Di tanto in tanto il calcio riserva grandi sorprese, storie inaspettate. A volte, ciò accade anche nei grandi centri e con squadre gigantesche. Negli anni Novanta, alla Juventus, con il terzino destro Moreno Torricelli è stata scritta una di quelle favole sportive che lasciano traccia di purissima bellezza addosso: dopo aver lasciato il calcio dilettantistico, in meno di cinque anni, è arrivato fino al vertice dell’Europa e del mondo.
Nato in provincia di Como, alle porte di Milano, Torricelli aveva poche speranze di diventare un giocatore professionista. O almeno, così il destino aveva attecchito nei primi anni Novanta. L’immagine simbolo sembrava quell’anno nelle giovanili comasche, quando non funzionò, quando sembrava tutto già finito, chiuso, distrutto.
Un sogno spezzato e infranto a 18 anni, quando s’era infilato tra le maglie dell’Oggiono nella “sesta divisione” e poi alla Caratese, un campionato più su. In quel periodo, lo sport è solo un hobby: si guadagna da vivere come falegname in una fabbrica di mobili della città brianzola. Nel 1992, quasi all’improvviso, non di certo per caso, la sua vita è cambiata completamente.
Il cuore oltre gli ostacoli
Come cambiò? Quell’anno, la Juventus disputò un’amichevole contro la Caratese. E Torricelli semplicemente attirò l’attenzione. Subito dopo il match, fu invitato a disputare un periodo di prova a Torino, alle dipendenze della Vecchia Signora. Giovanni Trapattoni, che pure di giocatori ne aveva visti tanti, se ne innamorò lasciandosi trasportare dal colpo di fulmine. Poche migliaia di euro e l’occasione da professionista: a 22 anni, il mondo sotto i piedi iniziava ad allontanarsi. Viveva nella sua personalissima favola.
E Torricelli presto si mise in gioco per il nuovo club. Già il 13 settembre riuscì a portare a casa qualche minuto nella vittoria contro l’Atalanta (4-1), e poco dopo il Trap non lo tolse più: lo rese il titolare della fascia destra. Senza particolari doti, magari – corsa e polmoni a parte -, ma con una volontà ferrea di fare il bene della squadra bianconera.
Era pronto a dare il massimo in ogni occasione, a seguire l’allenatore in ogni frangente della partita. Un soldatino dalla forza sovrumana. E tatticamente era importantissimo. Tant’è che fu subito fondamentale: nella sua prima stagione da professionista, vinse pure il suo primo titolo. Ed era la Coppa Uefa.
Amato dal gruppo per la sua semplicità, il terzino si guadagnò pure un gran bel soprannome. Datogli da Roberto Baggio in persona, per capirci. Lo iniziarono a chiamare Geppetto, a causa del suo passato da falegname.
Nel 1995-95, Trapattoni lasciò il club e venne sostituito da Marcello Lippi. Ed è lì che Torricelli raggiunge il suo apice, durato quattro e meravigliose stagioni. Continua come titolare e primissima scelta, aiutando la Juve a vincere il titolo italiano. Che non raggiungeva Torino da nove, lunghissimi anni. In quella stagione, la Vecchia Signora vinse pure la Coppa Italia e fu finalista in Coppa Uefa, persa però contro il Parma.
Il calcio di Geppetto
Nei tre anni successivi, Geppetto ha vinto i titoli più importanti. Nel 1995-96 la Juve arrivò seconda in campionato, ma vinse la Supercoppa Italiana e soprattutto la Champions League. Era la seconda della storia juventina. Ovviamente, Moreno corse su quella fascia dalla prima all’ultima gara. A partire dal 1996-97, il terzino perse un po’ di spazio. Era ancora lì, ad arare l’esterno nelle gare più importanti. Ma qualcosa, anche in termini di tenuta, era cambiato. Nei due anni successivi vinse una Supercoppa Uefa e per due volte il titolo in Serie A. Arrivarono le finali di Champions: Borussia Dortmund e Real Madrid distrussero sogni, non la voglia di riprovarci.
Ecco: poi c’è la gara di Tokyo. L’Intercontinentale e il gol di Del Piero. La vetta del mondo ai piedi di un vecchio falegname, la gara con il River Plate che ancora oggi dà fortiti battiti al cuore. Negli anni trascorsi a Torino, Torricelli vinse alcune presenze con la nazionale. Euro 1996 in primis, poi il Mondiale del 1998. E un’altra delusione cocente, che lo portò a lasciare anche la Juventus e approdare alla Fiorentina. Lo volle Trapattoni, ancora, con cui trascorse anni importanti sotto la gestione Cecchi Gori. Una Coppa Italia nel 2001, ma anche il crack del 2002: la Viola andò in bancarotta e Torricelli dovette reinventarsi. Ancora.
A 32 anni, sei mesi di stop prima di firmare per una nuova squadra. Lo andò a pescare dagli svincolati l’Espanyol, nel gennaio del 2003. Dopo un anno e mezzo in Spagna, tornò in Italia e firmò per l’Arezzo, con cui concluse poi la sua carriera. Sembrava tutto pronto per una grande carriera da allenatore, e non a caso partì dalle giovanili della Fiorentina.
Se però Moreno ha avuto tanto, tantissimo dalla sua vita professionale, non è stato altrettanto fortunato nella sfera degli affetti. È ancora duro, il dolore per la scomparsa della moglie nel 2010. E ancora esemplare è la sua reazione: abbandonata la strada della panchina, Torricelli decise di trasferirsi con i suoi figli in Valle d’Aosta. Il calcio è un ricordo felice e ne parla spesso e volentieri, a Torino avrà sempre una casa ad accoglierlo. Ma la vita è per i suoi ragazzi. Con il suo esempio, in mani estremamente sicure.