavolo e il basket, Haaland è focalizzato sul calcio fin da quando riesce a intendere.
Alla sua età, Batistuta non aveva ancora trovato il suo ruolo in campo, mentre Erling è il centravanti più prolifico di tutta Europa. Ma queste due strade completamente diverse hanno dato un risultato simile: Haaland ha quella capacità, che lo accomuna a Batistuta, di destinare ogni sua singola azione sul campo di gioco alla finalizzazione. Nonostante i mezzi tecnici fisici e tecnici impressionanti, nessun gesto di Haaland è fine a sé stesso: il gol è sempre il fine ultimo di ogni suo movimento.
Quello che manca sicuramente a Haaland rispetto a Batistuta è un po’ di quella malizia, tipicamente latina, che ha permesso all’argentino di battagliare con difensori di altissimo livello ma fisicamente dominanti come quelli della serie A dei primi anni ‘90. Ad oggi Haaland si è messo in mostra grazie a tutte le sue doti in campionati con difese meno impegnative, come quello austriaco e quello tedesco, ma contro una difesa composta da giocatori esperti e avvezzi alle marcature strette della serie A come quella del Napoli ha dimostrato ancora una certa ingenuità di fondo.
L’impressione è che al momento Haaland stia compiendo un percorso di crescita impressionante, e il Borussia Dortmund è la squadra perfetta per lui in questo momento. Ma per consacrarsi definitivamente come centravanti in futuro dovrà misurarsi in ambiti più probanti. Quello che impressiona di Haaland è l’età: a 20 anni possiede una capacità di andare a segno che l’esperienza non potrà fare altro che migliorare, se il fisico lo sorreggerà.