Quando Torino si sveglia, la mattina del 27 marzo 1983, almeno una questione – sulle altre – tiene col fiato sospeso l’intero Occidente: Reagan sta lottando contro Andropov per gli Euromissili. La realtà è che, alle prime luci dell’alba, pochi sono quelli che al conflitto noto come Guerra Fredda pospongono il Derby della Mole. Perché se è vero che nella vita “ci sono cose più importanti” – del calcio –, è altrettanto vero che il football rappresenta “la cosa più importante tra le cose meno importanti”. A dirla tutta, Torino v Juventus è la cosa più importante, punto.
L’attesa è spasmodica. Siamo a cinque giornate dalla fine. La Vecchia Signora è impegnata in una lotta serrata contro la Roma, valevole per lo Scudetto. Allo stesso tempo, i bianconeri sono costretti a spendere qualche molecola di energia in Europa, dove pochi giorni dopo il derby incontrerà il Widzew Lodz. Le parole di Boniek prima di scendere in campo col Toro, certo, non sono delle più felici: «Sarà più dura in coppa [che oggi]».
È il 127° derby della storia. La Juventus vanta sei campioni del mondo in campo dal primo minuto, a cui vanno aggiunte le stelle Boniek e Platini. Il Torino risponde con una formazione giovane ma spregiudicata, della quale Zaccarelli è come – insieme – guida e figura d’esperienza. Il Torino gioca certo per sé stesso ma, e non ne fa mistero proprio Zaccarelli in un’intervista più tarda rilasciata a Sfide, gioca soprattutto per fermare la Juventus.
Il primo tempo: la Juve e la forza dei nervi distesi
La Vecchia Signora prende presto il possesso del campo e del gioco. La prima emozione, per i tanti tifosi giunti al Comunale, arriva però da altre latitudini; la Fiorentina è passata in vantaggio contro la Roma. Siamo al 9’ (la partita finirà 2-2).
Contate fino a 120. La Juventus, forte delle notizie provenienti da Firenze, come se già non bastasse quella formazione, si sente ancora più forte. Michel Platini riceve palla una decina di metri dopo il centrocampo, nessuno lo ostacola. Boniek taglia la difesa del Toro prendendola alle spalle; il fuoriclasse francese non tarda a servirlo, incontrando il polacco sul lato corto dell’area di rigore. Il terzino destro dei Granata, tale Van de Korput, ci va di corpo, appunto, ma lascia lì il pallone, che Rossi gli scippa da autentico rapinatore d’area, infilando il portiere avversario sotto le gambe. Già la Juventus è forte di suo; con regali così, è tutto molto più facile per i bianconeri. 0-1 all’11’.
Il Torino rimane come stordito da quell’episodio. Zoff è tranquillo, la Juventus è sicura di sé. Si eleva distinto uno striscione nella curva dei Granata: «Il Torino è una Fede». Hai voglia a credere, allora. Il primo tempo si chiude col vantaggio bianconero, e per altri 20’ – della ripresa – non accade un granché. Ma solo per altri 20 minuti.
La ripresa: tutto in 124 secondi
Ripartenza Juventus. La bianca chioma di Bettega illumina la sinistra del campo; passaggio preciso per Boniek che supera Danova, entra in area di rigore e fa fuori con la più classica delle finte il povero Zaccarelli, che lo atterra. Calcio di rigore. Dal dischetto si presenta Platini, chi altri se non lui. Il suo destro è respinto da Terraneo, ma sulla ribattuta è spinto in rete ancora dal Michel pupillo dell’Avvocato. Partita chiusa, si crede. Le parole del Trap a chi gli chiedeva, prima dell’incontro, se le dichiarazioni di Boniek non fossero state eccessivamente distese, risuonano adesso come il sigillo di una superiorità senza sbruffonaggine: «Ma no, mi piace questa attesa tranquilla. Dobbiamo educare i tifosi alla calma».
Poi, però, accade l’imponderabile. Siamo al 25’. Il Toro, preso per le corna, risponde di rabbia. Cross dalla destra di Galbiati che attraversa tutta l’area di rigore; la palla sembra morire sul secondo palo, ma a farla risorgere è Dossena, che la trasforma in gol. Testata precisa sul secondo palo, Zoff non può nulla; è 1-2. La curva Filadelfia si rianima. Palla al centro, qualche tocco dei bianconeri, recupero palla del Toro. Dalla sinistra Beruatto disegna una traiettoria perfetta sul primo palo che Bonesso – entrato da 14 minuti al posto di Borghi – gira di testa sul secondo, di palo. Il colpo è formidabile. Sergio Brio, preso d’anticipo, si sente come il pugile preso di sorpresa dall’audacia divina dell’avversario: «Come quando ti arriva un pugno sul ring, e tu rimani intontito. Poi, al secondo pugno, vai KO». E la Juve in Knock-Out ci va davvero. 2-2.
Sessanta. Palla al Toro. Cento. Manovra il Toro. Centoventi. Zaccarelli allarga sulla fascia. Centoventidue. Van de Korput riceve il pallone dopo il velo di Torrisi, che si porta al centro dell’area di rigore. Centoventitre. Palla in mezzo. Centoventiquattro. Rete. Sul cross del terzino olandese, Torrisi gira senza se e senza ma in mezza rovesciata, bucando le mani al povero Dino Nazionale: «La sconfitta più bruciante della mia carriera», dirà poi. Sono passati 124 secondi dal pareggio del Toro, che ora è in vantaggio tra lo stupore e il delirio generali. «Erano sicuri di sbranarci, non conoscevano il cuore del Toro», voce e parole di Dossena, sangue Granata.
La partita prosegue sull’onda lunga di quei folli minuti. L’Avvocato non vuole credere alla realtà, si rifugia nel silenzio. Boniperti aveva lasciato lo stadio a fine primo tempo. Quando gli comunicano cosa è accaduto, stenta a credere che non si tratti di uno scherzo. Ma è forse Torrisi, l’autore del 3-2, a restituirci meglio di ogni altra – e vana – parola il quadro di quella incredibile ed irripetibile situazione: «Ringrazio Bersellini che mi sostituì: vedere quel Toro scatenato da fuori è stato uno spettacolo. Non si era fermato, cercava il 4-2. Dal campo non avevo avuto la giusta percezione di tanto furore. Quel gol mi ha segnato la vita». Ha segnato la vita di tutti noi.