Ci sono episodi, nello sport, che si fatica a dimenticare. Grandi vittorie, prestazioni straordinarie, battaglie epiche, atleti formidabili, rimangono indissolubilmente nella mente dei tifosi .
Più raramente, poi, capita che a rimanere impressi siano atleti o squadre che vincono sovvertendo ogni pronostico, sorprendendo loro stessi e i propri sostenitori. E’ la cosiddetta vittoria degli “underdog”.
Ma c’è uno sfavorito, nella storia dello sport, che ha vinto in un modo assolutamente improbabile, talmente impronosticabile da apparire –più che leggendario- quasi assurdo. Il suo nome è Steven Bradbury, e la sua clamorosa vittoria è relativa al pattinaggio su ghiaccio alle Olimpiadi di Salt Lake City del 2002.
Non siamo davanti a qualcuno divenuto un gigante dello sport, anzi: è un protagonista che, nonostante un’impresa epica, strappa più frequentemente un grande sorriso.
Le olimpiadi invernali del 2002
Siamo nello Utah, ed è il febbraio 2002. Stanno per disputarsi, negli Stati Uniti di George Bush, gli attesi giochi olimpici invernali, che succedono a quelli di Nagano del 1998.
Vi sono dei protagonisti annunciati, come il gigante norvegese Ole Bjorndalen, favoritissimo in tutte le competizioni di biathlon; Janica Kostelic, croata, fenomeno dello sci alpino e prima candidata a più ori olimpici per via della sua polivalenza; la nostra Stefania Belmondo, chiamata a confermare l’egemonia delle atlete italiane nello sci di fondo, iniziata qualche anno prima con Manuela Di Centa.
Nonostante le imprese degli atleti favoriti, ciò che passa alla mente non sarà lo sci di fondo o lo sci alpino; non è il biathlon o il salto con gli sci, bensì lo short track, ovvero il pattinaggio veloce su ghiaccio.
Chi è Steven Bradbury?
Classe 1973, nativo di Camden (Australia), Steven Bradbury fa parte della “non agguerritissima” compagine australe.
Nelle discipline invernali, come è facile intuire, il continente oceanico non ha una grandissima tradizione, e, in un certo senso, è già un grande traguardo che possa essere presente alle olimpiadi.
A dire la verità, comunque, fino a questo momento Bradbury ha raggranellato qualche risultato soddisfacente, dimostrando di essere un buon atleta: su tutte, un bronzo a Lillehammer nel 1994 nella staffetta.
Tuttavia, subito dopo le Olimpiadi del 1994, subisce un infortunio terrificante, riportando un grave taglio all’arteria femorale, perdendo 4 litri di sangue e rischiando la morte. Dopo 111 punti di sutura e 18 mesi di riabilitazione, Steven ha salva la vita, ma l’incidente occorso tarpa completamente le ali allo sviluppo fisico e tecnico necessario per diventare un atleta competitivo. Come se non bastasse, nel 2000 subisce un secondo grave infortunio, rompendosi il collo in allenamento e dovendo ricorrere per lungo tempo al collare ortopedico.
Si arriva al 2002: dal momento che l’Australia, per usare un eufemismo, non è particolarmente foriera di talenti, Bradbury viene comunque incluso nella squadra che partirà per Salt Lake City, nonostante la mobilità ridotta e una condizione atletica certamente non delle migliori.
La gara dei 1000 metri Short Track
Bradbury si accinge a partecipare alla gara dei 1000 metri Short Track: si tratta di girare per un tot di giri attorno ad un ovale di ghiaccio.
Dopo aver passato la batteria, Bradbury accede ai quarti di finale. Inserito nella stessa manche dei favoriti Apolo Ohno e Marc Gagnon, l’australiano fa quel che può, e – grazie anche ad una caduta di un avversario – giunge terzo. Buon risultato, ma non sufficiente a passare in semifinale, dal momento che sarebbero passati solo i primi due classificati.
Dopo qualche minuto, però, la novità: Gagnon è stato squalificato, e quindi Bradbury – clamorosamente – approda alla semifinale.
Tra asiatici e americani strafavoriti, si compie un secondo capovolgimento di eventi: dopo una gara lontanissima dai primi, a pochi metri dal termine cadono gli avversari Dong–Sun, Turcotte e Li Jiajun, con Bradbury che, restando in piedi, taglia il traguardo e si qualifica, pazzescamente, alla finale olimpica.
Finale, quindi. Già così sarebbe una storia da raccontare ai nipotini.
A contendersi l’oro lo strafavorito Ohno, idolo locale, e il cinese Ahn. Gli altri dovranno combattere per il bronzo, tranne Bradbury che – lui stesso ne è ben conscio- si trova lì veramente per caso.
All’Ice Center di Salt Lake, parte la finale a cinque partecipanti. Dopo pochi metri, come prevedibile, Bradbury accumula già svariati metri di distacco, col suo modo di pattinare quasi goffo, che nulla ha a che vedere con la potenza e la coordinazione degli avversari in testa.
Più passano i giri, più il distacco aumenta, come prevedibile. Siamo all’ultimo giro, e Ohno è davanti, con Ahn che tenta di superarlo. Ahn però inciampa e quel che succede è clamoroso: il cinese, nella caduta, travolge Ohno, che a sua volta sbilancia gli altri due contendenti!
Tutti giù per terra, quindi, tranne Steven Bradbury, che invece è ben staccato dalla testa della gara: lui, con calma, dopo qualche secondo arriva e taglia il traguardo per primo!
Medaglia d’oro, e compimento di una delle vittorie più improbabili, clamorose e per certi versi assurde delle Olimpiadi, e forse della storia dello sport.
Siamo ben oltre un Leicester che vince il campionato, o un James “Buster” Douglas che batte Tyson: la vittoria olimpica di Bradbury va davvero al di là di ogni immaginazione.
Il ritorno in Australia e la fama nel web
Bradbury stesso riconosce una gran dose di fortuna nella vittoria, che giustamente rivendica dopo tante sfortune: “Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L’ho vinta dopo un decennio di calvario” , ha dichiarato, entrando nel cuore dei tifosi per tanta sincerità.
Nel suo paese, gli abitanti coniugano un modo di dire ancor oggi attuale: “Doing a Bradbury” (letteralmente, “fare un Bradbury”) significa avere un grosso colpo di fortuna, totalmente inaspettato.
Le poste australi coniano un francobollo per l’improbabile eroe, che sulla scia della notorietà diventa un personaggio televisivo e in seguito un commentatore nel proprio paese.
In Italia, Bradbury diventa famoso per una clip (attualissima ancor oggi) confezionata dalla Gialappa’s Band all’interno del loro programma Mai Dire Gol. Diventa uno degli sketch più esilaranti nella storia del trio comico, che fa entrare il goffo ma simpatico Bradbury nella storia dei social e del web italiano.